*”E scioglie ancora nella sua memoria / Labirinti, allitterazioni, emblemi”. Attimi celesti fatti di volti, parole, nomi, mani, petali, profumi, labbra, silenzi, luoghi. Ricordi del colore dei rubini. Ricordi nel centro remoto del senso. L’alito della velocità sceglie come complice l’oblio. L’azzardo della lentezza sceglie lo spazio dell’anima e scioglie i nodi dell’accaduto, ritrovando la pelle bianca delle sensazioni che sfidano la nostalgia e le sue frecce. Moltheni suona il ritorno con un lavoro impeccabile, ne delinea i contorni e ne cerchia il cuore pulsante con l’armonia dei dettagli delle note e con le rivelazioni degli ingranaggi ermetici che il folk sa invocare quando esplode nell’urgenza della carne e nei bisogni del sentire. I segreti del corallo ha l’eccellenza delle verità improvvise, non sviate. LostHighways osa la discrezione di un dialogo sincero, di squarci e di linee d’istinto.
I coralli hanno un segreto: un corpo remoto, interno. Come la memoria, luogo indefinito di ricordi che a volte cerchiamo con consapevolezza, altre volte sanno esplodere e ferire inevitabilmente. Il tuo nuovo album, I segreti del corallo (La tempesta, 2008), si apre con Vita rubina ovvero una sequenza di istantanee di vissuto affiorate come una corrente inarginabile. La memoria, ancora chiave di volta della tua poesia…
La memoria e il passato, sono elementi fondamentali della mia vita. Affiorano e delineano ciò che intravedo nel futuro, anche se il futuro mi ha sempre affascinato pochissimo. Vita rubina è il brano per l’appunto apripista di questo nuovo album, e non a caso lo abbiamo scelto… lo abbiamo fatto, proprio perchè rappresentasse, come una prefazione di un libro, ciò che racchiude il contenuto successivo: la vita e i suoi fotogrammi messi a fuoco, e visionari allo stesso tempo.
Le persone se ne vanno, spesso. Dimenticano. Non tutti ricordano… o almeno non tutti danno peso e spazio alla memoria. Sanno arginarla, mentendo a se stessi. Gli anni del malto continua le immagini legate al tempo andato. Per te cosa vuol dire rovistare tra i ricordi e lasciarli anche liberi di aggirarsi tra le domande in cerca di un senso?
Vuol dire in massima parte essere libero, lasciare che le cose accadano… confrontarsi con il proprio passato e permettere ai ricordi di mescolarsi con il presente, non sempre è il risultato di una debolezza di carattere o di una mancanza di personalità, spesso è anche ricerca, intesa come un replay degli accadimenti, per adeguarsi a certe velocità (della vita) a cui non tutti siamo abituati.
Ragazzo solo, ragazza sola. Ci sento il mare e la pioggia. E ancora la memoria ma esplicitamente connessa all’amore: “La memoria viaggia in prima classe / L’unica fermata le tue labbra”…
Ogni amore racchiude in sè spazi di proprietà della memoria.
Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato. Quando l’occhio è inciampato sulla tracklist ho pensato che quel titolo fosse in sé una sorta di ampolla piena, che non avesse bisogno di estendersi in altri versi… infatti è uno splendido brano strumentale. Me lo racconti?
Francamente è tutto molto più semplice di quello che sembra. E’ un brano molto enfatico che non aveva bisogno di un testo cantato, ma di un titolo romantico e decadente, a tratti epico. Così ho fatto ciò che andava fatto, nulla più.
L’album ha una doppia natura. Una parte dei brani ha un piglio più aggressivo nei suoni, un’altra, quella che conduce fino alla fine, accarezza la morbidezza e la delicatezza…
Sono le due facce di Moltheni. Una ancorata ad un suono indie con orchestrazioni e intrecci che racchiudono un “patos” che considero necessario alle mie produzioni, caratteristica che mi appartiene. Un’altra invece è la direzione che Moltheni oramai ha intrapreso negli anni, ovvero quella legata alla musica folk-cantautorale, dove poesia e psicadelia si mischiano e diventano una sola cosa.
