Da qualche parte una sirena della polizia suona il suo allarme alla notte. Ma questa notte non ci sarà allarme per chi fuma una sigaretta in via della Conciliazione. Questa notte vado a sentire Battiato all’Auditorium e i suoni saranno suoni eterei. Il teatro è gremito, l’età media va dai diciotto ai sessant’anni, segno che forse è vero che il cantautore catanese riesce a racchiudere intorno a se una vasta gamma di “sentire”. Appena entro guardo il palco, grande, illuminato a giorno. Un pianoforte a coda nero come il petrolio, quattro sedie che accoglieranno due violinisti, un violoncello e una viola, due chitarre e una tastiera. Poi un computer e un sintetizzatore. Non c’è batteria, ovviamente non c’è il basso elettrico. C’è una sorta di triclinio drappeggiato fra gli strumenti. Non sarà un concerto da pogo, questo è poco ma sicuro. Quando le luci si spengono una voce presenta Madonia e la mente torna ai De Novo. Le note di chitarra si diffondono nell’aria accompagnate dalla voce quasi alla Jeff Buckley. Inizia tutto perfettamente. Improvviso, Manlio Sgalambro fa il suo ingresso con un foglio e recita una poesia. Su quelle parole prendono posto i musicisti e un Battiato sorridente e in abito nero si siede su quello strano divano d’altri tempi. Un applauso riempie il teatro, continua lungo, inarrestabile, tanto che il siciliano deve arrestarlo con un “Ho capito, grazie”. La gente ride, poi cala il silenzio.
Le note si liberano dalla sezione d’archi, accompagnate dal piano. Tutto diventa leggerezza tonale, tutto si tinge di colori eterei. La voce inizia, cantato sussurrato. Sarebbe assurdo descrivere con precisione di successione la scaletta. Tutti i brani suonati hanno un’elevatezza celeste. Ho notato un dettaglio strano ai concerti di Battiato. Il pubblico non canta. Il pubblico sussurra e questo sussurrare di centinaia di voci rende i brani qualcosa di unico, se ancora ce ne fosse bisogno. Piccoli ansimi di un pubblico incantato accolgono pezzi che hanno segnato alcune persone più di altre. Ricordo il sospiro della gente, quasi un respirare del teatro stesso, all’attacco di L’animale e il coro discreto che si è alzato sul passaggio de Il Re Del Mondo su
“più diventa tutto inutile e più ti sembra che sia vero”. Quasi un’affermazione di ricerca di “altro” che mai come in questi tempi si fa pressante.
L’applauso che sale su Inverno, il tributo a De Andrè, dimostra in maniera inequivocabile la forza del genovese sulle nostre coscienze e quanto ancora manchi a noi tutti quella sua voce stracciata dal fumo delle troppe sigarette. Si sdrammatizza quando Battiato racconta la genesi di Mesopotamia prima di intonarla, di seguito un’inaspettata Casta Diva riempie l’aria di note disturbate e tutto si quieta all’attacco di E ti vengo a cercare.
Il concerto va via così, quasi due ore di sofficità e di pensiero. Battiato ride, scherza, narra il suo dividere il palco nella gioventù con nomi del calibro di Tangerine Dream, Magma, Velvet Underground. Ha raccontato del suo incontro con Nico e dell’esibizione sperimentale a Metz una trentina d’anni fa.
Il concerto sì è chiuso sulle note di Prospettiva Nevsky e Voglio Vederti Danzare. Una sorta di dualismo fra pensiero ed energia. Momenti stupendi, delicatezza eccelsa e movimenti “mistici e sensuali” che sono, sempre più, un balsamo per le nostre orecchie troppo tartassate da squallide volgarità. Bellissimo.
Avrà anche abbandonato gli eccessi di un tempo, ma rimane sempre un passo avanti a molti altri. Un autore e interprete unico. Godiamone più possibile!
Con una punta d’invidia, ringrazio Cristiano per averci raccontato la serata.
sono d’accordo con viola, catturiamolo, imprigioniamo battiato nelle nostre teste per poterlo eventualmente raccontare