Un flusso sonoro, una nenia incessante, l’arpeggio tetro e ipnotico di una chitarra percorrono la via della desolazione, trascinando i pensieri su di essa, sospinti nel loro lento movimento dal vento dell’ansia che aumenta man mano che ci si addentra lungo il percorso (A Quick One Before The Eternal Worm Devours Connecticut). Poi una voce che nasce chiara, ossessiva e ripetitiva per poi morire nella confusione. L’aspra chitarra che intesse melodia sui take ripetivi di basso e batteria sintetizzata suggeriscono l’atroce grandine di sangue sancita dalla solennità di voci lontane che appartengono a un mondo altro, che si perpetuano come una condanna divina: “I feel the top of the roof come off, kill everybody there as I’m watching all the stars burn out, trying to pretend that I care” (Bloodhail). Voci che si intrecciano, intersecano, si fondono nell’invocazione soave e disperata, tanto affranta quanto rassegnata, di un messaggio dal quale bisogna liberarsi, che non si può più rimandare: “I am trapped, I’m stuck here on this bathroom floor and I don’t have much more hope or prideNo air, no food (but I’m sure that I’m still alive..) Just open your eyes, your dead ones (all ashes on the floor) I will never need you more, just open your eyes, your dead ones”. (The Big Gloom). L’inquietudine si dilata, percussioni risuonano nell’aria come passi di un condannato a morte che non è più aggrappato alla vita; le imperturbabili note di chitarra scandiscono tante inesorabili condanne prima che il flusso della morte regni sovrano, dove ogni colpo di batteria sembra un proiettile perforante. “The Hunter does us all a great service and we’ve done so much to deserve it” (The Hunter). Il momento della meditazione profonda (Telephony), intriso di malinconica tragicità, evoca immagini recondite nel profondo delle coscienze, negli angoli bui e tetri. L’oscurità e la lentezza che spossa mentalmente, suoni che si dilatano ad assalire tutto lo spazio, intingendo il cerimoniale di nero pece: “Everyone spends some time on the cross, I just want to make sure it’s not a total loss, so, deny me three times, or hurry up and fucking decide”. Riflessione e introspezione che si spingono fino all’alienazione quando i soavi rintocchi elettronici di There Is No Life affollano l’opprimente sostrato drone per terminare la prima parte del viaggio all’interno dei meandri più oscuri della mente umana a scovare le sensazioni recondite, nascoste dietro il velo di fugace apparenza. Una prima parte dominata dall’ansia, dall’angoscia che scava dentro, erodendo fino al midollo, dalla straziante lentezza, e una seconda che si apre all’insegna della rabbia decisa, incalzante, scandita dai fendenti secchi della drum machine che squarciano le atmosfere maestose e implacabili (Waiting For Black Metal Record To Come in the Mail). Holy Fucking Shit: 40,000 è un folk pop tenebroso, malinconico e commovente il cui piano estemporaneo subito si evolve in suoni distorti e intricati a formare un masso monolitico, un flusso debordante per poi concludere con la chitarra acustica in solitudine, mentre le stelle che proiettano la loro volontà oscura sul tuo cammino divorando tutte le lacrime. Tornarno le visioni nervose e strazianti su un andamento martellante e ossessivo, i mostri soltanto assopiti resuscitano nella coscienza rendendo infinitamente sottile il confine tra visione e realtà (The Future). Gli inserti elettronici inchiodano gli umori e contribuiscono a creare le suggestioni. I ritmi tornano sostenuti sui riff distorti animati dai synth di Deep Deep. “Jesus christ, why is love so lonely?”, I Don’t Love è sospesa nel tempo, è nera poesia intrisa di effimera malinconia, le voci inafferrabili e quasi inconcepibili travalicano lo spettro di distribuzione delle sensazioni mormorando con rassegnata disperazione “I don’t love I don’t feel anything I don’t feel anything where this love should be”. Earthmover è una sinfonia esoterica riassuntiva. Dopo 5 anni di lavoro intenso Tim Macuga e Dan Barret, due ragazzi del Connecticut radicati in precedenti esperienze black metal, danno alla luce Deathconsciousness, un lavoro fuori dal tempo, fuori da qualsiasi moda e concezione artistica moderna; interamente autoprodotto e registrato in casa, non segue nessun processo comune di distribuzione tradizionale, può essere ordinato soltanto contattandoli personalmente dal sito della loro etichetta, la Enemieslist. È un lavoro che sa ergersi sovrano per la sincerità, la dedidizione; un lavoro che suona grezzo e che sa riunire tutte le molteplici tendenze del dark e del gothic con la disperazione della concezione black metal conciliando doom, ambient, shoegaze e drone. Joy Division, Sister of Mercy, Cure, My bloody Valentine, Lycia, Christian Death, New Order per fare qualche nome. È il frutto di uno sforzo immane, attentissimo alle atmosfere, ai suoni e soprattutto alle voci, sempre filtrate, lontane, distanti, quasi morte o comunque trascendenti. Con un art work monumentale (interamente a mano) e un libretto di 75 pagine creato da un professore universitario che commenta il forte simbolismo religioso intriso nelle liriche, si staglia come un gioiello fantasma, senza luogo e senza tempo. Deathconsciousness è un disco notturno. È introspezione, meditazione, esperienza di vite; è sentimento, angoscia, ansia, malinconia, tormento, rabbia, disperazione, rassegnazione. Consapevolezza. Morte. E’ un ritratto di anime fluttuanti. E’ l’essenza del dark.
Credits
Label: Enemieslist – 2008
Line-up: Dan Barret & Tim Macuga (all instruments)
Tracklist:
- CD1
- A Quick One Before The Eternal Worm Devours Connecticut
- Bloodhail
- The Big Gloom
- Hunter
- Telephony
- Who Would Leave Their Son Out In
- There Is No Food
- CD2
- Waiting For Black Metal Record To Come in the Mail
- Holy Fucking Shit: 40,000
- The Future
- Deep, Deep
- I Don’t Love
- Earthmover
Links:Sito Ufficiale,MySpace
uno dei lavori più profondi e interessanti della scorsa annata!