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Musica che rivela il silenzio: Lost In Traslation (regia di Sofia Coppola)

Lo smarrimento parla, mimando l’attesa nei gesti del silenzio, i minuziosi gesti che intrappolano la dimensione del suono e la decifrano attraverso la misura dello sguardo. Lo smarrimento ha una voce che è parola di dettagli, di contorni, di sfumature; voce di luci ed ombre che, con il tatto osceno dell’alternanza, seducono il confine delle mani. Smarriti, Bob e Charlotte hanno lo stesso identico odore: la fragranza inopportuna dell’insonnia, della non-appartenenza, delle domande taciute perché le ferite possano rimarginarsi senza che le cicatrici deturpino l’equilibrio delle sembianze. Smarriti, Bob e Charlotte finiscono per ri-trovarsi, in una città dentro la città, oltre i rumori che invadono le mappe dei loro personalissimi tragitti, facendosi musica, trasfigurando le distanze in battute, in battiti.

Entrambi stanno scoprendo qualcosa di sé. Tokio è una madre d’intenzioni, d’impeti, straniante, un cuore pulsante vita, velocità, futuro: nasconde in grembo la prepotenza della tradizione indossando sfacciatamente la modernità, l’eccesso. Qui Bob scopre i propri anni, la decenza del compromesso, l’indecenza delle maschere. Qui Charlotte scopre la semplicità dei propri desideri, l’inesplorato che le morde i sensi. Bob e Charlotte si scoprono soli, smarriti in un lasso di tempo che pare accogliere e soddisfare i desideri di ciascuno, eccetto i loro. Estranei complici della stessa urgenza, si prendono per mano, sfiorandosi appena, e giocano contro la solitudine, le giocano attraverso, usando l’attenzione in vece della parola. La mediocrità spaventa meno se a sorriderne si è in due. Bob Harris (Bill Murray), l’attore che è stato, l’uomo che vorrebbe essere, il marito che non è più, trova in Charlotte lo spiraglio all’alienazione del proprio essere fuori tempo, fuori luogo, ingranaggio arrugginito per il business, per la vita-apparenza cui prende parte. Charlotte (Scarlett Johansson), neo-laureata, giovane moglie e compagna di viaggio di un marito assente, riconosce in Bob la trama grezza dello stesso tessuto che le si arriccia dentro, un tessuto di desideri taciuti che vogliono svelarsi, di sterminati spazi persi oltre il vetro di una stanza, di assenze che pungono il cranio, lo ammalano. Due micro-cosmi dalle latenze intatte s’infrangono contro il muro dell’incomprensione, oltrepassandolo, con la lentezza gentile della spontaneità, con l’avidità goliardica dell’infanzia. Come loro, la musica che li accompagna, ora rimbomba d’echi ipnotici, ora accarezza con palmi delicatissimi, puerili. Come il loro movimento, che si consuma nella fermezza del riposo per poi nutrirsi della voracità dei neon, così le note risalgono ogni scorcio d’asfalto, di cemento, d’elettricità, ora rarefacendosi come una nenia, ora contraendosi  come d’apnea. E’ musica d’intenzioni, d’intuizioni quella che Kevin Shield indovina per le visioni di Sofia Coppola; musica in sequenza, di passi ovattati che s’inseguono, come le stesse riprese di questo lungometraggio, film da percepire, da tradurre in sensazione, da lasciar scivolare nel luogo dello stomaco, dove è più facile convenire le accezioni, dove è così difficile smussare le attese. Sognanti, quasi impalpabili, gli accenni vocali, gli abbandoni ritmici, non cedono alla trappola del concetto: accennano il pudore, lo proteggono. La pellicola danza attraverso suggestioni sonore riservate, raffinate, oniriche per poi concedere alle chitarre, all’elettronica, lo spazio dell’incendio emotivo. I fotogrammi scivolano su Girls dei Death in Vegas; i riverberi si moltiplicano negli specchi di Too Young dei Phoenix, di Sometimes dei My Bloody Valentine.  Sono attimi che si perpetuano, uno ad uno, come l’irrisolvibile nell’eco del possibile, come il taciuto nel canone dell’intuito. Just like honey ( The Jesus & Mary Chain) è ghiaccio che si scioglie lungo la schiena, che risveglia e commuove, come un ultimo abbraccio, come l’addio necessario, un bacio a perdere, a ri-partire. Lost in translation è una vicenda d’Amore, Amore necessario e pulito, oltre la misura del corpo, dentro la misura della conoscenza, della ri-conoscenza; è una storia in carne ed ossa di fantasmi vivi, appesi al filo dell’abbondanza, arresi al vizio della privazione, ricchi di un unico, prezioso segreto: More than this, you know, there’s nothing.


Soundtrack:

  1. Intro/Tokyo
  2. City Girl (Kevin Shields)
  3. Fantino (Sebastian Tellier)
  4. Tommib (Squarepusher)
  5. Girls (Death In Vegas)
  6. Goodbye (Kevin Shields)
  7. Too Young (Phoenix)
  8. Kaze Wo Atsumete (Happy End)
  9. On The Subway (Brian Reitzell & Roger J Manning Jr)
  10. Ikebana (Kevin Shields)
  11. Sometimes (My Bloody Valentine)
  12. Alone In Kyoto (Air)
  13. Shibuya (Brian Reitzell & Roger J Manning Jr)
  14. Are You Awake? (Kevin Shields)
  15. Just Like Honey (The Jesus & Mary Chain)

Alone In Kyoto – Air

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