Due chitarre, basso e batteria. Asciutti ed essenziali, gli Zabrisky alzano lo sguardo su questo angolo di Milano sopravvissuto al letargo autunnale, guardano dritto in faccia i pochi presenti e danno il loro meglio. Suonano davvero, suonano la loro Londra privata, il loro amore maniacale per quell’oltremanica maestro di essenze e vibrazioni pop. Il loro rock ce lo regalano ripulito e fiero, cantato di petto e suonato di tendini. I love her when she smiles brilla come asfalto bagnato, quello di Northside highway, secondo album del gruppo prodotto da Giovanni Ferrario, groviglio di strade che percorre le periferie, fuori dalle mode, retrò in maniera gioviale, adolescente cresciuto di nostalgie, salvato dalle nostalgie. Stone Inside, Calling home, When summer is suonano spontanee e fiere, dolci e dirette; camminano fra i tavoli in giacca di pelle, con le loro t-shirt in bianco e nero ben ancorate sul petto, orecchiabili, godibili, mai scontate. Crash è viva della vitalità tutta metropolitana di certi spaccati blues, velluto underground, voce metallica, groove senza fronzoli. Pioggia, mansarde, marciapiedi: lo sguardo ri-scopre la dimensione orizzontale delle prospettive, non si perde verso l’alto, lascia che sia il privato a stabilire la misura del pubblico, non viceversa.
L’elettricità di Better time sbircia il ritmo con occhio folk. Always yesterday, psichedelica a modo suo, abbraccia un amico in sala e gli concede un viaggio fra diapositive scattate con il cuore in mano. Flowing fun ha un corpo quasi prepotente nella suo essere nudo, sostanza, densità di sola carne, un po’ Kinks, un po’ Beach Boys. Summer starts today lascia che le voci giochino con le corde a ricreare fra i plettri una ragnatela di note essenziali. Emma’s house è il momento in cui Marco Bagagiolo, Alberto Loverso, Jury Dogà e Nicola Ferrarese si spogliano dei loro panni e vestono quelli dei Field Mice: interpretano questa cover impeccabilmente, quasi nostalgica nella sua perfezione. My room is like a sea scopre le vene sul collo degli strumenti, scioglie il nodo rock dell’ugola e lascia che la tensione sfoghi, compatti le onde di suono, afferri i minuti fino a setacciarli con Robert’s song (Robert Vogel) dal tessuto ritmico possente, chioma d’echi ad effetto. Your house was bright on Sunday, Stormy weather, due i bis che chiudono la performance, belle melodie, suoni forti, brani con la schiena dritta, schietti, repentini, di assoli di chitarra che rapiscono ed emozionano, che insinuano un forte desiderio di sorridere, di accennare un consenso liberatorio con la fronte e con le mani. E’ possibile amare davvero la musica qui, in questo sottoscala, fra la parentesi di questi mercoledì sera; è ancora possibile riconoscerle una priorità, goderne le sfumature, artistiche ed umane, lasciare che ti autografi l’anima con la generosità che la muove, che le consente di respirare. Conta poco il numero dei gentili ascoltatori; conta la qualità, la dedizione, la cura: il D-Day lo suggerisce, gli artisti lo sentono. Lo scambio che si consuma è intimo e prezioso, assottiglia le distanze, illude di un miracolo possibile, diverte, disseta. Ringraziare è cortesia. Ringraziare, oggi, è un doveroso gesto di stima.