“Il più bello dei mari/ è quello che non navigammo”. Le coincidenze. Le convergenze. Un viaggio in Islanda scritto nella poesia di una vecchia Super 8. Una canzone che arriva per caso e scivola sul mare in bianco e nero di mesi indietro nel tempo. Due codici per raccontare la nostalgia, del vissuto, dell’atteso, del sognato.
Verano è parte de I segreti del corallo (La Tempesta, 2008) di Umberto Giardini alias Moltheni: “è la colonna sonora di un amore perduto. Ognuno di noi ha un amore perduto, e se così non fosse… ascoltando questo brano, finirà per sognarlo”. Ilenia Corti, donna sensibile e con una spiccata attitudine alla comunicazione fatta d’attimi e suggestioni, per un gioco del destino firma la regia del videoclip di un brano splendido nella sua semplicità e intensità. Incrociata in un qualunque aprile, in un qualunque angolo di una qualunque città della sera, ci racconta la bellezza di pochi minuti che s’oppongono agli stilemi di un’estetica odierna così poco incline alla ricerca e alla cura.
Per cominciare: quando hai incontrato la musica di Moltheni? Come, poi, i vostri percorsi si sono incrociati?
Premetto di non essere un’assidua ascoltatrice di musica italiana, in particolare di quella contemporanea, pur riconoscendo la presenza di talenti che emergono spesso a fatica. L’incontro con la musica di Moltheni avviene dieci anni fa quando comprai il suo primo album Natura in replay che mi accompagnò per molti viaggi e fu per me come un tesoro prezioso da custodire, uno di quegli album che ascolti così tanto che poi non vuoi più saperne. Infatti per dieci anni non ascoltai più nulla di suo. Non so nemmeno io il perché.
L’incontro con Umberto Giardini avviene in conseguenza ad un sogno fatto all’incirca un anno fa: andavo ad un concerto a Milano, doveva suonare come headliner Moltheni, lui inizia a suonare tardissimo quando ormai non c è più nessuno tra il pubblico, solo io; Moltheni si accorge di questa persona e dice che una persona sola come pubblico è sufficiente per esibirsi. Il giorno successivo a questo sogno decisi di cercare Moltheni su MySpace per capire cos’era successo dopo il suo primo album, mi procurai quelli successivi e li ascoltai con grande curiosità, come faccio in tutte le cose cui mi approccio. Ci fu uno scambio naturale di mail e un reciproco apprezzamento per i rispettivi lavori e mondi che ci rappresentano. Trovammo affinità estetiche in particolare verso i paesi nordici. Ricordo che un giorno mi scrisse: “adoro tutto quello che produci, non so cosa… ma un girno ti chiederò di fare qualcosa per me”. Lo scorso settembre suonò a al Magnolia di Milano e senza dire nulla decisi di andarci con un amico, e al termine della sua performance gli donai un piccolo uccellino che avevo fra i capelli e che arrivava proprio dall’Islanda. Ancora adesso non so se avesse capito che ero la stessa persona con la quale aveva scambiato mail i mesi precedenti. Ci trovammo la notte di Capodanno il 31 dicembre a Bologna e non ci accorgemmo che era mezzanotte fino a quando sentimmo scoppiare i botti: ci eravamo persi davanti al computer a guardare immagini dell’aurora borealis… da lì, successivamente, l’idea di questo videoclip. Di Umberto Giardini mi ha colpito molto la naturale inconsapevolezza di avere del genio e la sua totale incoscienza del potere che ha nelle mani. Mi ricordava in qualche modo mio padre. L’umiltà mi ha sempre affascinato nelle persone.
Proviamo a seguire i sentieri del mare. Proviamo quindi a leggere le coincidenze, il loro codice segreto. Accade, e non per caso. Il senso esplode, improvviso. Un viaggio nel 2008 verso l’Islanda diventa un diario d’immagini che rappresenta la malinconia di Verano nel 2009. Raccontami…
A proposito di coincidenze… un giorno, guardando per caso un filmato che avevo girato in Islanda l’estate precedente, capita come sottofondo proprio il brano Verano che sembra legarsi perfettamente alle immagini. Da lì nasce l’idea di crearne un videoclip effettivo.
