Home / Editoriali / Il bianco risuona, il bianco sporca, il bianco vincerà: intervista ai Leitmotiv

Il bianco risuona, il bianco sporca, il bianco vincerà: intervista ai Leitmotiv

leitmotivMusica che viene dal sud, ma che abbraccia tutta Europa e non solo. I Leitmotiv sono uno tra i gruppi più interessanti di questo periodo, hanno esordito lo scorso anno con la produzione di un disco curato ed esplosivo, L’audace bianco sporca il resto, un album complesso che spazia tra i più svariati generi senza perdere una matrice di suoni splendidamente mediterranei. Il talento della band è capace di manifestarsi in riff chitarristici come in dolci e visionarie ballate, e ad aggiungersi a quanto dimostrato per mezzo delle note, i Leitmotiv ci regalano una splendida intervista, nella quale le parole si perdono tra le strade della poesia e dell’audacia.

Lo scorso 30 ottobre è uscito il vostro primo disco. Nel tempo in cui tutte le distanze vengono annullate da internet, alla tecnologia voi affiancate il nostro Mediterraneo come elemento che unisce il pubblico italiano, a quello europeo. Spingendosi oltre, sempre via mare, si possono raggiungere gli U.S.A. e l’Australia, dove alcune radio hanno in programma i vostri brani: dove sta la magia?
E’ difficile rispondere a questa domanda: bisognerebbe porla a chi ci ascolta! Di certo, riteniamo che la magia risieda nella musica in sé come mezzo: un musicista, diversamente da uno scrittore, non ha bisogno di un traduttore per poter parlare al suo pubblico. Facciamo un esempio: ascoltiamo un brano arabo, pur non comprendendo nessuna parola del testo, o non cogliendo le differenze tonali della melodia, eppure ne siamo affascinati, forse perché ci richiama un ricordo ancestrale o siamo attratti dalla sua esoticità, o forse vogliamo godere della novità di quest’atmosfera. Ecco, la magia è proprio qui, nell’ascolto, e quindi, nell’ascoltatore che si lascia incantare e trasportare dal flusso che il musicista suggerisce. Vista così, noi, al limite, possiamo essere gli apprendisti stregoni!

Il rock, quello più sfrenato che fa scuotere i corpi, si affianca a ballate soffici, fino a brani che provengono dalla terra che vi ha visto nascere e crescere: la vostra ricerca musicale è volta all’evoluzione delle sonorità tradizionali o sono intese come una necessità della musica “moderna” di voltarsi e guardare indietro?
Entrambe e nessuna. Non c’è stato un lavoro di studio sistematico e metodologico di ascolto dei generi tradizionali o canonici (dalla “pizzica” salentina, al rock, allo swing, ecc.), per questo per noi è difficile sentirsene parte (e quindi essere artefici di un’evoluzione). Però ogni nostro innesto in una tradizione non è mai stata una sorta di ricamo “vintage” fine a se stesso, ma è avvenuta col tacito intento di interiorizzarla e di renderla capace di parlare di e in questa contemporaneità.

Oltre alla tradizione, il vostro album presenta alcune canzoni con testo in lingua inglese e francese: si tratta di una scelta artistica relativa ai singoli brani o è frutto di un progetto più ampio?
Alcuni brani non potevano che nascere che nella lingua in cui sono stati scritti; le sonorità, la forza simbolica di alcune parole in una certa lingua sono così caratterizzanti da rendere un fenomeno spontaneo la combinazione con una definita atmosfera musicale. Proprio poiché la musica vanifica le distanze, non ci poniamo limiti a unità linguistiche. Viviamo molto delle nostre esperienze e delle sensazioni che raccogliamo lungo il cammino, non c’è una direzione decisa a priori.