Corallo. Il mio ascolto è cominciato da lì, d’istinto. La struttura lirica è emblematica del tuo ermetismo a metà tra l’etereo e la carne: “Nel tuo corpo geroglifico / Mettimi in un angolo che la retta poi la tiro io / Capovolgi l’attimo e poi fai play / In modo che non moriremo mai”. Versi che si adagiano su una melodia dolcissima che si moltiplica negli arrangiamenti e trovano la femminilità di una seconda voce, quella incantevole di Barbara Adly. Me ne parli?
La nascita di Corallo non la ricordo, come non ricordo mai dove e perchè scrivo i miei pezzi. Il connubio con Barbara Adly è avvenuto in modo molto spontaneo, considerando che è la mia coinquilina. Lei è la voce dei Juta, band italo-canadese prossima alla pubblicazione dell’album d’esordio.
Capovolgere l’attimo. E poi play. Perché non siamo in grado di farlo durare, l’attimo? Perché moriamo negli affetti?
Non lo so…
Nemmeno io lo so. Verano. Luogo fisico, e non solo. E’ uno dei brani in cui il piano domina… culla, ammalia abbracciando di nostalgia…
Sì, Verano è la colonna sonora di un amore perduto. Ognuno di noi ha un amore perduto, e se così non fosse… ascoltando questo brano, finirà per sognarlo…
Come mai hai deciso di inserire In porpora e Suprema (arricchita dalle dita elettriche di Carmelo Pipitone), due brani tratti da Splendore Terrore (2005)?
Volevo solamente dare un vestito nuovo a questi due brani a cui sono molto affezionato, e le nuove vesti dovevano assomigliare alle versioni che solitamente suoniamo dal vivo. Tutto qua… lo abbiamo fatto.
Posso osare che tu interpreti il folk… ne cogli la radice e la trapianti in uno stile originale che vira verso arrangiamenti sempre distintivi e affamati di lievi contaminazioni? Non è un genere nelle tue mani che smuovono i versi e le note, è un imperativo che lancia una robustezza nell’ispirazione e nella sua concretizzazione.
Non so… nessuno se ne è accorto, ma sono l’unico che tocca il genere folk in Italia. Alcuni pensano che i Modena City Ramblers siano folk. Spesso non si ha neppure idea degli stili musicali. Io non faccio altro che tradurre ciò che vedo, penso e credo e solo la veste folk riesce a farmi raggiungere l’obiettivo.
“To satisfy / That’s what I thought I’d be / I kept on living in my own dream, own dream / In my own dream”: versi lasciati dal cuore randagio di Karen Dalton, la donna a cui I segreti del corallo è dedicato. Perché lei?
Perchè l’amo…
Un giorno qualunque è uno dei brani che segnano la tua collaborazione con i Colore Perfetto (Il debutto, La tempesta – 2008). Come è cominciato questo incrocio?
E’ nato in modo disinteressato e genuino. Ebbi l’occasione di conoscerli quando aprirono una mia data anni fa. Me ne innamorai immediatamente, da quel giorno non ci siamo più lasciati fino a concepire il loro esordio discografico di quest’anno.
Tu, cosa intendi per libertà in relazione al far musica, e poi in senso lato?
Intendo stare lontani da coloro che pensano. Pensare nell’arte è sbagliato, è sintomo di precarietà e di compromesso. Non potrei mai lavorare con coloro che pensano, con le “major” che credono di sapere. L’attuale situazione del mercato discografico globale è frutto della politica delle Major, raccogliamo ciò che loro hanno seminato. Meditate, gente, meditate.
*J. L. Borges – Baltasar Gracián (L’altro, lo stesso,1964)
Un solo commento
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