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Una sera senza pioggia: Paolo Benvegnù @ Magnolia (MI) 18/11/08

E’ una sera senza pioggia quella che ci accoglie al Magnolia. E sembra così distante da quella di qualche mese fa in cui eravamo lì per Benvegnù. Sembra, fin quando il palco non si rianima con cinque strani cavalieri d’altri tempi, senza armatura né cavallo, a musicar lame che oltrepassano l’epidermide per scavarti l’essere fino a farti sanguinare, fino a giungere nella profondità dove il dolore si trasfigura in salvifica luce.
No, non c’è la pioggia questa sera, ma è come sentirla fitta e leggera mentre sei lì ad attendere che inizi la vivisezione della tua anima, mentre attendi una voce che ti ricordi che non sei nato solo per sopravvivere, ma per vivere.

Così nel buio ogni goccia inizia a scavarti La schiena e lo sai perché, di tutti i luoghi in cui potevi essere, sei lì e in nessun altro. Lo senti quando il timbro di quella voce dolce diventa tagliente per urlarti, come un rimprovero più simile a quello di una madre che non a quello della tua razionale coscienza, che davvero non hai più neanche “un idolo da venerare” e che ti sei dimenticato Il sentimento delle cose preso dal tuo superficiale egotismo, perso nella velocità di questo spazio e di questo tempo che ti lasciano sordo nel fragoroso rumore del nulla, senza più nessuno stupore, senza più nessun tramonto che riesca a contagiarti.
E Benvegnù madre, che ammonisce senza giudicarti, ti traghetta con i suoi cavalieri, nel tuo inferno privato e ti fa perdere nel labirinto del suo racconto di gocce che scavano la schiena, di amori santi e blasfemi, di incontri fatti per creare, di corpi divisi in parti uguali, di solitudini in mezzo alle moltitudini, di distanze che feriscono con la loro assenza, di parole finite in bocche mute perché mancano “della necessaria dignità”.
E quando, durante la discesa, trovi la forza di rialzarti da te incroci gli sguardi di chi, come te, è andato lì a cercare la cura nella ferita. Quando, finalmente, trovi la forza di risollevare lo sguardo verso quel palco lui è ancora lì e lo sai che nessuna strategica fuga ti potrà salvare mentre i Paolo Benvegnù ti sbattono in faccia le loro verità, quelle stesse che tieni nascoste dietro infinite maschere e lo senti il dolore di quel coltello che gira nella carne a ricordarti che sei vivo mentre vorresti continuare a nasconderti, ma non puoi perché quelle parole e quella musica fanno tornare alla mente il piacere per lo stupore, ti fanno ricordare che nel tuo corpo c’è un ventre che necessita di essere smosso, un’anima che ha una fame che non si sazia nel vuoto cosmico di superficialità che ti si pone di fronte. Ed è in quel momento che il tuo Nemico ti si presenta di fronte ed ha la tua stessa faccia e le tue stesse mani che impugnano il coltello che ti salverà dalla “mediocrità del gioco degli specchi”.
E’ questo un live dei Paolo Benvegnù, un viaggio in cui ri-scopri la tendenza ad andare oltre l’apparenza per guardare oltre quello che vedi e senti solo di sfuggita, un viaggio che ti costringe a fermarti ad ogni tappa senza più cognizione del tempo, un viaggio in cui trovano nuova vita anche alcuni pezzi degli Scisma (Simmetrie e Troppo poco intelligente), un viaggio con un finale che allenta lo sforzo della tensione dell’essere trasformandosi, in chiusura, in una serata all’osteria con cinque amici su un tavolo che suonano e si divertono “rivisitando” a modo loro i Verve e la loro Bitter Sweet Symphony e salutando con leggerezza attimi carichi di energia emozionale. (Lost Gallery)

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