E tutto ricomincia. Oramai è la quarta volta che vado ad un concerto di Carmen Consoli e mi sembra sempre di rivivere le emozioni iniziali. E’ una serata di quelle invernali, quell’inverno napoletano con il suo freddo intenso e umido, poche gocce d’acqua e il vento che sembra cantare una canzone vecchia di secoli. Il cielo sopra di noi è grigio e chiuso, promette pioggia ma per stasera non manterrà la promessa. Arriviamo in anticipo e decidiamo di andare a bere una birra in uno dei numerosi bar della zona prima di entrare. Ma la birra non fa altro che aumentare quella sensazione di freddo. E allora entriamo. Mi guardo intorno. Un ragazzo stringe una ragazza mentre le sorride e fanno a gara per indovinare con quale pezzo inizierà la cantantessa, più in là due ragazzine poco più che ventenni si baciano e si carezzano, rapite forse dall’amore o forse dalla passione. Io volto il capo e le lascio alle loro effusioni, accendo una sigaretta e faccio quattro chiacchiere con il mio amico. Il concerto che vedemmo insieme l’anno scorso era una session acustica dell’ultimo disco e, soprattutto, era in estate. Quello di due anni fa invece era in teatro.
Questo, invece, è un concerto vero. Un concerto speciale. E’ un salto indietro nel tempo. Dieci anni dall’uscita di Mediamente Isterica, forse l’album più elettrico della cantautrice sicula e il concerto di stasera ne celebrerà il compleanno. Fra tutti i dischi della Consoli, dal più acerbo a quelli della maturità, penso che l’album con la sirena in copertina sia davvero il suo disco più rock, quello più aggressivo. Di certo quello che mi piacque di più. Mentre il freddo continua a scendere su di noi e le due ragazzine ancora si baciano e si promettono amore eterno, le luci si spengono. Sagome scure riempiono il palco e la musica inizia. Lei indossa un vestito nero che le cade largo, una larga scollatura di specchi o comunque con qualcosa che riflette la luce e le evidenzia le spalle. Mi chiedo dove diavolo compri quei vestitini ridicoli che sembrano usciti dal film Agata E La Tempesta, poi lei inizia a cantare e dimentico sia Agata che la tempesta. Mentre grida “D come Dannata Ingenua per quanto tempo ho subito i tuoi raggiri!” il pubblico impazzisce e salta come nemmeno ad un concerto punk, e sì che ne ho visti di concerti punk! Non c’è la grazia dei precedenti concerti, non c’è la chitarra acustica che accarezza le orecchie degli astanti. C’è solo forza e tutto il talento di cui è dotata questa ragazza dalla chioma nerastra. Su Sentivo L’Odore lascia che il suo accento siciliano traspaia beffardo e quei pochi che lo notano esplodono in un’ovazione. Con l’alternarsi dei brani cambia e scambia chitarra mentre Santi Pulvirenti si cimenta in note lunghe e dolenti o rabbiose e violente. Ma anche Carmen stasera è diversa, un’altra persona rispetto a quella donna fiera e posata delle scorse esibizioni. Qui sembra essere tornata indietro, quando i suoni dell’elettrica erano crudi e sporchi, quando le sue canzoni si abbandonavano a derive rumoriste. Qui sembra posseduta mentre si dimena sul palco, lanciando il feedback come dardi avvelenati su una platea estasiata. I brani sono quelli che conosciamo. Eco Di Sirene richiama le voci dei ragazzi e anche le due ragazzine smettono di baciarsi per gridare rapite, una dirompente Geisha spara su di noi le luci di un impianto davvero eccezionale e ancora e ancora. Tutta la maledettissima scaletta di Mediamente Isterica se ne va via troppo, troppo, troppo presto per noi orfani di un sound sporco e vengono a salutarci i vecchi classici, L’Ultimo Bacio, Amore Di Plastica, Blu notte. E’ strano pensare che, a San Leucio, Carmen danzava con una tammorra tra le mani su note acustiche e pulite e che poco tempo prima, all’Augusteo, un’attrice ne accompagnava i testi cantati. Al tempo dissi che il suo spettacolo sembrava una danza tribale, un’invocazione a una non ben specificata dea femminile. Qui sembra che la dea l’abbia addirittura posseduta, cavalcata, presa e lasciata. Ci regala un pezzo inedito che sarebbe dovuto entrare in Mediamente Isterica se il suo produttore non glielo avesse bruciato. Si intitola L’Uomo Meschino e parla del rapporto con un uomo che pensa solo a se stesso ma che comunque, alla fine, riesce sempre a farsi perdonare. Mentre ci mette al corrente del nome e della trama, lancia uno sguardo di rimprovero a Pulvirenti che sorride imbarazzato. Questi loro giochi sul palco sono parte della bellezza di un concerto della Consoli, sono parte dell’intimità gioiosa che riesce a istaurare con il pubblico, il suo scherzare e apostrofare in siciliano la gente venuta ad ascoltarla e un suo marchio di fabbrica che la rende più un’amica che un’icona.
Un concerto indimenticabile. Lasciatemelo dire, penso che sia stato il concerto più bello che abbia visto quest’anno. Se penso che è arrivato quasi sotto Natale, beh… posso pensare che sia il regalo di una Dea. (Foto by Federica Di Lorenzo)