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I segreti del corallo – Moltheni

Il corallo e la fragilità di una Bellezza simmetrica nutrita dal ventre del mare. Il corallo e i segreti del suo corpo remoto, come la memoria, dove si ferma la vista e gioca al rilancio l’intuizione. La memoria, improvvisa come il senso dello scorrere di una Vita rubina nell’attimo infinito. Una vita passata a quattro metri in una notte tra tante: “Ho rivisto le città che non mi sono appartenute / I miei anni come ombrelloni chiusi in piena estate / I cavalli le farfalle le mie fate diventati un giorno un cane a quattro teste / Porte chiuse a chiave e finestre galleggiare in un mare di fotografie / E’ la mia vita la scorciatoia per entrare in me e in te / Che difendo con le unghie e poi la perdo / Come un anello ai piedi non è ieri è oggi”.
Moltheni intona il ritorno e smuove la corrente dell’inizio del quinto album in studio, I segreti del corallo (La tempesta), scegliendo la tensione delle corde elettriche. La prolunga e la lascia esplodere infilando quelle parole oscure, intense, morse nei giorni, baciate nelle ore, strappate alla carne dei sogni, graffiate sulla pelle dei ricordi. Quelle parole che sanno giocare alle fughe ermetiche delle rivelazioni. Quelle parole che incantano il silenzio con la malinconia dei sensi dai contorni tratteggiati. Quelle parole che appartengono a chi le sa accarezzare, addomesticare con le mani dell’anima. Quelle parole che sono suono aggiunto alla delicatezza e alla ferocia della chitarra, alla nostalgia e all’inquietudine del piano, alla discrezione e alla prepotenza della crosta ritmica. Quelle parole che fanno del folk non un genere, ma un moto urgente e necessario, un imperativo espressivo che indovina la levità e l’originalità con la naturalezza dei torrenti d’alta quota. Moltheni osa vestire la canzone d’autore con stoffe d’insolite trame, azzardando la metrica delle visioni in replay, annodando la sinestesia ai bordi dell’immediatezza.
Gli anni del malto“luminosi come neon”. Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato: la preghiera e la pretesa, l’invocazione e la disperazione… in un titolo, che implode con le schegge dei ripari, tutto senza bisogno d’altro se non il sentiero strumentale dei flussi delle intese. L’amore acquatico sa raccontare il cuore con la tenerezza e le deflagrazioni di certi incastri fragilissimi: “Muovi le tue lunghe ciglia che aprono celesti fantasie / E mi dai perpetue armonie che mi trascinano poi mi comprendono / Tu sei acqua che cade su di me”.
Corallo (in duetto con Barbara Adly) inverte il tempo della successione dei segreti, dipinge i primi respiri di un raro notturno, lascia spazio aperto all’acustico e declina la morbidezza fino alla fine, usa la gentilezza del darsi che intona la dedizione nei codici discreti: “L’equilibrio che mi dai mio malgrado mi appartiene / C’è chi cade chi rinviene e vomita / Nel tuo corpo geroglifico / Mettimi in un angolo che la retta poi la tiro io / Capovolgi l’attimo e poi fai play / In modo che non moriremo mai”. Ragazzo solo, ragazza sola scuce il centro e lo ricuce mille volte, mentre il mare vive e la pioggia cade fitta… “La memoria viaggia in prima classe / L’unica fermata le tue labbra”. Verano inventa un piano nel grigio che stringe un altrove perduto: “Limpido oggi il cielo è così limpido / Come acqua chiara dentro agli occhi tuoi / Che bagna poi anche i miei / Io raccoglierò tutti i petali caduti dalle tue orchidee / Tutti i giorni spesi dentro a quelle idee”.
Tra le conche del presente trovano rifugio per una rilettura due meraviglie tratte da Splendore Terrore (2005): la ferita di In porpora e la commovente intensità di una Suprema che era assurdo anche solo immaginare più ricca e disarmante (le mani di Carmelo Pipitone – Marta sui tubi – aggiungono grazia a grazia).
I segreti del corallo è immersione nelle profondità pericolose degli oceani del passato e delle sue conseguenze in prospettiva. Un album che pulsa la vita nei colori accesi e cupi. Un album come una pregiata pergamena su cui la memoria scrive la Poesia del sentir-si nei riverberi del Male e del Bene… “To satisfy / That’s what I thought I’d be / I kept on living in my own dream, own dream / In my own dream” (In my own dream, Karen Dalton).

Credits

Label: La tempesta dischi/Venus – 2008

Line-up: Musiche e liriche originali di Moltheni; Suonato da Pietro Canali, Gianluca Schiavon, Giacomo Fiorenza, Moltheni, Alessandro Fioroni; Voce di fondo nella traccia 7 di Barbara Adly; Chitarra elettrica nella traccia 11 di Carmelo Pipitone; Prodotto da Giacomo Fiorenza; Registrato e mixato da Giacomo Fiorenza presso l’Alpha Dept Studio, Bologna; Masterizzato da Giovanni Versari al Nautilus, Milano; Registrato su registratore analogico studer a80 (2 pollici e ¼ di pollice); Mixato su banco analogico Otari Elite; Assistente tecnico Andrea Suri; Foto interna di Barbara Asnaghi; Progetto grafico a cura di nebule66; Dedicato a Karen Dalton

Tracklist:

  1. Vita rubina
  2. Gli anni del malto
  3. Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato
  4. L’amore acquatico
  5. In porpora
  6. Oh, morte
  7. Corallo
  8. Ragazzo solo, ragazza sola
  9. Verano
  10. L’Attimo celeste (Prima dell’Apocalisse)
  11. Suprema

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4 commenti

  1. La successione dei segreti…
    Le fughe ermetiche della rivelazione…
    un disco abbraccio/schiaffo/sussuro/grido:
    Stretto al tempio di ogni Altrove – Impeccabilmente opportuno.
    (i gesti dell’amore schiudono le misure dell’infinito)

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