Ci sono dischi che scelgono altro prima dell’orecchio. Scelgono gli occhi. Poi scelgono le mani. Perché il senso posa nei tratti del disegno, dei suoi colori tirati dalle punte arrotondate delle matite e della polvere delle sfumature. Perché una donna a mezz’aria e a mezzo corpo racchiude la sua storia nelle gocce/petali delle rose di cui interpreta il profumo, fino a piangerlo a viso pieno. Perché il senso gioca con la carta pregiata, con la stoffa e con la fantasia del collage, con filo e colla, quelli con cui si tengono insieme i ricordi, le istantanee dell’eccezione, i contorni sfuocati di forme sospese sulle diagonali delle fughe. Ci sono dischi che chiudono il mondo fuori e spingono il tempo lungo prospettive orizzontali da percorrere a doppio senso. Ci sono dischi che vestono la semplicità dell’imbrunire, dopo aver tirato la tenda al cielo e alle sue parentesi di nuvole. Ci sono dischi che frugano il centro e si annidano, belli come la virgola che osa protrarre e poi schivare l’amarezza dei punti.
I 4fioriperzöe tornano dopo cinque anni, dopo l’ottima prova Normalmente scompaiono (Sciopero Rec/Mescal). Tornano con un oggetto prezioso. Sì, un oggetto perché toccarlo, guardarlo, ascoltarlo lo rende tangibile. Un oggetto che suona, anche. Suona circolare nel policarbonato ingannato da un colore caldo, da una rosa e dai suoi petali in gocce. Suona su esili tappeti drum’n’bass; concede la leggerezza di certo hip hop garbato; chiude volumi all’elettronica; eleva fino all’eleganza delle aperture melodiche che rovistano nella tradizione cantautorale e nella dolcezza degli intermezzi orchestrali. E la sperimentazione diventa lusso perché il pianoforte crea l’incanto all’improvviso e rende lieve l’intrusione, perché gli archi sanno il gioco della tenerezza e i fiati cuciono nuovi enigmi negli spigoli dell’aria. Gli enigmi ovvero Tredici cose che dovrei dirti (Garrincha Dischi, 2008). Cose che hanno a che fare con le rinunce, con le incomprensioni, con la memoria, con il saluto che non ha il coraggio della fine. Con l’amore. Quello che si ferma: “Io chiudo i miei occhi mentre penso che / attendere non vuol dire riuscire, / attendere non vuol dire averti” (Attendere, riuscire, averti). Quello che inciampa mentre prova il valzer degli addii: “Al tempo mentre scherzava col destino, / alla memoria mentre giocava a carte in un bar di paese, / a tutte le frasi intelligenti che non sono riuscito a dire, / ai miei ultimi sette anni, ai tuoi ultimi cinque anni. / Ho parlato di te, ho parlato di noi…” (Ho parlato di te). Quello che riconosce la negazione dell’impegno: “Lei: Infatti no, tu no, non sai comprendere l’unicità, impegnato / come sei a elencare tutto ciò / che non dovrei toccare perché vuoi proteggere. / Oppure escludermi” (Dieci volte no, in duetto con Barbara Cavaleri). Quello che confonde le linee e poi apostrofa l’evidente: “Ricordi com’è stato bello / la notte in cui tu e io / non siamo riusciti a incontrarci / sudammo gocce di luna piena / nelle sacre fiamme dei nostri santi sentimenti / E quando venne il mattino mi congratulai con te / per avere dimenticato il mio nome / e tu mi sussurrasti / il sentimento è reciproco / e chiudemmo gli occhi / per guardarci l’un l’altra (I nostri santi sentimenti, reading affidato alla voce perentoria di Emidio Clementi, alle pulsazioni prepotenti di basso, ad attimi di incursioni dissonanti). Quello che trova la solita verità tra le parole che sono già state scritte nelle pieghe degli anni, come quelle di Mogol/Battisti riposte in una versione delicatissima, come un inchino a chi ha baciato la poesia dell’immediatezza: “sperando che non sia follia / ma sia quel che sia / abbracciami amore mio / abbracciami amor mio / che adesso lo voglio anch’io” (Ancora tu). Quello che spera, debole: “Più sorrido, più non cambia nulla / e mi ripeto “dai, una cosa per volta”. Poi sorridi tu per quel che non sai / E ti dico: “scendi giù da quel silenzio” (Una cosa per volta).
Tredici cose che dovrei dirti… e si guarda intorno, infila il naso nelle rose, piange un po’, poi vola… con la leggerezza malinconica di chi può amare. 4fioriperzöe conoscono il segreto della semplicità delle fotografie nei giorni tra i tanti. E la mettono nelle mani di Lara Norscia e delle sue timide figure nate dal ricamare la carta / incollare la stoffa. / Pungersi le dita. Un disco che ricorda quanto sia difficile ma inequivocabile… “non sprecare alcun momento di questa così breve vita”.
Credits
Label: Garrincha Dischi – 2008
Line-up: Matteo Romagnoli (voce, programmazione, chitarra, synth e tastiere, basso su trk 07) – Nicola Manzan (chitarra, violini, pianoforte, tastiere ed effetti) – Francesco Brini (batteria, acustica ed elettronica, programmazione, effetti); Con Domenico Loparco (basso) – Vincenzo De Franco (violoncello); Ospiti: Terje Nordgarden (voce e chitarra su trk 11) – Emidio Clementi (voce su trk 07) – Barbara Cavaleri (voce su trk 05) – Enrico Gabrielli (clarino basso e flauto a coulisse su trk 07, clarinetto su trk 10, flauto su trk 08 e 10) – Mariangela Rubino (oboe su trk 08 e 10); Livio Boero tromba su trk 08) – Tommaso Mantelli (cori su trk 04 e 06) – Marcello Petrussi (basso su trk 11) – Alessandro Piretti (rullante e spaghetti su trk 11); Registrato presso il Donkey Studio di Medicina (BO); Produzione artistica: Matteo Romagnoli e 4fioriperzoe; Il testo de I nostri santi sentimenti è tratto da Scarafaggi ed altre poesie di Pedro Pietri; Illustrazioni di Lara Norscia (ricamidicolla.blogspot.com); Grafica, Lettering (Francesca Scuto) www.blackego.net
Tracklist:
- Attendere, riuscire, averti
- Come non sopporti
- Ho parlato di te
- Dieci volte no
- Ancora tu
- Le mie volgari parole
- I nostri santi sentimenti
- Niente rimane nel tempo
- Una cosa per volta
- Spero saprai
- Senza mai ricordare
- Buona fortuna
- Cammino
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