Numero 100 di Oxford Street. Un portone. Scale che conducono sotto il livello della strada. Un’ampia cavità. Foto in bianco e nero sulle pareti dal colore rosso come il sangue che scorreva nelle vene degli artisti che si sono succeduti dal 1942 ad oggi. Sono al 100 Club dove le mura rimbombano ancora il blues di B.B.King, il beat dei The Kinks e The Who, il punk dei Clash e Sex Pistols, l’african-jazz di Chris McGregor, il rock indie anni novanta dai Travis ai Muse passando per i primi Oasis. Un tempio sotterraneo. Lo stage è pronto per ospitare i Pivot, i sacerdoti del nuovo credo instrumental-rock, il Fantasy-beat (loro stessa definizione). A sinistra due chitarre, un basso, una tastiera e una moltitudine di effetti pronti ad essere celebrati dal genio Richard Pike. A sinistra un paio di sintetizzatori ed un laptop, gli strumenti della scenografia alchemica di Dave Miller. Al centro il demiurgo del ritmo sincopato, del controtempo, della scansione fantasy-temporale: Laurence Pike. Di fronte a loro una folla di ragazzi proveniente da tutto il mondo. 9:45pm: inizia un’ora di adrenalinica dimensione rock che descrivere è impresa ardua.
Si parte dalla suggestiva e ascendente Fool in rain dove il trio distilla lacrime di elettronica che immobilizzano la platea. Si vola in galassie lontane. Si cancella il male e la distruzione che circonda. Questo fantasy-beat fa bene all’anima. Poi il rosso delle pareti scivola e diventa In blood… una danza mesmerica dove Richard Pike oscilla tra sghembi riff di chitarra e linee di tastiera che si intersecano sugli accenti imprevedibili di batteria di Laurence Pike e le frecce sintetiche di Dave Miller. Nuova era. Nuova esperienza tridimensionale con il solo senso uditivo. Ogni nota occupa un suo spazio, un suo perché nell’anima sonora di noi ascoltatori. La versione live di Sing, your sinner è apoteosi ritmica a cui non si può resistere dove Brian Eno si intreccia con i Talking Heads in un crescendo rossiniano di stampo elettro-rock. Sweet memory è un altro viaggio spaziale senza confini. Quindi si chiude con l’ecletticità di Richard Pike che, dopo aver tessuto con le tastiere la linea melodica introduttiva (alla Vangelis) di O Soundtrack my heart (la title-track del loro attuale secondo capolavoro), si immerge nelle corde di basso e qui ti accorgi che il trio anglo-australiano ha la dinamica del suono nel sangue. E’ tutto un vortice che assorbe e diventa osmosi onirica. Si estingue il suono. L’estasi resta. Richard Pike inseguito per congratulazioni infinite e ragazzi si affannano a staccare con cura manifesti del tour dei Pivot. E’ già storia (che passerà a Novembre anche in Italia).