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So easy to accept but so hard to understand: Vic Chesnutt-Elf Power @ Circolo degli Artisti (RM) 22/03/09

vic-chesnutt_liveEstraniarsi. Guardare il mondo attraverso il tempo e l’attimo che ti scorre davanti. Guardare attraverso il mondo e non al mondo. Con occhi lucidi. Immobilizzato. Nell’attimo infinito che suggella la sensazione; così debole ed effimera quanto smaniosa di vivere e non lasciarsi vivere. Assaporare il suo aroma sotto il palato, che sia dolce o amaro, sfiorare la sua superficie sotto la punta delle dita, che sia liscia o frastagliata. Vivere per sentire, non con le orecchie ma con la pelle, le ossa, le unghie giù fino al midollo, il cervello, il cuore. Vivere per trasmettere il brivido, il sorriso, la lacrima. Vivere per l’impulso, per il suono, per la musica.
La serata calma si apre in un Circolo semideserto con l’esibizione degli Elf Power. Il collettivo degli Elephant Six di Athens già attivo da quindici anni tra svariati ed interessantissimi progetti, tra cui of Montreal e Neutral Milk Hotel. Stasera gli Elf Power ci regalano il loro splendido sound per circa un’ora, trasportati tra indie rock, pop, folk, psichedelica. Un sound legato alla tradizione americana, ammirato da pochi fedeli.

La loro è un’esibizione fantastica, appassionata e appassionante che però non può non essere adombrata dall’attesa di ciò che dovrà arrivare. Un attimo e poi arriva. Ora c’è Vic Chesnutt sul palco e con lui la sua piccola chitarra, le sue armoniche, la sua sedia a rotelle, ma con lui c’è anche la sua storia, la sua esperienza, i suoi piccoli occhi azzurri quasi coperti dal cappello di lana, la sua anima. Anche gli Elf Power che lo accompagnano sembrano diversi. Come se una strana atmosfera di commozione e riverenza avesse illuminato i loro sorrisi. Suonano seduti anche loro per solidarietà, per sentirsi un tutt’uno. Andy Rieger accompagna con la sua chitarra e guarda Vic sempre con dolcezza, Laura Carter sembra immedesimarsi in ogni nota che sia eseguita sul clarinetto, sulla fisarmonica.
Vic sa muoversi e parlare con lentezza, scegliere il giusto tempo per assaporare ogni attimo rendendolo linfa vitale, energia primigenia e indispensabile. Prendersi il tempo e non lasciarsi prendere da esso. Il tempo per scandire ogni parola che viene dal profondo e imprimerla ancora una volta come marchio a fuoco sulla pelle dei sentimenti; sentirlo poi quel fuoco che brucia vivo nell’anima con tutta naturalezza provocando ogni volta ferite sempre nuove, di diversa entità e reazione. Quella voce, piena di rabbia, di massima intensità; la sofferenza e poi il sorriso sugli occhi e sul volto. Il segreto è seguire le impressioni, sentire il pubblico, renderlo una parte di sè e agire di conseguenza in base a quello che ti suscita. Si suona a ruota libera senza una scaletta. Tutti i brani dall’ultimo Dark Developments, che Vic presenta brevemente, vengono eseguiti. Ogni brano si slega da se stesso e dalla sua versione su disco per divenire qualcos’altro, per essere interpretato sempre in maniera diversa, ogni istante, ogni ora, ogni minuto. Cambiano al cambiare delle suggestioni, diventano unici ed indimenticabili, mostrano il sorriso amaro e compiaciuto di chi alla musica ci rimane aggrappato, dd chi ne fa una ragione di vita. L’unica forse. Poi arriva il tempo di guardare indietro al passato, rispolverare quei brani che il piccolo cantautore canta soltanto con la sua piccola chitarra; quei brani dall’intensità struggente, colmi di verità vissuta e che avevano fatto sciogliere tanti negli anni passati e che fanno venire la pelle d’oca a riascoltarli oggi, ancora una volta diversi (appunto). Da Little passando per West of Rome e John Fante per arrivare alla toccante Warm da North Star Deserter. L’attimo per gli applausi interminabili tra occhi completamente persi nella bellezza è d’obbligo. Poi tornano gli Elf Power. Vic sorride, gli occhi brillano di purpurei riflessi ed esclama: “I come from Athens, Georgia, this is Elf Power and they come from Athens too, and this is a song by another band from Athens, Georgia” . Chi lo segue da sempre sa a cosa si sta per riferire, sa l’importanza che una persona quale Michael Stipe ha avuto per lui avendogli prodotto i primi due dischi. Poi la chitarra diffonde arpeggi dilatati sulle ali del tempo e quella voce si mostra ancora così grande fuori da un corpo così piccolo, intona le parole di Everybody Hurts dei R.E.M. in una versione malinconica ed estraniante. Rimaniamo attoniti, muti, consapevoli di aver assistito a un qualcosa di memorabile. La cosa più splendida che si possa vedere: la sincerità della vita trasposta in arte e noi che ne siamo partecipi.

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