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Merce rara. La crisi della cultura e la musica che ne è il prodotto.

high_fidelity_1Sono anni strani questi, in cui spesso i mezzi d’informazione si interessano di musica e di potere della musica. Oramai abbiamo fatto l’orecchio ad espressioni del calibro di “un diamante grezzo” e “l’ultimo capolavoro di tal dei tali” ma, in verità, qualcuno si è mai chiesto cos’è la Musica per un determinato Paese? Io sono anni che mi pongo questa domanda e, alla fine, alla bella età di trentacinque anni, sono giunto ad una conclusione banale. La Musica è parte dell’Espressione Culturale di un Paese che, per potere dei tempi, è divenuta Prodotto. Lo so, è scontato. Ma riflettendoci bene, più che scontato, è triste. Perché? E’ presto detto. Nel nostro paese una musica che sia satura di contenuti, sia tecnici che poetici e comunicativi, è relegata ai margini del settore musicale e questa situazione argina notevolmente il mezzo comunicativo di quelle persone che, avendo una sensibilità e una capacità elevata, hanno comunque una forte difficoltà a far sì che il proprio pensiero arrivi ai più. Il perché è facilmente intuibile. Un Prodotto deve essere vendibile, smerciabile.

Deve essere qualcosa che sia conforme ai gusti dell’acquirente. Ma la musica non è un jeans, non è un vestito di marca, la musica è qualcosa di informe che per essere “venduta” deve sottostare a dei canoni di gradimento. E sono proprio i canoni di gradimento del prodotto musicale che definiscono la forma del prodotto stesso, i suoi contenuti, i discorsi che affronta. Una volta era diverso.
Una volta un ragazzo ascoltava De Andrè e poi, dopo, si avvicinava ad un libro, ad un poeta, a un certo stile di vita. Esagerando, si può dire che la Musica delineava i Canoni (e non viceversa) e, al contempo, apriva delle strade verso altri tipi di Arte. Ora, con l’imbarbarimento della cultura, con la caduta di determinate filosofie perché no, anche politiche, con l’ignoranza dilagante di questi ultimi trent’anni, la musica non può fare altro che conformarsi ai tempi per trovare una nicchia di gradimento e per far sì che le case discografiche abbiano la loro fetta di mercato.
Quella che passa in radio, nelle televisioni, sui grandi programmi di intrattenimento non è Cultura, diciamolo una buona volta, bensì un mero Prodotto che va venduto. Qualcosa che serve affinché si possano scrivere due cifre all’interno del fatturato di questo o quell’artista. Ma i contenuti dove sono? Davvero è diventato fondamentale, per la nostra gioventù, ascoltare di Amore e Cuore? Di Xdono (che dovrebbe significare “perdono” in linguaggio da sms-dipendenti) e del mese di Novembre? Anche gli artisti che negli anni ’80 hanno incarnato il disagio di una generazione ora sono solo l’ombra di quello che erano una volta. Mi riferisco a nomi come quelli di Vasco Rossi, figura fondamentale della comunicazione giovanile degli anni di plastica, a Piero Pelù che con i Litfiba inportò una sorta di new wave decisamente oscura e angosciante, anche i CCCP sono finiti e per i Diaframma non c’è mai stato posto allora, figuriamoci a desso.
Mi domando: ma davvero non si riesce a riconoscere la plastica dall’oro?
Io penso, e resta un mio pensiero personale, che l’imbarbarimento dei gusti e la mediocrità del pensiero comune, associati ad una certa Ignoranza elevata a Modello e alla caduta di determinati valori sociali, abbia reso la musica il giocattolo innocuo che ora viene venduto nei supermercati del cd.
Non è vero, come diceva L’Avvelenata, che a canzoni si fan rivoluzioni ma una volta in questo paese le classifiche erano dominate da nomi del calibro di De Andrè e De Gregori, i concerti saturi di bandiere rosse erano degli happening dove si poteva parlare e discutere prima di ascoltare Guccini o la PFM. Adesso si vive di estetica da MTV e si ascoltano voci innocue di giovani ma avvenenti ragazzine. La cosa inizia a dar fastidio e, per quanto mi riguarda, è durata fin troppo. Non c’è sostanza, non c’è messaggio, in queste note. Non c’è rabbia in queste voci. Eppure è stato dimostrato a Sanremo quest’anno che il nostro settore “alternativo”, o “indipendente” che dir si voglia, non è assolutamente scarno. L’esibizione degli Afterhours e il successivo disco raccolta, ha dimostrato in maniera più che evidente che la capacità di pensare sembra sia relegata al di fuori del settore mainstream.
