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Da solo – Vinicio Capossela

La risacca del piacere confonde il respiro del desiderio, il singhiozzo dell’incanto. Il gioco delle illusioni sfuma nel chiaro-scuro dei sensi, nei gesti di un inverno che consuma, autunno perenne. Occorre ribellarsi alle ragioni dell’infinito con il garbo della finitezza, dei dettagli, della consistenza degli oggetti. Occorre rinascere bambini per scoprirsi adulti, mendicanti, naufraghi, interrotti, assassini, funamboli, giocolieri. Occorre tenere salda fra le dita la propria sfera di Escher ed impararne il segreto riflesso, indovinare l’attimo in cui lo spazio non debba capovolgersi perché il tempo possa svolgersi, rapendo il buio alla luce perché nel buio possa sopravvivere la magia di un altrove intatto. Da solo è altrove intatto, è la giostra di una solitudine perfetta nella sua imperfezione, è il carillon di uno sguardo che si perde, contempla, immola, fugge le simmetrie, rifugge la menzogna, indaga le contraddizioni intuendone la bellezza. Da solo è una passeggiata a piedi scalzi, è una foto ingiallita, l’abito buono indossato in una giornata di pioggia, un cappello a cilindro, uno sparo, un viaggio, un natale ancora, profezia, vetri rotti, fedeltà, filo spinato. Da solo è una preghiera, di un uomo e del suo pianoforte, intonata d’accanto, intuita attraverso, salmo di stupori e silenzi rappresi, di manovelle mosse con la sola forza dell’ostinazione, di risate trattenute e pianti strappati, di applausi giunti il mattino benché destinati alla sera. Da solo è un abbraccio sussurrato, prezioso, sulfureo: l’abbraccio candido, imbronciato, stretto, di una voce che protegge e ferisce, di accordi profetici, sensuali, fieri di una certa mansuetudine, insolenti d’inconsueto; l’abbraccio necessario, complice, leale, meditato dai tasti, tradotto dalle mimiche di ottoni, piatti, tamburi, strumenti giocattolo, theremin, bicchieri, chitarra ed archi, gli “strumenti inconsistenti (così li chiama Vinicio Capossela) che fanno da coro, che danno spazio e profondità” agli umori dei pezzi, ai lineamenti delle composizioni. I generi si fondono per confondersi in un non-genere che è stile in se stesso, d’azzardo meticoloso, d’imprevedibilità, d’atmosfere che rendono la musica bi-dimensionale, luce, movimento, proiezione. La liaison cantato/piano è il cuore pulsante di ogni brano, è il midollo delle carambole d’amore, d’allucinazione, di storia, di poesia. Il viaggio è una fuga che conserva in se stessa il coraggio del ritorno, il miraggio di una favola con le braccia forti ed in bocca il retrogusto delle sconfitte. Il gigante e il mago marcia, soave e cerimoniosa, appesa all’altalena di una fantasia barocca eppure essenziale, identica al rumore dei sogni, sunto e trucco, orrore e fanciullezza. In clandestinità passeggia i modi della fuga, dal fingersi al ritrovarsi, errante viandante dei se, degli eppure: “qualcuno mi protegga da quello che desidero o almeno mi liberi da quello che vorrei; dall’obbedienza e dal timore e dalla vita, guadagnare la libertà dalla clandestinità”. Parla piano siede, dolcissima, al bordo di un orizzonte di angoli, sbircia la malattia dei pegni d’amore frugandosi nelle tasche, in cerca di quiete, di un ritorno possibile (“sopra il volto tuo pago il pegno di volere ancora avere, ammalarmi di te raccontandoti di me […] di rinunciare a me non sapendo dividere, dividermi con te”). Una giornata perfetta, fischiettando, gironzola d’attese e piccole soddisfazioni, con il viso pulito, un sorriso di buon umore, all’occhiello della giacca una gardenia d’ottimismo, d’aria frizzante, che mette a fuoco il cielo e non le nuvole, i ricordi buoni e non quelli cattivi. Il paradiso dei calzini vola leggera, onirica, con la sua consistenza di zucchero a velo, di nenia, scarabocchiando l’abbandono con colori pastello, inventandogli un luogo di paia, di coppie destinate alla perfezione del numero due: “dov’è andato a finire il tuo amore quando si è perso lontano dal mio / dov’è andato a finire nessuno lo sa ma di certo si troverà là”.. Orfani ora trascina, amara ed incantevole, i propri passi nudi On the beach, su un tappeto di dolore e candore, il dolore uggioso dell’avere perduto, il candore nevoso di un desiderio intatto; implora il calore di un ritorno che curi, che copra la pelle, che sia meta e, nuovamente, vita. Sante Nicola trema di un freddo fatato, presagio di un dono, del dialogo possibile, capace di rendere la desolazione omaggio di bellezza. Vetri appannati d’America, epica e clandestina, indovina il rimpianto di una terra interamente percorsa, smisurata nella sua sconveniente pochezza, di stenti e abusi, di rimandi e gioghi, fiera e meschina, assassinata ed omicida. Dall’altra parte della sera bivacca fra binari morti e nebbie preistoriche, nere, scansando i confini dei continenti nel mistero di un’appartenenza notturna, ubriaca, affamata. La faccia della terra mette radici nel deserto del bisogno, parafrasa un destino d’assenze nella parola delle scelte, dell’azione, nei comandamenti della quotidianità; ha la bocca impastata di polvere, sassi fra i denti e sabbia sulla lingua; ha le mani nere di terra, terra blues, ode alla terra, terra della contea di Pima, sotto alle unghie dei Calexico. Lettere di soldati si rannicchia, minimale e pulsante, nelle trincee dell’indignazione; dice dell’ignominia ma usa clemenza ai burattini degli elmetti e delle bombe a mano, privati, ancor prima che della vita, della propria normalità, dei propri sogni d’amore (“la casa ci separa e ci avvelena / nessuno tornerà più come prima”). Non c’è disaccordo nel cielo torna verso casa, elegantemente, dal 1914 ad un oggi di angeli e demoni, d’uncini e sogni; bussa alla stanza/volta celeste che prima d’ora ospitò Frederick Martin Lehman ed il suo eden privato; s’accomoda in una poltrona consacrata all’aspettativa e rimira il paradiso nella suo essere in potenza, purgatorio e afflato, nascondiglio e orizzonte: “Così resto solo col cielo e altro non vedo e non so / ma se tutto è nascosto nel cielo al cielo io ritornerò”. Da solo è dodici, numero sublime, scomponibile in divisori che sommandosi svelano la perfezione; è poema epico della consapevolezza, delle sensazioni rimesse alla rima del sapore, dello straordinario; è un vascello, un porto, una sentinella, eremo in cui risuona la traccia fantasma della solitudine.
“Perché questo è l’ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell’uomo – di noi e degli altri” (C. Pavese, Saggi letterari)