Nonostante i vari riconoscimenti che avete guadagnato negli anni passati e l’apprezzamento generale dell’album, la distribuzione nei negozi non è ancora attiva. Quali sono le fatiche che un gruppo emergente deve sostenere nella sua promozione/affermazione?
E’ complesso rispondere a questa domanda in poche righe, ci sono molti, troppi fattori in gioco. Un gruppo come il nostro, che si è fissato un obiettivo, ovvero fare della musica il proprio mestiere, si scontra con una realtà drammatica. Semplificando: in Italia più che altrove, c’è una forbice ampissima tra il gruppo “major” e l’indipendente o meglio sommerso (mutuando il termine dal mondo del lavoro). Le differenze, ancor più che per le ovvie difficoltà di tipo economico, sono anche di altra natura: una su tutte la difficoltà di veder riconosciuto il proprio lavoro, sia dalla gente comune (per cui la tua posizione è sempre vista come truffaldina o evanescente) sia dalla realtà industriale e burocratico/amministrativa, con cui è molto difficile interloquire. Nel nostro caso, abbiamo incontrato una piccola ma combattiva eccezione nei ragazzi de “La Fabbrica”.

leitmotiv1Il lavoro di Amerigo Velardi (già produttore artistico di Baustelle e Virginiana Miller) ha sicuramente avuto un ruolo importante nella realizzazione dell’album. Com’è nata la collaborazione?
I primi incontri ravvicinati con Amerigo risalgono a molti anni fa, durante i nostri anni del liceo, grazie a degli amici in comune (Sandro Palazzo dei Lova). Già all’epoca lo ammiravamo per i suoi progetti artistici. Poi, un anno e mezzo fa, quando abbiamo ritenuto che i tempi fossero maturi per la nostra prima produzione ufficiale, abbiamo trovato in lui una persona molto disponibile. Ci siamo incontrati in un bar di Francavilla Fontana e gli abbiamo raccontato il nostro progetto; all’inizio lui era giustamente prudente, voleva conoscerci meglio, ma una volta sciolte le riserve ha dato tantissimo per questo progetto. Oltre che dal punto di vista squisitamente artistico (la sua guida e le sue intuizioni hanno arricchito e reso organico il nostro materiale), ci ha anche aiutato a risolvere problemi d’ordine pratico, e ci ha motivato e sostenuto dal punto di vista umano. Il suo è stato un ruolo molto importante.

Durante la registrazione è successo qualcosa di particolare e bizzarro da raccontarci? Ricordo anche uno spiacevole evento che forse è l’incubo di ogni band… il furto del vostro furgone…
Un paio di settimane prima della data prevista per l’inizio delle registrazioni il responsabile dello studio con cui avevamo preso accordi dette forfait, perché aveva avuto un’offerta irrinunciabile da un gruppo di nuova formazione, un certo… il Genio! Amerigo ci aiutò a risolvere la situazione, trovando accordi con un nuovo studio e con Maurice Andiloro, posticipando la produzione di solo qualche settimana. In realtà, anche in queste nuove condizioni, diversi problemi tecnici nei primissimi giorni di registrazione (in cui ci furono anche gli scioperi dei camionisti e nubifragi al sud) ci sembrarono così insormontabili da farci presagire il trasferimento di tutta la produzione… per fortuna riuscimmo a risolvere ogni cosa, e oggi possiamo essere soddisfatti di quello che ne è venuto fuori! Il furto è stato un episodio difficile, sicuramente il peggiore tra i tanti di un anno che noi abbiamo ribattezzato con ironia “annus horribilis”. L’abbiamo però ormai superato, grazie all’aiuto di chi non voleva vederci mollare e che ci ha sostenuto per rialzarci; adesso però preferiamo non pensarci più, per concentrarci sul presente e sui nostri prossimi passi.

Spesso nelle interviste viene posta una semplice domanda: potete descrivervi con tre aggettivi? Io vi chiedo, invece, di descrivervi con tre aggettivi a voi opposti.
Stanziali, incuranti e… “facoltosi”!

Ritornando ai brani presenti in L’audace bianco sporca il resto, stupiscono le incredibili atmosfere antiche, tra mitologia e natura. Ad esempio, penso a Nuhar, il quale testo canta dell’incontro tra una divinità e un umile pescatore. Terra, acqua, vento: l’intero brano descrive il miracolo della natura in un tempo lontano. Nell’attualità, è impossibile cantarne?
In realtà Nuhar nasce come una storia d’amore, la contestualizzazione divina è una trasposizione in chiave emotiva di un’esperienza propria dell’umanità tutta, senza limiti spaziali, né temporali. Parliamo delle emozioni, della condivisione, del legame tra un uomo e una donna, entrambi elementi di un mondo (che raccoglie la terra, l’acqua, il vento, la vita), di cui loro si sentono e sono parte.
Non crediamo sia impossibile cantarne oggi, anzi, noi abbiamo scritto questa canzone adesso, e non è un caso, proprio perché vogliamo mostrare che lontano dai “rumori della modernità” è possibile ricreare degli spazi più propri, più immediati alla condizione esistenziale dell’uomo. In qualche modo, l’intero disco segue questa idea.