L’Islanda è un luogo concreto, ma anche parallelo, evanescente, quasi una proiezione del desiderio d’altrove, o un ricordo inconsapevole. E’ così vicina al sapore nostalgico di Verano…
Ho viaggiato molto sin da quando ero piccola per arricchire la mia conoscenza personale e anche per lavoro. L’Islanda è un luogo a sé. Uno di quei luoghi che non si possono dimenticare. Ancora adesso a parlartene mi viene la pelle d’oca. Forse, per una serie di eventi concatenanti, il viaggio più bello della mia vita. Il più atteso. I miei compagni di viaggio: tre amici carissimi e mio fratello. Ricordo la distesa infinita di verde che ci trafiggeva le ossa, la delicatezza dei colori del cielo e il sole, che non vuole mai tramontare, che si contrappongono alla crudele discesa delle falesie a picco sul mare. Le cascate imponenti e l’arcobaleno che sbuca come un regalo. Il suono dolce come le corde di un’arpa quando ascoltavo gli islandesi parlare tra loro aspettando che il sole tiepido ci lasciasse addormentare .
A proposito del ricordo, del legame. Raccontami della vecchia Super 8 e della sua poetica…
Sono una grandissima appassionata di oggetti d’epoca in generale. Amo scavare nei mercatini e far tesoro di quello che trovo come continua fonte d’ispirazione per il mio lavoro e la mia vita. E’ come se ogni oggetto volesse raccontarmi la sua storia. Ogni volta che trovo qualcosa di “vecchio” penso inevitabilmente a chi l’ha posseduto prima di me e amo pensare alla sua storia, il suo passato come a qualcosa che si tramanda nel tempo di mano in mano. A volte quando vedo gettare oggetti vecchi nelle spazzature mi piange il cuore. Anni fa andai nella mia vecchia casa dove ho trascorso gran parte della mia infanzia e trovai in cantina una Super 8 di mio padre con alcuni filmini e un vecchio videoproiettore. Ogni pellicola mi riportava indietro nel tempo e mi sembrava di rivivere ogni momento di quell’infanzia che ormai era svanita nella mia memoria. Da allora è nata la mia ossessione per la Super 8. Ho iniziato a collezionarne molte e ad andare alla ricerca disperata di pellicole oggi in disuso da filmare e da sviluppare. L’attesa dello sviluppo e il fatto di non poter prevedere nulla lascia al margine di imperfezione un’atmosfera unica. Non ho la stessa sensazione quando utilizzo mezzi digitali innovativi. E’ una questione di gusto molto personale, come trovare una forma che ti rispecchia o un taglio di un abito che ti stia bene. I colori e la grana delle pellicole Super 8 sembrano un sogno o un déjà vue, le immagini sgranate mi riportano inevitabilmente ai ricordi legati alla mia infanzia e forse per questo credo che siano unici e insostituibili.
Le inquadrature. Quello che il tuo occhio cercava e che incontra con così tanta naturalezza la delicata ferita della canzone…
Le inquadrature attraverso l’utilizzo della Super 8 sono del tutto spontanee e naturali. Quando mi trovo in un luogo che mi provoca emozioni non posso fare a meno di immortalare il momento. E’ come voler entrare in contatto diretto con quell’emozione e non lasciarla per poi trasmetterla proprio come l’ho vissuta a chi un giorno la guarderà. Questo è semplicemente quello che cerco di fare sempre per ogni mia creazione. Alcuni mi definiscono visionaria ed in effetti è come se ogni immagine che mi si presenta venisse automaticamente trasformata dalla mia fantasia in un mondo immaginario nel quale perdersi. A volte è rischioso. Quello che vedo e quello che vorrei vedere. Mi perdo spesso nei miei labirinti immaginari.
Il montaggio. Sembra quasi di spiare il movimento lento del viaggio nella memoria…
Amo seguire personalmente questa fase di lavoro dopo aver girato del materiale che mi sembra interessante perché reputo sia una chiave di lettura importantissima per dar forma alle immagini e farle calzare perfettamente ad un brano o ad una composizione. Non mi ritengo una regista e nemmeno una montatrice, ma so che non riuscirei a fare un lavoro e lasciarlo completamente nelle mani di qualcun altro per il montaggio perché ritengo che un’altra persona non saprebbe leggere esattamente quello che voglio dire o trasmettere.