Credits

Label: Warner – 2008

Line-up: Vinicio Capossela (voce, pianoforte Steinway & Sons Gran Coda model D 1958, pianoforte Baldwin Acrosonic 1953, pianoforte tallone ¾ 1970, melodica, Pianoforte Steinway B. 1905, mellotron, chitarra wood-dobro National, armonio indiano) – Zeno De Rossi (grancassa, piatti, batteria, tamburi) – Enrico Gabrielli (clarinetto piccolo, sax contralto, sax tenore, clarinetto, clarinetto basso, flauto, Eko tiger organ, arrangiamento per fiati ed archi) – Frank London (tromba) – Matt Darriau (sax baritono, sax tenore) – Enrico Allorto (basso tuba) – Giulio Rosa (basso tuba, cimbasso, contrabbasso) – Glauco Zuppiroli (contrabbasso) – Alessandro “Asso” Stefana (chitarra elettrica, Autoharp, Marxophone, Optigan, celesta, fischio alle ragazze, Lap steel guitar, chitarra fantasma, Tubular Bells , banjo, cori) – JD Foster (campanellini, cori) – Vincenzo Vasi (glockenspiel, Toy piano, campionamenti ed elettronica, fischietto, Theremin, cori) – Raffaele Kohler (tromba, flicorno soprano) – Luciano Macchia –(trombone) – Edodea Ensemble (archi, primo violino) – Edoardo De Angelis (secondo violino) – Michelangelo Cagnetta (viola ) – Joele Imperial (violoncello) – Anthony Coleman (Mighty Wurlitzer Theater Organ) – Vincenzo “Cinasky” Costantino (Fischio d’inizio track 4) – Cameron Carpenter (Mighty Wurlitzer Theater Organ) – Pascal Comelade (Toy piano, altri strumenti giocattolo) – Gianfranco Grisi (Cristallarmonio, Concertina) – John Convertino (batteria track 10) – Joey Burns – (contrabbasso, chitarra classica track 10) – Martin Wenk (tromba track 10) – Jacob Valenzuela (tromba track 10) – Ursula Knudson (Sega musicale track 9) – Fabrice Martinez (violino track 9) – Mario Brunello (violoncello) – Gak Sato (battito cardiaco track 11); Arrangiamento per organo di Anthony Coleman; Arrangiamento per fiati e d’archi, partitura per violoncello solo di Enrico Gabrielli; Scritto e prodotto da Vinicio Capossela; Testi e musiche di Vinicio Capossela, tranne Non c’è disaccordo nel cielo (parole Vinicio Capossela, musica Frederick Martin Lehman)

Tracklist:

  1. Il gigante e il mago
  2. In clandestinità
  3. Parla piano
  4. Una giornata perfetta
  5. Il paradiso dei calzini
  6. Orfani ora
  7. Sante Nicole
  8. Vetri appannati d’America
  9. Dall’altra parte della sera
  10. La faccia della terra
  11. Lettere di soldati
  12. Non c’è disaccordo nel cielo

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Un solo commento

  1. Vinicio è uno degli artisti più espressivi del nostro panorama. La sua passione per la musica è più che evidente e soprattutto contagiosa. Roberta, ho avuto la tua stessa impressione di rarità ascoltandolo.
    Lo aspetto con grandissima curiosità dal vivo: sicuramente creerà anche in questo caso uno spettacolo unico.

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