Soccombere alla propria storia. Naufragare tra le onde di una creatività che bacia la volgarità dell’autocitazione. Rimanere legati al ricordo della sponda di una notorietà lambita e fatta carne da mercato a basso prezzo. Guardare al di qua del limite la mediocrità della Musica che si lamenta, parassita di un albero da falso Eden. Rinunciare a osare. Morire. Oppure.
Oppure cucire le ore, i giorni, gli anni di una storia in evoluzione. Nuotare e seguire la rotta di un’urgenza che fagocita gli eventi e li rende parti destrutturate di un codice, testuale e sonoro, che urla alla fierezza. Portare il ricordo tra il bottino della conquista afferrata a morsi e fatta merce rara a consumo dell’intelligenza. Oltrepassare il limite dell’inazione della Bella Italia canterina per graffiarne la noia e mostrarle fiori unici, pagando il prezzo dell’alternativo procedere. Alternativo perché le menti in vacanza sull’isola del tesoro hanno bisogno di gabbie e definizioni, come le accuse dettate dalla morale costruita alla tavola dell’Apparenza. Sfidare la platea delle abitudini. Rivivere.
Gli Afterhours da vent’anni scelgono di rivivere, di reinventarsi la metamorfosi della causa e dell’effetto sulle mani d’avorio dell’istinto e del calcolo delle probabilità, tenendo a mente solo l’integrità e l’onestà di un’ispirazione che lancia sfide ai luoghi comuni e guarda in faccia l’ipocrisia fino a veder pulsare il cuore di una società in cui usarsi è l’unica forma per esistere.
Non ostentano. Non indossano saccenza. Intrecciano fili d’ironia. Tirano sul volto della consapevolezza il ghigno del sarcasmo. Si accomodano nella stanza della Musica che fa rumore e conoscono il funzionamento di un’amplificazione che libera l’onda d’urto di una progettualità figlia delle regole di una genialità che rimane vergine anche nel seno di una major. E sanno che far rumore non significa solo aggredire, ma anche strisciare morbidi fino a far male, come una lama che ambisce al sangue appena sfiorando ed evitando l’Urlo del dolore.
Tra lodi e critiche, tra crisi e vette, tra copertine e silenzio, tra palchi e studi, tra elettrico e acustico: anni e cambiamenti, rimanendo fedeli a se stessi con quella giusta dose di coraggio, ambizione, intuizione, preveggenza, acume, autoanalisi che qualcuno confonde con arroganza. Ma è solo incapacità di comprensione di una realtà che in Italia tiene stretto il suo nome e lo lancia all’estero. Perché difendersi e volare alto è rispettarsi, è credere nella strada che si percorre fino in fondo, evitando soste nelle periferie dell’autocompiacimento.
I milanesi ammazzano il sabato (Universal, 2008) ha segnato il ritorno degli Afterhours, arrivando a dominare le classifiche di un paese assopito alla melodia in saldo. La coda della primavera batteva sul sipario del nuovo corso e in pochi mesi date su date, promozione tra la rete e i canali tradizionali, sperimentazione visiva, ricerca continua mantenendo intatto il velo della leggerezza che solo agli audaci è concesso. Dopo pochi mesi, la reissue de I milanesi ammazzano il sabato: 25 ottobre e la presentazione alla stampa a Parigi, nel quartiere Le Marais offrendo agli occhi, alle mani, ai cuori, alla rabbia, alla liberazione una performance elettroacustica di intensa e sfacciata Bellezza.
La riedizione è l’occasione per affiancare all’album canonico una seconda mappa che sappia svelare le dinamiche di un’attitudine live che contorce i brani (passati e recenti) in splendidi arrangiamenti (anche con la malia di una sezione di fiati) che indovinano il guizzo della trasformazione che brilla con la luce della poesia sporca e sublime, aliena dal purgatorio della menzogna e gemella di un inferno dolce di rigenerazione. Cinque attimi di intima ferocia e lieve carezza vengono rapiti al tempo nel ventre dell’Auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare di Milano (registrazione di W. Geroli, 29/05/08): Naufragio sull’isola del tesoro, E’ solo febbre, E’ la fine la più importante, I milanesi ammazzano il sabato e un’affascinante Quello che non c’è che intona l’inno della rarità mentre veste la seta della fragilità che prova a resistere, della verità sbattuta contro il margine dell’illusione. La chitarra di Manuel Agnelli fa vibrare la forza, modula l’orgoglio, passa in esame dentro le esplosioni della voce la metrica delle visioni, raccoglie le proiezioni delle possibilità nei tempi dilatati fino alle sfumature più sottili: regina e schiava, dea e musa di un incantesimo sonoro che chiama a sé la complicità di batteria, basso, fiati, tastiere… compiendo un rito che sa essere primitivo e sofisticato, ambiguo e leale. Due granelli di sabbia vengono tirati fuori dalla clessidra che misura il flusso dell’oblio nella cavea dell’Auditorium di Roma (registrazione di V. Giraudo il 24/07/08): Neppure carne da cannone per Dio, Orchi e streghe sono soli. Trombone e tromba completano e rendono straniante eppure ammaliante lo stile degli Afterhours.
E non è tutto. Un inedito e una cover. Due di noi (testo: Manuel Agnelli/Roberto Dell’Era; musica: Roberto Dell’Era) sa unire la melodia tipica della tradizione cantautorale italiana (in stile 60) ad una struttura metrica accattivante, sensuale, provocante eppur malinconica, mentre il noise condisce di fascino e sferzate la delicatezza dettata da fiati e archi. You know you’re right fa un inchino a Kurt Cobain, e lo fa con l’eleganza e la sapienza di chi può azzardare un furto che non è danno: chitarra acustica, archi, tastiere, e Voce che trattiene e libera una gemma nascosta (fino al 2002) dei Nirvana, sortilegio e diadema di una fine; ogni singola parola scivola e striscia, vola e poi si aggrappa alle corde stendendo sulla tela di uno stato d’animo fuga, ritrosia, ferita, dolore, paure… vita sussurrata e poi urlata.
Un doppio cd che è un “oggetto”, prezioso perché magico, perché scrigno di meraviglie. Se la Bellezza si misura in base alle emozioni, allora la reissue de I milanesi ammazzano il sabato ne ha così tanta da togliere la possibilità di contarne il ritmo.
La storia segue il suo corso, ancora: gli Afterhours sono ritornati in Italia dopo i successi del nuovo tour in USA. E continua con il nuovo video di Graziano Staino che ha interpretato con la sua sintassi asimettrica il singolo Musa di nessuno (in proiezione in questi giorni nel circuito Fnac). E continua con il nuovo tour autunnale che toccherà le principali città italiane e che LostHighways documenterà perché cosi deve essere.
Morire oppur rivivere. Questione di scelta. Sempre. (Foto by Serena Remondini)
LostHighways ringrazia Casasonica Management per la collaborazione e l’invito all’imminente tour.
Li amo, perchè hanno qualcosa sottopelle che li spinge a continuare, diciamo pure un germe di cui non si liberano. Scegliere di seguire un progetto, curarlo, darlo in pasto alle persone attira sempre delle critiche, delude aspettative di alcuni e a volte esalta troppo altri.
Gli afterhours, mentre le persone sono impegnati ad amarli oppure odiarli, semplicemente continuano a realizzare i loro progetti. Scelgono tra A e B, pur non servendosi dell’alfabeto. Ci prendono anche un po’ in giro.
Il germe, una volta nato, sa d’istinto come trasmettersi, non necessita di una guida.
(Grazie di aver messo la lente d’ingrandimento proprio su questi fiori)