Stasera al Circolo degli Artisti si avverte un’insolita atmosfera.
La stanza buia e soltanto una fioca luce violacea in lontananza che rischiara parte del palco lasciando intravedere una batteria minimale, un laptop e un tastierone giusto al centro del palco. C’è una strana sensazione avvolgente nell’attesa che quasi fa prefigurare di essere sul punto di assistere ad un evento importante, fuori dal comune, una di quelle occasioni che non capitano tutti i giorni e che quando ci rifletti diverso tempo dopo, ti senti fotunato per essere stato parte.
Si dice che tre sia il numero perfetto. Quando i tre australiani salgono sul palco ti accorgi che mai affermazione fu più adeguata. Inizia il concerto dei Pivot. Più che di un concerto si tratta in realtà di un solido flusso vorticoso di onde sonore che ti prendono e ti trasportano in una dimensione ulteriore senza che nemmeno te ne accorgi.
E’ pura perfezione sonora, estasi rappresentata da una compattezza e da una corposità del groove trasportanti. I tre sembrano essere in osmosi con i propri strumenti e sembrano fondersi in un’unica essenza che unisce animo umano e purezza e limpidità del suono. Ogni stacco è potente e convinto. Ogni passaggio eseguito all’unisono. Ogni melodia sintetizzata è pura energia che si insinua nelle viscere. Si divertono mentre suonano, sorridono, trasportano e si lasciano trasportare. La batteria di Laurence Pike cuce un tappeto sonoro vigoroso e preciso in cui ogni colpo ha la sua funzione ritimica e sul quale si incastrano, come pezzi di un puzzle, ora la chitarra, ora la tastiera, ora il basso di Richard Pike (controfigura, incredibile ma vero, di Ewan McGregor nell’ultimo Guerre Stellari); il tutto condito dall’elettronica e dal magico pc di Dave Miller. I brani suonati sono quelli dall’ultimo e unico disco O soundtrack my heart e non avrebbe senso ripercorrerli in ordine di scaletta. Sono infilati uno dietro l’altro senza soste in un’ora di puro incanto onirico. E nel loro fantasy beat c’è tanto kraut rock ma anche tanta elettronica, synthpop, ambient, new wave e sperimentazione. Si sentono gli echi dei Kraftwerk, dei Neu!, dei La Dusseldorf, di Jean Michael Jarre, Brian Eno, Vangelis e persino dei Talking Heads.
Nemmeno la componente umoristica manca. Del resto cosa vi aspettereste da una band che manda il proprio demo alla Warp, nel 2007, corredato da un succulento hot dog?
Alla fine del concerto sembrano tutti come risvegliati da un sogno, in trance, un po’ storditi e ancora immersi nel vortice dei pensieri e delle sensazioni evocate poco prima. E ti sembra che il tempo non sia passato, come sospeso in un eterno limbo prima di giungere alla quarta dimensione. (Lost Gallery)
Grande report! Piacere di averti sulla nostra astronave!