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There is a mountain you could not even climb: intervista agli Schiele

Il rock che nasce dalla maestosità delle montagne che sovrastano Vicenza ha un solo nome… quello degli Schiele. Nel loro secondo lavoro autoprodotto Pictures of mountains, sotto la direzione artistica di Giulio Favero (Il teatro degli Orrori), propongono un rock in chiave noise e post non trascurando la melodia. I loro brani sono sussulti di aspro rock che subisce varie influenze ed è difficile da definire. I colori spigolosi a tratti scuri di Pictures of Mountains definiscono un autoprodotto con la maturità di un disco indie d’importazione. LostHighways ha voluto investigare questo interessante gruppo ai primi passi nella scena indie italiana focalizzando sull’importanza dell’autoproduzione.

E’ difficile definire la vostra musica. E’ caratterizzata da una matrice post-rock ma poi sfocia in derive noise ai confini del post-core. Come definireste il vostro sound?
E’ sempre difficile definire certa musica, e lo è ancora di più autodefinire la propria. Personalmente la definirei rock. Un tipo di rock abbastanza urgente, suonato più col cuore che con il cervello, nel senso che non ci prefiggiamo lo scopo di stupire a tutti i costi l’ascoltatore con trovate geniali, cervellotiche, sensazionali. Non ci prefiggiamo neanche un genere, suoniamo improvvisando quello che ci viene e poi ci lavoriamo su piano piano in sala prove, abbiamo background musicali diversi e probabilmente  si sente, poi ogni definizione è abbastanza relativa a ciò che uno ascolta/ha ascoltato… certo siamo musicalmente vicini al post-rock, anche se lo danno per morto (come il rock del resto).

Il tema delle montagne nella copertina, nel titolo del disco e nel brano Mountains get Higher… quale concept c’è dietro?
E’ vero, il tema delle montagne è particolarmente presente in questo lavoro. Effettivamente abitiamo ai piedi delle Prealpi, e la montagna è una presenza costante nelle nostre vite. E’ lì, massiccia, rocciosa, coperta di nuvole, umida, innevata, aspra… un po’ come la nostra musica. In fin dei conti le montagne sono uno dei tanti monumenti della natura, destinate a restare per tempi infiniti, mentre l’essere umano è di passaggio, destinato a scomparire. Ecco, rispetto all’uomo sono sempre più grandi. Credo che la montagna e i suoi boschi siano immagini che rendono abbastanza bene la sensazione della nostra musica e gli stati d’animo con cui la concepiamo.

Portraits of love è un pezzo che mi ha colpito… come è nato?
La prima stesura di questo pezzo risale ai tempi appena successivi alle registrazioni del primo lavoro This heart does not hurt. Per un periodo il pezzo è stato messo nel cassetto, poiché non rendeva come avremmo voluto. Poi come spesso accade è stato recuperato. Giulio, in fase di registrazione, ha aiutato molto a impostare certe parti vocali di Luca, che dal canto suo, ha reso il massimo con la sua voce. D’altronde è un pezzo che lui sente particolarmente suo, poichè è stato scritto  alla fine di una relazione importante, e si prefigge di trasmettere cuore e necessità di esorcizzare certi fantasmi.

Perché il nome del gruppo è Schiele? Forse perché le vostre chitarre sono spigolose come le sue pennellate?
Schiele è indubbiamente un artista che ci piace molto, quindi è facile fare un po’ gli snob ed abbinare la nostra musica al suo stile pittorico. In realtà ci piaceva molto come suona la parola “schiele” in sé…t utto qui.

My death nasce da versi di R. Carver… è solo un episodio o cercate spesso di ispirarvi a testi letterari per la stesura delle liriche?
No, onestamente è solo un episodio. Io personalmente adoro ogni scritto di Carver.

Come è stata la collaborazione con Giulio Favero?
Giulio è un extraterrestre in campo musicale. Sembra che tutto gli riesca in maniera spontanea e senza troppi sforzi, con risultati eccellenti. Un po’ come certe persone che riescono a fare bene ogni sport in cui si cimentano. Oltretutto è un bravo ragazzo e un lavoratore serio. E’ davvero portato per questo lavoro!

Quanto è importante autoprodursi?
Purtroppo molte volte è l’unica soluzione. In effetti il mercato musicale è abbastanza saturo (e noi senz’altro concorriamo a questo).  L’autoproduzione costa ovviamente denaro che difficilmente, a certi livelli, rientrerà in cassa. Però permette una totale libertà artistica e di scelte varie. Non è che sia “filosoficamente” importante autoprodursi: molto spesso è l’unica via d’uscita. Noi  abbiamo contattato etichette sia col primo che con questo disco, ci dicono bravi, e basta. Per andare avanti si arriva di conseguenza all’autoproduzione. Poi a ben vedere, confrontandoci  anche con  nostri amici che sono sotto etichetta, non è che la cosa cambia poi molto, visto che anche le etichette sono squattrinate il più delle volte.

Ascoltando il vostro disco mi è venuta subito in mente la stessa attitudine post-rock degli ultimi Meganoidi. Cosa ne pensate di questa band e della svolta che ha intrapreso negli ultimi lavori?
Abbiamo conosciuto i Meganoidi aprendo per  loro un concerto a Vicenza,  e ci piace l’accostamento che fai. Sono ottime persone, che hanno fatto una scelta decisamente impopolare e rischiosa, e da noi sinceramente apprezzata.

Quanto internet è importante per la promozione della musica autoprodotta come ad es. la vostra?
E’ senz’altro importante per promuovere la propria musica.  Grazie a realtà come LostHighways, e tante altre,  webradio e soprattutto MySpace, gruppi come il nostro possono avere visibilità anche fuori dalle proprie aree regionali. Dicamo pure che è fondamentale, anche e soprattutto per venire in contatto con locali e/o manifestazioni.  20/15 anni fa, muovendo i primi passi fuori dalle “cantine-sale prove”, si faceva tutto solo via telefono ed era veramente dura uscire dai due/tre locali della provincia, ora puoi tranquillamente contattare chi vuoi (anche se poi non ti rispondono). Detto questo, rimane ovvio che la situazione che preferiamo per diffondere la nostra musica, è il live.

Portraits of love – Preview

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