In una gelida Torino dove la notte ha ancora il sapore chiaro dell’inverno, il teatro Colosseo si trasforma nel caldo deserto e nelle lande desolate… Tucson, Arizona, lì proprio al confine col Messico e l’America Latina. Stasera ci sono i Calexico, band di punta del panorama indie mondiale ormai da anni. Il teatro è già pieno quando riesco ad arrivare, giusto in tempo per perdermi il gruppo di apertura, i DePedro. Tra il vasto pubblico si notano facce conosciute della scena musicale italiana, Cristiano Godano su tutti, proprio a dimostrazione dell’incredibile influenza che hanno esercitato i Calexico in tutto il mondo dopo l’uscita di un capolavoro come The Black Light, nel lontano 1998. Sui pallidi muri del teatro scorrono proiettate le copertine dei dischi, mentre Joey Burns e John Convertino entrano in scena seguiti a ruota dagli altri.
Subito un ringraziamento per il pubblico in un italiano misto a spagnolo prima che la chitarra classica di Burns intoni le prime note della dondolante Spokes, che riporta indietro agli inizi, a quel primo disco del 1997. Si parte con delicatezza e già si avverte la dolce atmosfera di una ninnananna gitana; qualche piccolo inserto di tromba (Quattro) e il baricentro comincia a spostarsi più ad est. C’è anche la musica di tradizione europea come dimostra lo splendido walzer di Sunken Waltz che ammalia con la fisarmonica ed il vibrafono che accompagnano la calda voce di Burns. Ma ecco spostarci di nuovo proprio nel centro delle Americhe, ancora con delicatezza, sulle parole in spagnolo di Roka. Arriva anche il tempo per ascoltare i brani del nuovo album, Carried To Dust, ed ecco la misurata Mad Man Lake con le sue avvolgenti chitarre glorificata dal lavoro di Convertino dietro le pelli. La chitarra ritmica spagnoleggiante della strumentale El Gatillo e le percussioni cubane della ballata Inspiration, entrambe accompagnate dalle trombe calienti, scaldano il pubblico evocando vecchie danze andaluse cadute nell’oblio. Burns, con la sua immancabile camicia a quadroni di flanella, parla dell’Arizona, della terra da cui vengono e in cui vivono, a cui sono indissolubilmente e simbioticamente legati, come la polvere al deserto; terra che sputa sensazioni intrise di una musica che può sentire propria solo chi ha percorso migliaia e migliaia di chilometri sotto il sole cocente e in mezzo alla desolazione, sporcandosi di sabbia, attraversando mille paesaggi, radicandosi nelle suggestioni di mille culture diverse per giungere poi, alla fine di tutto, finalmente a casa. Gli echi morriconiani strumentali e la toccante voce raccontano la triste e commovente storia di William (The news about William): “Then came the storm that washed the roads out / Closed both his eyes and pointed straight south / Second line drums marched into the sea / hile the clouds overhead cried mutiny”. Ancora Writers minor holiday, Bend to the road e Two silver trees dal nuovo disco per poi tornare in Spagna a ritmo di flamenco da corrida, con Minas De Cobre. Un altro piccolo salto con l’immaginazione per spostarsi nella dolce casa di Valparaiso, in Chile (House of Valparaiso), prima di tornare nel soffocante deserto di Tucson con la splendida steel guitar di Paul Niehaus che si insinua sull’avvolgente tappeto di batteria di Convertino in una versione di The Ride pt II che trascende il concetto di bellezza. Alone again or invece è una cover di quei Love che tra gli anni 60 e 70 sapevano mischiare le diverse influenze delle diverse razze dei componenti in un mix che comprendeva rock, folk, garage e psichedelica. La soave Fractured Air anticipa le roventi atmosfere di fiesta latina che vengono a crearsi con Crystal Frontier che chiude la prima parte del concerto tra i deliri di un pubblico che non riesce a star più seduto sulle poltrone quando il ritmo si insinua sotto la pelle. Andale, andale, ariba, ariba! Tutti in piedi a ballare per le strade di Tijuana immersi nei ritmi mariachi, rapiti dalle squillanti trombe e dalle voci di strada che cantano in spagnolo quando i Calexico rientrano sul palco suonando Victor Jara’s Hands seguita da Guero Canelo. Sembra davvero dover finire a festa questa serata ma c’è ancora un momento di intimità: la voce di Burns, le teste che dondolano, gli che occhi brillano (Red Blooms) per poi lasciare spazio alle malinconiche trombe di Frontera. Stasera i Calexico hanno dimostrato il motivo della loro influenza e importanza nella scena musicale mondiale odierna. Ci hanno preso per mano e accompagnato nel loro viaggio infinito, viaggio di tutta una vita facendosi assaporare ora l’aspra polvere del deserto bruciata dal sole bollente, ora il freddo gelido che ti entra nelle ossa e penetra fino al cuore, di notte, nella desolazione. Musica come espressione di un fulcro. Musica che scaturisce dalle radici. E non stupitevi se poi vi viene voglia di farvi crescere i baffi e trasferirvi in Messico!