Il b/n svela il colore, comunque. Lo contiene, lo raccoglie, lo cristallizza…
Il bianco e il nero in questo caso sono legati semplicemente al tipo di pellicola che avevo scelto per questo viaggio, ma senza un motivo specifico. In realtà il bianco e il nero sono anche le due facce della natura che si manifestano nel giorno e nella notte. La natura morta e quella viva. L’inverno e l’estate. I momenti di buio e paura e la spensieratezza.
Il bianco e il nero mi caratterizzano e si riflettono in tutto quello che esprimo anche nelle due linee di gioielli che creo. Sono inevitabilmente i due lati del mio carattere che si riflettono.
Cos’è il mare?
Il mare come il ventre materno. Mi culla e mi riscalda. Mi sento a mio agio e mi perdo davanti a questo spettacolo della natura.
Cosa sono i luoghi per te? Evocazioni? Metafore?
Ogni luogo è una memoria. Quando penso ad un luogo dove ho vissuto un’emozione ricordo perfettamente i profumi, i rumori, i colori e le sensazioni legate ad esso.
I tuoi lavori definiscono un mondo incantato, “oltre”. Mi racconti come le maree dei preraffaelliti e dei surrealisti ti hanno influenzata e come hanno definito il progetto Vernissage, di cui è anima anche Matteo Mena?
Il progetto Vernissage non è altro che la culla o l’astuccio che contiene i diversi mondi che sfioro e che fanno parte di me anche nel mio lavoro effettivo. Io nasco come stilista di moda e successivamente mi specializzo nella ricerca e nella creazione di accessori. Ho lavorato per anni e lavoro tuttora come consulente per marchi di moda e come designer per la mia linea di gioielli e scarpe, ma non ho mai abbandonato la mia passione parallela per l’arte, per la fotografia e per il cinema e ho sempre cercato di coltivarla approfondendo, nei momenti di svago e nei momenti di buio, la materia effettiva… intendo dire studiando le tecniche e i modi di esprimerla. Mi è capitato per anni di trovarmi all’estero per lavoro e settimanalmente spendere tre o quattro notti in alberghi insieme all’insonnia con cui ho imparato a convivere e che talvolta ha alimentato i miei momenti creativi. Ogni viaggio di lavoro diventava un motivo per documentare posti nuovi e immortalare nuove emozioni. Nel 2007 per caso io e il mio carissimo amico Matteo Mena decidiamo insieme di dar vita a questo progetto e di comunicare esattamente e spontaneamente il frutto delle nostre idee attraverso un progetto che racconta arte e moda attraverso il linguaggio del sogno. Come due bambini che si trovano a giocare diamo vita a collezioni che ogni stagione raccontano l’episodio di una storia eterna. Amiamo perderci e sperimentare. Il progetto trova le sue radici ispirazionali nella tensione tra visione onirica, vitalità infantile e pragmatismo del mondo adulto, nel fascino degli animali custoditi nelle teche dei Musei di Scienze Naturali perennemente fissati nel ricordo del loro massimo splendore vitale, nelle foto di Sarah Moon, ritratti di una natura nostalgica, malinconica e perduta nel tempo. E come se le illustrazioni settecentesche dei libri di botanica e entomologia di Maria Sibylla Merian e di Mark Catesby fossero sopravvissute a una catastrofe naturale perdendo il colore.
In tutto questo il surrealismo inteso come liberazione dell’inconscio per raggiungere uno stato conoscitivo “oltre” la realtà, un mondo in cui sogno e realtà non hanno confine; il mondo dei preraffaelliti, che da sempre mi ispira sopratutto nella parte dell’espressione pittorica di alcuni esponenti come Millais quando rappresenta Ofelia o i paesaggi e le ancelle di John William Waterhouse.
La cura del dettaglio è figlia di un uso sapiente delle mani, del saper toccare la materia per darle forma. L’oro, le pietre preziose sono la storia della tua famiglia e tu le coniughi con un’attitudine alla sinestia. Immagine, musica, moda, natura…
Ho imparato a cogliere i dettagli da quando molto piccola mi sedevo con uno sgabellino al fianco di mio padre e lo osservavo incastonare e intagliare pietre preziose con la dedizione e la cura di chi ama davvero il proprio lavoro e lo coltiva con naturale istinto. Mi ha tramandato il senso di dedizione, la passione e la cura per i minimi i particolari, a volte anche impercettibili all’occhio. Dai miei genitori ho imparato che con la dedizione e la costanza si possono coltivare passioni e farle diventare un lavoro vero e proprio senza dimenticare quali sono le proprie origini.