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Danza la Bellezza: Marlene Kuntz @ Teatro Sannazaro (NA) 03/02/09

mk_sannazaroFebbraio appresta il congedo per l’inverno contando fino a tre per il suo primo martedì, stende sul cielo una notte bagnata dalla pioggia leggera che rende di cristallo Via Chiaia, vena elegante e benestante che pulsa il passato di una Napoli trasversale fino al cuore del teatro Sannazaro. La città del sale e del tufo respira le sue ataviche contraddizioni in ogni angolo ferito da dominazioni, offese, rivoluzioni, liberazioni, trionfi malati e sconfitte assolate. Sul suolo ladro degli Spagnoli la boa dell’800 indica la nascita di un teatro che da scenario nazionale muta il suo corpo di velluto rosso in tempio della tradizione locale: le commedie di Scarpetta, di De Filippo come tiranne sfacciate che recitano la grandezza popolare che approda alle cure materne di Luisa Conte. Qui, in un piccolo gioiello dello stile rococò, entra in punta di piedi e vestita di bianco sporco la musica dei Marlene Kuntz. Una musica che si spoglia, lenta. Una musica che rivela l’esile reticolo del suo manifestarsi. Una musica che si accomoda su un tappeto di minimalismo che nel codice della band assume un senso altro, divenendo sinonimo di pienezza, ricchezza, splendore.

Set elettroacustico. Oscillazioni delicate, morbide, sinuose. Gli strumenti si fanno araldi di una voce regina che scuce e ricuce le parole di ogni canzone, le scioglie dai nodi, le osserva, le ama, le mastica, le disegna nell’aria rendendole plastica evanescente, le soffia e le sputa fuori perché hanno il sapore dolce e amaro dell’amore, dell’illusione, del disinganno, della poesia. Le luci, sapientemente orchestrate, creano giochi d’ombra e spettri d’intensità. Recitazione, canto, interpretazione. Atmosfera, rara, preziosa, calda, sacra: sapienza di pochi. E’ questo che i cinque membri dei Marlene Kuntz sanno creare, e lo fanno da musicisti eleganti, sofisticati, eclettici, ispirati.
Notte rompe la tensione del pubblico in attesa. Intima, lieve, estensione di una vibrazione d’anima. Bellezza arriva dai piani inclinati dei disagi che lottano e accentano la fragilità di una ricerca che obbedisca all’estetica del cuore. Godano rovista nel baule degli anni e soffia via la polvere da Danza, La lira di Narciso, Il sorriso, Fingendo la poesia, La canzone che scrivo per te consegnata alle membra indifese e dolcissime di chitarra e violino, appena. Il silenzio è la porta da cui passa l’introduzione per La mia promessa, un brano che sa essere preghiera rivolta all’Alto indefinito nel nome dell’aversi oltre il tempo, oltre il terreno, laddove l’impossibile striscia ai piedi del possibile perché è nell’intenzione la nobiltà del sentire. Spazio anche per il presente di Uno, Canto, Canzone sensuale, Fantasmi, Here Comes The Sun (Beatles). L’abbraccio esplode nella sua coda, rompe le trame d’impovviso e tende all’irruenza di una Sonica che minaccia fin dall’incipit: le mani cercano rabbiose i pedali, toccano le corde estendendo l’elettricità fino alla dissonanza che è armonia del delirio, strappano l’urlo dalla bocca fino alla divagazione che cerca un varco e invece si comprime negli spigoli de Il vortice. La fine indugia, osserva qualche nota cercata con lentezza sulla chitarra, accarezza soffusi colpi di batteria affidati ad intervalli dilatati, e poi indossa la nostalgia blu di Nuotando nell’aria.
Cristiano Godano, Luca Bergia, Riccardo Tesio, Luca Lagash Saporiti, Davide Arneodo ringraziano, sostando nel mezzo del palco e assorbendo ogni applauso lanciato da un pubblico commosso, soddisfatto, in piedi.
Una sera di febbraio ha messo in scena la Poesia che pare il chiasso di una galassia magica. (Foto © Tutti i diritti riservati)

A lei.

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