Serata strana questa, serata di sorprese, di eventi inaspettati. Sono le nove quando arrivo nella piazza dove si terrà il concerto e di certo, ad un’ora dal suo inizio, non mi sarei mai aspettata di trovarvi soltanto un gruppetto di persone in attesa. Strana cosa… siete pochi, troppo pochi per gli Afterhours, troppo pochi per Manuel Agnelli. Il mio pensiero trova concretezza nelle parole dell’altra sorpresa della serata, Marco Parente che apre il concerto con un’esibizione particolarissima: unisce alla sua voce e alla sua chitarra l’accompagnamento dello scratch di Canenero, che mette insieme il cantautorato e una base quasi hip-hop. Sul palco Parente si presenta con il volto completamente nascosto da un copricapo e l’effetto mi turba, quasi non riesco a tenere gli occhi sul palco, quello che provo contrasta con la dolcezza della sua voce, con l’intensità e la poeticità dei suoi testi. La piazza inizia a riempirsi e a scaldarsi, applaude evidentemente colpita dalla bravura, e dalla capacità di coinvolgere. Parente lascia il palco.
Ed eccoli gli Afterhours, pronti a colpirti immediatamente, pronti a farti ricordare perché vale la pena raggiungerli ogni volta che puoi, pronti a mostrarti che un rettile può cambiar pelle, ma non cambia il cuore . Potrà essere la pelle ferita senza speranza di Quello che non c’è, la pelle un po’ cattiva di Ballate per piccole iene, quella sperimentale e nuova di I milanesi ammazzano il sabato ma l’essenza è sempre quella dell’emozione, della capacità di dominare il palco, di ammaliarti, di prenderti, di farti sentire un’enorme energia. E stasera vogliono fartela sentire subito, vogliono che immediatamente tu venga attraversato dalla potenza di una canzone come La sottile linea bianca. Ogni volta non puoi fare a meno di chiudere gli occhi e lasciarti andare, è come una calamita che ti attrae, vuoi sentire quella chitarra che graffia, vuoi sentire la voce di Manuel Agnelli che si spezza. Ė solo febbre, con il violino di Rodrigo d’Erasmo che attraversa il pezzo, penetrante e inquieto. Molti i brani dell’ultimo disco: da Riprendere Berlino a Musa di nessuno fino alla conturbante Tarantella all’inazione, musicalmente affascinante con il suo ritmo tarantolato, estremamente ammaliante, ipnotico, Ma in questa serata di sorprese arrivano due pezzi straordinari, due regali. Il primo è Rapace. Il secondo è L’Estate. Resti lì, immobile ad ascoltare quelle parole che sembrano raccontare perfettamente quello che ti è capitato una volta, quello che ancora oggi ti fa battere il cuore, quello che ancora oggi certe volte non capisci. La voce di Manuel Agnelli è forte, piena, intensa, e la musica in apertura e chiusura del pezzo sembra riprodurre lo sconvolgimento che ti sei sentito dentro. La realtà che rientra proprio adesso. E tu vorresti restasse fuori.
C’è spazio poi per quelle canzoni che sono ormai dei classici: Bye Bye Bombay, 1996, Lasciami leccare l’adrenalina e la straordinaria Quello che non c’è. L’hai sentita tante volte, molte delle quali avresti desiderato che non ci fosse nessuno attorno a te per poterne godere del tutto perché questa canzone è così tua, così vera , così forte che vorresti restare là ad ascoltare, solo, per poter chiudere gli occhi e dirti che certe volte nella tua vita hai lottato per quello che non c’è, che a volte hai corso per nulla perché volevi solo sperare, perché volevi illuderti che stesse per arrivare l’alba. E anche se l’hai sentita mille volte, anche se ormai conosci ogni singola nota, ogni sfumatura, ogni volta rabbrividisci, ogni volta qualcosa ti stringe allo stomaco, ogni volta vuoi sentirla ancora. Gli Afterhours possono cambiare pelle una, cento, mille volte, ma sul palco resteranno sempre un’emozione unica. (Foto by Alessandra Gabola; Lost Gallery)