In Puerto Nuevo lanciate un messaggio incisivo, “Which memories will pass onto your son, fool?” che pare fare eco al finale di Talita Kum,Non sopporto chi continua ad astenersi dell’esprimersi e si trincera in un fetido, comodo e vigliacco tacere“. Chi volete svegliare dal torpore? Verso chi è rivolto il vostro monito?
E’ importante fare una precisazione: non facciamo stralci di comizi, né proclami. Non sono parole riferite a qualcuno in particolare, anzi non sono rivolte necessariamente a qualcuno. Il testo di una canzone nasce e sviluppa una riflessione o un impulso personale, e la comunicazione avviene non in chiave retorica, ma di risonanza: il nostro fine, in quanto musicisti, è di avere un pubblico che risuoni con l’onda creata dalle nostra musica, con il suono, con le parole, con la nostra rappresentazione scenica. In questo, ovviamente, c’è un pubblico che ci è più vicino, vicino alla nostra esperienza umana, e che può comprendere più facilmente accedere a quello che diciamo, accogliere i nostri stimoli. Ma non è detto che sia quello più attento.

Il libretto dell’album è una vera opera d’arte, affascinante e perfettamente complementare ai brani. Quanto è importante l’immagine al fianco della musica?
E’ molto importante per noi che la componente visuale sia una continuazione del materiale sonoro e testuale; non potrebbe essere diversamente, in una società in cui l’immagine è centrale nella comunicazione: le persone ascoltano prima con gli occhi e solo in seguito (forse) con le orecchie! Il libretto de L’Audace bianco sporca il resto è in particolare opera di Gaetano Maiorano (con contributi di Margherita Grassi e Enzo Mancini) tallonato, suggestionato e incalzato da noi cinque, che sappiamo essere in queste cose sin troppo minuziosi (è un eufemismo, per essere più gentili), dai primi giorni del nostro cammino artistico.

E l’immagine “scenica”? Raccontate un vostro live a chi non ha potuto ancora assistervi.
Raccontarlo, no, perché sarebbe tradirlo! Venite a vederci e giudicateci! Possiamo solo anticiparvi che, come per il libretto, cerchiamo anche nel live di costruire un corpo scenico, accompagnando la musica con una microdrammaturgia, per rendere più forte il nostro impatto sul pubblico. E spesso abbiamo l’impressione di riuscirci piuttosto bene.

leitmotiv3Per ultima vi pongo la più banale delle domande, dalla quale aspetto la meno banale delle risposte: cos’è il Bianco, che con tanta audacia va a “sporcare” tutto il resto?
L’Audace bianco sporca il resto era in principio il titolo di un EP, che doveva contenere quattro brani incentrati sul tema dell’eroicità, tre dei quali si trovano oggi in questo disco. Il primo livello di lettura è quindi: il Bianco, ovvero l’eroe (in senso positivo e negativo), “inquina”, sporca l’eterogenea realtà, poiché è portavoce del cambiamento. Da ciò, ognuno può esprimere la propria interpretazione: questa forte bivalenza  ha permesso di associare al titolo tutto il resto del materiale. Possiamo proporvi due esempi, lasciando a voi il gusto di riempirlo di altri valori, da una parte il bianco è l’uomo occidentale che distrugge la natura e altre civiltà con la sua aggressività e foga di conquista (eppure questa fame l’ha portato alla modernità) oppure, ed è ovviamente l’immagine che preferiamo, è il bambino che grida “il Re è nudo”, facendo cadere un regime (o una percezione del mondo) inutile, corrotto e ridotto da tempo ad un fragile castello di carte.

Talita Kum – Preview

Ti potrebbe interessare...

The Smile @ Auditorium Roma - Photo Kimberley Ross

The Smile @ Roma Summer Fest, 24 giugno 2024

Arriviamo in trasferta da Napoli poco dopo l’apertura dei cancelli. È una fresca serata estiva, contrariamente …

Leave a Reply