E’ altresì vero che l’industria discografica sta attraversando uno dei periodi più neri degli ultimi cinquant’anni e la fine preannunciata di determinate realtà porterebbe alla perdita di molti posti di lavoro per non parlare poi dell’indotto che le gira intorno ed è quindi necessario riuscire a trovare dei Prodotti che siano facilmente assimilabili e, quindi, facilmente smerciabili. Bisogna anche notare che i vecchi negozi di dischi, quelli polverosi, quelli dove il commesso ti guardava sempre dall’alto in basso aspettando che tu facessi la tua richiesta affinché lui, dall’alto del suo bancone, potesse giudicare i tuoi gusti e la tua competenza, quelli dove potevi trovare il nuovo di Albano vicino al primo degli Allman Brothers, i negozietti per amanti della musica, insomma, quelli dove siamo cresciuti a caccia di vinili, per intenderci, vivono oramai solo nei ricordi per quelli che come noi avevano ancora il giradischi e conservano la loro maglietta dei Led Zeppelin vecchia di vent’anni.Tutte queste realtà stanno scomparendo a poco a poco, lasciando il posto a giganteschi supermercati dove i prezzi sono sempre più bassi (?), in un raschiare il fondo penoso e agonizzante, ma ancora non competitivi con quelli della musica scaricabile da internet e che comunque restano prezzi troppo alti per il ridicolo valore artistico del prodotto. Crisi, settore, stagnazione, mainstream. Quanti sostantivi! Ma la verità è che in questo paese latita la cultura.
In un’Italia dove le veline e i calciatori sono i nuovi eroi, dove programmi televisivi accolgono concorrenti che non sanno chi ha scritto Pianto Antico, in un paese in cui i referendum vengono regolarmente snobbati per una giornata al mare, dove il dolore diventa spettacolo televisivo e le lacrime e il sesso una fonte di audience, dove ai ragazzini non si regalano più chitarre ma PlayStation, in un paese del genere che cosa ci si può aspettare da chi dovrebbe fare Cultura?
La mancanza di argomenti da parte degli artisti di grosso calibro e i limiti a cui sono sottoposti dalle case discografiche spinge l’appassionato di musica (ma fondamentalmente chiunque riesca ancora a pensare con la propria testa) ad una ricerca che lo taccia di settarismo ma che diventa musicalmente soddisfacente e culturalmente costruttiva e, perché no, anche sensuale. Resta comunque una ricerca ardua se nomi come Cesare Basile, Il Parto Delle Nuvole Parlanti, Le Luci Della Centrale Elettrica, Perturbazione, Massimo Volume, Marco Parente, Alessandro Grazian, Mariposa, Giuliano Dottori, Nobraino, Betty Ford Center, Dente, Battista, Marco Notari, Pitch, Moltheni, Benvegnù (e gli altri sani) restano ancora semplicemente dei nomi per pochi.
Penso che si vada incontro ad una mediocrità culturale che farà della musica valida la sua prima vittima e del settore musicale la sua più docile puttana ma sono altresì convinto che, se davvero si ha intenzione di ascoltare con il cervello prima che con le orecchie allora, in questa barzelletta di paese dalla forma di stivale, ci siano ancora realtà che stringono i denti e che vanno avanti nonostante tutto e tutti. Realtà che hanno qualcosa, oltre a delle dita per suonare uno strumento e una voce per cantarci sopra. Un’anima, per esempio. E’ merce rara ma di poco valore, ultimamente. Che siano spesso anime velenose, beh, anche questo è segno dei tempi. Ma questa è un’altra storia.

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5 commenti

  1. Grazie Fratello gentile come sempre mi troverai dalla tua parte. Bello veramente.

  2. Hai messo moltissima carne al fuoco in questo articolo. Concordo con te nell’ammettere che il livello culturale scende sempre di più.. e certamente è colpa nostra, ma anche dei mezzi d’informazione che ci sbattono in faccia veline e calciatori, tronisti e programmi strappalacrime di parenti che si ritrovano dopo 76 anni di lontananza. Andando ancora più in alto, c’è lo zampino di una classe politica e dirigenziale che finanzia ponti sugli stretti e toglie fondi alla scuola, di ministeri che tolgono soldi e credibilità all’istruzione e alla ricerca, minando il presente ed il futuro.
    Inutile stare a ripetersi che dovremmo tutti fare di più.. un grosso problema del nostro tempo è che siamo disinteressati alla politica, perché dopo anni di fallimenti e brutte figure effettivamente ti passa anche la voglia di starli a sentire, i nostri uomini di governo.
    La cultura riflette anche questo, un andamento sempre più discendente della società e di chi la regge.

