Venerdì 17. Quale data più malaugurata si può scegliere per qualcosa di tanto importante come la presentazione di un disco? Gli anglosassoni potrebbero dire che il giorno 13 sarebbe stato peggio, ma nella cultura italiana il venerdì è sempre stato considerato giorno di sventura (forse per la morte di Cristo?) e il numero 17 è maledetto sin dal medioevo. Perfino la Bibbia indica l’inizio del diluvio universale il diciassettesimo giorno del secondo mese, ma stasera, fuori dal Covo di Bologna, si sentono poche gocce cadere dal cielo. La pioggia è timidissima e non si azzarda a sfogarsi in questa serata che per alcuni sarà forse indimenticabile. Beatrice Antolini è chiamata a presentare, sul palco della sua città adottiva, il nuovo lavoro discografico: A due. E’ la messa in scena di un sogno, il parto che segue una gestazione, il momento in cui bisogna aspettarsi di tutto: caldi applausi o gelidi sorrisi di circostanza? Solo le mani e gli occhi di chi sta sotto il palco potranno dare risposte certe alle tante preoccupazioni dell’artista; solo la musica e la grinta che saranno dimostrate sopra al palco potranno dissetare le aspettative del pubblico.
Beatrice sale sul palco: viso rivolto verso il basso e passo veloce. I suoi occhi evitano gli sguardi di chi la giudicherà, mentre cercano invece quelli amici, di chi come lei è musicista, scroccando al volo un sorso di birra alla ricerca di un sorriso incoraggiante. L’anima le esce da quel suo corpo-scafandro che di primo impatto può farla sembrare granitica, più di quanto in realtà poi si dimostrerà. Sul palco, dietro di lei, ben cinque compagni di viaggio, a comporre la sua band per il tour: Federico Fantuz alla chitarra, Enzo Cimino alla batteria (Mariposa), Francesco Candura al basso (Jennifer Gentle) e le percussioni di Federico Alberghini e la tromba di Massimo Tunin, due nuovi strumenti ad aggiungere sfumature ai dipinti ricchi di colori che Beatrice è solita proporre. Sono proprio le percussioni ad aprire il concerto, con le sonorità tribali di A new room for a quite life; il clima presto si scalda giocando la carta dello stupore. Ritmo avvolgente ed incursioni dell’organo dell’Antolini fanno il brano originalissimo nella sua complessità, che dal vivo sorprende molto più che nella versione in studio. La bellissima Bread and puppets rispende di nuova luce, data da nuovi arrangiamenti e dai nuovi suoni della band. Sugarise apre con note spensierate ed incalzanti, fino ad una lenta discesa. La musica di Beatrice trasuda femminilità e delicatezza eccezionale. Ogni passaggio alterna visioni oniriche, spettrali e spensierate, affiancando la superficiale dolcezza alla profondità degli abissi dei più grandi incubi e mostri che abitano le menti. Abbandonate alcune ambientazioni musicali che riportavano indietro nel tempo, l’Antolini e la sua band ora mirano a stupire con semplicità. Le composizioni sono sì complesse, ma non edulcorate da ricerche maniacali per una musica “assolutamente nuova”. La Beatrice Antolini di A due cerca di riscoprire la musica e l’essenzialità degli strumenti, vestendo l’attualità in modo moderno ed originale. La tastiera è protagonista in Pop goes to saint Peter; in una frenetica rincorsa di basso e percussioni, il canto dell’Antolini converge in sé ritmo e melodia, risultando uno strumento aggiunto che dona colore e personalità. Dopo la lenta e psichedelica Coca Cola Shirley cannonball (presente nell’album Big Saloon), il ritmo incalza nuovamente in Funky show, con i frizzanti effetti della chitarra e i tanti suoni che uno sull’altro si aggiungono sulla solida ossatura plasmata da Enzo Cimino alla batteria. E così si susseguono gli ultimi brani della serata, tra sorrisi, applausi ed emozione che non può essere celata. Quando le ultime note di Hi! Goodbay! escono dalle casse dell’amplificazione, il sorriso appare sulle labbra di Beatrice. La tensione svanisce, consapevole di essere all’ultimo passo della prima tappa di un percorso nuovo, che la vede sul palco affiancata da una nuova band a presentare al pubblico la propria musica; la propria evoluzione. Bologna è la sua città da molto tempo ormai, e il Covo la vide aprire ai Jennifer Gentle lo scorso anno, ma la prima data del tour è pur sempre vertice di preoccupazioni, eccitazioni ed euforia. Il pubblico ricambia caloroso. Dopo le note, dal palco si offrono solo timidezza e sorrisi sinceri.
Dietro la musica ci sono persone con i loro sogni, ed essere presenti quando questi prendono forma fa sentire anche noi, sotto al palco, più che semplici ascoltatori. Siamo pedine che si muovono liberamente da un sogno all’altro, per carpirne il sapore e l’energia, come le api vanno di fiore in fiore. (Lost Gallery)