Dopo aver scritto pagine notevoli di alternative-folk (come non ricordare l’intenso In the land of sun uscito tre anni fa per la Urtovox?), Stiv Cantarelli ritorna alle origini. Resetta l’esperienza sperimentale dei Satellite Inn e ricomincia dal nuovo progetto The Saint four, il cui sound nasce dall’intreccio del garage-punk con il folk-blues. Siamo davanti ad un’attitudine alla Jack White con slanci cantautorali di protesta alla Bob Dylan. Le prime cinque canzoni di questo interessante progetto sono incluse in un Ep omonimo in free-download sul sito della El Cortez Records, perché a Stiv interessa per il momento solo suonare dal vivo come ha raccontato a LostHighways.
Le atmosfere rarefatte del poetico In the land of the sun dei Satellite Inn sono andate via ed è rimasta l’attitudine country mista al garage nella direzione della tradizione cantautorale americana. Stiv Cantarelli è diventato The Saint Four. Cosa vuole esprimere Stiv con questo nuovo progetto solista?
Più che altro è un ritorno alle origini, da dove sono partito più o meno una decina d’anni fa. Ho sentito il bisogno di “riportare tutto a casa”. In fondo mi sono sempre ritenuto solamente uno scrittore di canzoni, le sperimentazioni in chiave cinematica dei Satellite Inn erano in gran parte farina del sacco di Dario (Neri, l’altro membro della band assieme a Corrado Molducci), da lui ho imparato come “maneggiare la materia”. Era da un po’ che pensavo di fare qualcosa completamente da solo, del tipo scrivere le canzoni, suonare gli strumenti, registrare. Il periodo di stallo in cui versavano i Satellite Inn e la fine di altri progetti in cui ero coinvolto mi ha aiutato a prendere una decisione. I pezzi, diciamo così, erano nell’aria. Ho dovuto solamente fermarmi un attimo e metterli assieme, in un modo che avesse senso e che rispecchiasse tutte le mie influenze come musicista, quindi anche il garage-punk dei miei (sconosciuti) esordi, ma non solo. Penso al folk-blues, agli swingin’ sixties, al Detroit sound. Alla fine qualche amico mi ha dato una mano a completare un percorso che comincia con questo ep ma finirà, spero entro la fine dell’anno, con un full length.
I brani di questo Ep di esordio si rifanno alla canzone di protesta anni ‘60. Oggi ha ancora un senso scrivere canzoni di protesta? A quale brano dell’EP sei più legato? Per quanto possa suonare anacronistico il termine “canzone di protesta” nel 2009, direi però che anche oggi i motivi per protestare non mancano… il nostro modello di società è in crisi, nonostante vogliano convincerci del contrario. Questo si ripercuote sulla sfera personale di ognuno di noi, che lo si voglia o meno. Quindi anche se una canzone, oggi, non ha la stessa valenza che poteva avere negli anni ’60, può comunque spingerci a dei cambiamenti, in primo luogo personali, che possono scuoterci dall’apatia a cui ci ha consegnato il modo dissennato in cui abbiamo vissuto tutti questi anni. D’altronde già qualche decennio fa qualcuno diceva che le rivoluzioni cominciano davanti allo specchio di casa propria. La canzone a cui sono più legato, The Country You Were Born, parla proprio di questo… c’è molta gente a cui piace dirti come devi vivere la tua vita, ma che non ha la più pallida idea di quale sia una vita degna di essere vissuta.
Don’t hang on me… come è nata? Una mia zia mi ha regalato un vecchio organo, probabilmente recuperato da una delle chiese che lei frequenta, e di cui qualcuno voleva disfarsi. Un vecchio strumento contenuto in un gigantesco mobile di legno, con i bassi a pedale. Abbastanza devastato, ma suonabile. Don’t Hang on me è nata durante i miei primi tentativi di scrivere qualcosa mentre stavo cercando di imparare a suonare quell’organo. Ha un giro di accordi molto classico, il mood sembrava parecchio “soul” e alla fine ho deciso di portarla a compimento. Mi sarebbe piaciuto assomigliasse ad uno di quei vecchi pezzi della Stax di fine anni ’60… l’ho arrangiata un po’, ed è venuta fuori la versione dell’ep. Ma non è detto che sia quella definitiva.