    Per quanto riguarda la musica.. beh, abbiamo la meraviglia di internet che ci permette di scoprire e seguire le nostre passioni.

  3. Abbiamo modo di seguire ciò che amiamo, anche se troppo spesso ci si trova davanti a persone che fanno i musicisti come hobby e gli impiegati di mestiere, perché la musica sembra poter essere un lavoro vero per pochi. Non c’è spazio per gli artisti.

    E’ avvilente, è frustrante sapere che progetti musicali validi, che amiamo, potrebbero naufragare perché non c’è denaro, non c’è considerazione.
    D’altra parte, penso anche che la cultura “di massa” sia una struttura che continuerà ad esistere, e che alcune nicchie, come gli universi che LostHighways segue, continueranno a convinverci. In fin dei conti, ci sono cose che non sono per tutti, musiche che non possono essere per tutti. Questo non significa che alcuni musicisti tra quelli che hai citato tu non siano dei grandi artisti, penso piuttosto che si tratti di incompatibilità di gusto. Penso che esista sempre e comunque una percentuale del gusto personale che non dipenda dall’ambiente ma che sia totale soggettività.. chiamala pure questione di “pelle”.. ma anche se la Pausini non esistesse, non credo che chi la ascolta apprezzerebbe Le Luci della Centrale Elettrica.

    In fin dei conti, le diversità di gusto possono convivere.. e certe rappresentazioni musicali come Antonacci, Tiziano Ferro, la Pausini.. beh, possiamo trovarle discutibili, ma è giusto concedere che a qualcuno piacciano.

    Quello che sarebbe interessante è un BILANCIAMENTO DEGLI SPAZI. Per non lasciare che Sanremo e MTV siano l’unica rappresentanza. Senza pensare sempre che all’estero vada meglio che qui, perché a Londra o a Berlino il rock ha un peso maggiore, ma dandoci da fare perché anche qui si possa migliorare.

    E torniamo sempre alle solite citazioni:
    fammi far solo una cosa che serva..
    è anche per te se il tuo paese è una merda.

    ps.chiedo scusa se ho scritto frasi sgrammaticate, ho cercato di mettere insieme pensieri che si sormontano.

  4. bassistamistico

    davveero ormai la cultura è diventata merce rara e di conseguenza tutto quello che gli orbita attorno.Già la mia generazione è a stragrande maggioranza ignorante, a scuola studiavamo per avere la materia e non per ricordare gli argomenti, questo è il prodotto dell’ozionismo scolastico scaturito dal dopo ’68 e la musica ha fatto lo stesso percorso.Potevamo farci caso già negli anni ’70 per non parlare della decade successiva con la disco music, gli huppies,i paninari e i metallari, questo “decadentismo” si è sentito tanto nel mondo come in italia, che ha fatto la musica italiana negli anni ’80? l’Italia e il mondo erano già proiettati al nuovo secolo, nessuno si preoccupava di approfondire qualsiasi argomento,preferivano farsi le pere…musicalmente parlando c’erano delle idee offensive e disgusose a mio avviso, certo era l’identificazione del sound di una decade ma era lontano dai tempi d’oro della musica.Il mondo era troppo invaso da questa musica e troppo invasato nell’assorbimento della stessa, era lo specchio della generazione anni ’80 di quella gente che ascoltava la disco music o il pop (che era lontanissimo da quello che aveva fatto impazzre il mondo)e che erano degli ignoranti, che non conoscevano nulla, ma che da ignoranti sono diventati avvocati (ignoanti), magistrati(ignoranti),banchieri(Ignoranti) ecc…senza parlare degli anni ’90 fino ad arrivare ai giorni nostri che la cultura e quindi la cultura musicale e facoltativa sommersa dal benessere e dalla tecnologia, anche oggi la musica che i più ascltano e lo specchio di questo paese sempre più solo nella sua ignoranza

  5. Non è mia intenzione lodare il vecchio ma non posso negare che la scena musicale di mainstream sia legata a necessità oggettive.
    Penso che si possa trovare comunque qualcosa che odori di ARte anche nel Big Biz ma è davvero difficle, al giorno d’oggi.
    Il settore indipendente riserva ancora molte belle sorprese, a prescindere che sia nostrano o estero.
    Ciò non toglie che non è una questione di settore ma di sentire.
    E quello di questo paese, a mio avviso, è davvero molto basso.
    Però, ho fiducia.
    I segnali ci sono tutti.
    Spero che si riesca a sentirli.
    Non tanto per la musica quanto per altro.
    Per il vivere con la testa alta, per esempio.
    Ultimamente è molto, molto, difficle.

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