Il Raimond Carver che ispirò In land of the sun ha lasciato il passo a Bob Dylan. Un tuo parere riguardo l’incredibile produzione di Dylan. A quale periodo della sua carriera sei più legato? A dire la verità, non sono mai stato un gran fan di Dylan a livello prettamente musicale. Ho però imparato ad apprezzarne la grandezza poetica, leggendo un libro di testi delle sue canzoni. Quell’uomo è un genio, ha scritto cose che mi hanno colpito tanto quanto Carver ha influenzato il mio modo di leggere e di scrivere. Per quello che riguarda la produzione discografica, sono molto legato a tutto quello che immediatamente segue la svolta elettrica di Newport 1965. Il periodo che più apprezzo in assoluto è quello di The Basement Tapes, quelle session sono state veramente magiche. C’è dentro tutto quello che ha influenzato il songwriting americano degli anni a venire e credo continuerà a farlo anche per le generazioni future. Ha insegnato ai tradizionalisti (come me) a non lasciarsi imbrigliare in schemi predeterminati.
L’Ep uscirà principalmente in Free Download. Perché questa scelta? Che il mercato discografico sia in crisi è ormai stato detto in tutti i contesti e che il supporto digitale sia ormai diventato obsoleto è un fatto. A me interessa principalmente che la gente ascolti le mie canzoni, in questa fase sono veramente poco interessato all’aspetto economico di questo progetto. Preferisco che chi sente le canzoni sia casomai invogliato a venire a vedere un concerto. Piuttosto spero che molto presto l’ep venga stampato in vinile… l’idea era di uscire in questo formato da subito, ma qualche intoppo organizzativo ha costretto la casa discografica, per il momento, a ripiegare su una serie limitata e numerata di cd formato “vinilico”, che verranno distribuiti solo in negozi selezionati (in USA ed in Europa) oppure venduti durante i concerti. Per l’Italia, mi occuperò personalmente della gestione della distribuzione. Vorrei che questo disco si trovasse solo nei negozi di chi ama la musica. Per tutto il resto credo proprio possa bastare un indirizzo web.
Per te è più importante realizzare un disco o girare il più possibile per suonare tante date live? Per me il registrare dischi è finalizzato all’attività live, sempre. Quella è la dimensione che preferisco, e non soltanto per la parte musicale. L’andare in tour fa parte del mio modo di essere, non saprei davvero farne a meno… se dovessi smettere di suonare dal vivo, smetterei probabilmente anche di fare musica. Negli anni ho imparato ad apprezzare anche la parte più faticosa dello stare in giro, anche perché il viaggio in sé può dare emozioni che a volte sono uguali, se non superiori, a quelle che dà la musica… Al momento sto “lucidando gli ingranaggi” per supportare questo disco al massimo delle possibilità, soprattutto in Europa. Con Fabrizio Gramellini (basso) e Barbara Suzzi (batteria), stiamo approntando un concerto adeguato al sound che volevo ottenere sul disco: scarno e immediato. Magari più garage che folk, se vuoi, ma con un occhio di riguardo alle canzoni e alle parole.
Cosa ne pensi di questa promozione via web che è esplosa con i social network quali Facebook o MySpace? I social networks mi interessano il giusto. MySpace, essendo più improntato sulla musica, mi soddisfa abbastanza. Mi dà la possibilità di ascoltare nuovi gruppi, anteprime delle bands che preferisco, soprattutto di tenere più facilmente i contatti con persone che lavorano nell’ambito musicale. Non è certo quella “panacea di tutti i mali” che molte bands pensano che sia, ma certo rende le cose più “scorrevoli”. Se lo si prende per quello che è, cioè uno strumento per mantenere e sviluppare relazioni musicali e non, oltre che un mezzo per ascoltare musica, e non ci si “ammala” per contatti, amici e puttanate simili, può essere veramente divertente. Certamente si parla di “fai da te”: ovvio che MySpace non potrà mai eguagliare l’utilità di un’agenzia di promozione fatta di persone “vere”, con esperienze reali e non solamente virtuali come accade in un social network. Se si aspira ad un vero salto di qualità, MySpace non è assolutamente sufficiente. Però può aiutare, soprattutto se poi si è più attenti a seguire le relazioni interpersonali anziché rimanere intrappolati nel “sistema MySpace”, dove pensi di valere solo se hai molti contatti. Facebook non lo so, non lo conosco. Non ho un profilo e non intendo averlo: ho un’idea molto personale sull’utilità di alcuni social network e Facebook non fa proprio parte del mio modo di essere. Ho tutti gli amici di cui ho bisogno nella vita reale, non mi interessa averne dei virtuali e non ho la necessità di scopare in giro.
I cinque migliori dischi che hai acquistato negli ultimi anni? Negli ultimi anni? Domanda difficile… non sono un gran compratore di musica contemporanea, diciamo che la maggior parte dei miei ascolti è limitata al periodo 1965-1971. Comunque, posso farti una lista degli ultimi 5 vinili “recenti” che ho comprato e che mi sono piaciuti: Dan Auerbach, Keep it Hid; Brian Wilson, That Lucky Old Sun; The Raconteurs, Consolers of the Lonely; Ray Davies, Workingman’s Cafè; The Black Keys, Attack and Release.