Sognanti, cinematici, eleganti, nostalgici ed un po’ timidi. Colorati, delicati, energici. Questo e altro sono i Superpartner, band salentina dalle atmosfere raffinate e un po’ retro, pop senza essere mai banali, semplici e allo stesso tempo bravi e attenti. LostHighways li ha incontrati per farsi raccontare i loro ultimi mesi: album, concerti, interviste e aneddoti di viaggio. Una conversazione tutti intorno ad un tavolo, che dal diario del loro tour si è spostata fino allo stato di salute della nostra musica, passando attraverso Sanremo, il paese reale e il piccolo mondo indie. Perché per tutti oggi è indispensabile guardarsi intorno e far qualcosa.
Ad accompagnarci in quest’intervista, il brano che dà il titolo al loro album, Love Hotel, un assaggio delle atmosfere speciali che la band riesce ad evocare. (Foto 2-3 di Emanuele Gessi)
Il vostro primo album, Love Hotel, è uscito da qualche mese e in questo periodo lo avete portato dal vivo su molti palchi, grandi e piccoli. Che feedback avete avuto dal pubblico rispetto al vostro lavoro?
Francesco L: Ovviamente la situazione cambia da concerto a concerto. In alcuni c’è stato un bel pubblico partecipativo, a volte abbiamo avuto anche un bel suono, dettaglio importante, perché credo che sia anche l’acustica del locale a influenzare la performance e la risposta. Con il pubblico poi si innesca un circolo positivo, perché dove c’è una maggiore partecipazione si tende a suonare meglio, ad esprimersi al massimo.
Rosita: In generale abbiamo avuto un buon feedback e persone che ci hanno sentito per caso in alcune serate si sono poi appassionate alla nostra musica e sono tornate a sentirci in altre date.
In generale credete che ci sia interesse, curiosità di scoprire band nuove (anche se voi non siete proprio esordienti) o pensate che il pubblico sia un po’ assopito?
Francesco F: Ci sono molte diversità anche tra il pubblico: ci sono persone che vanno ai concerti per ascoltare della buona musica, scoprire qualcosa di nuovo, conoscere. E incontrare questo pubblico è molto bello, perché capita poi di poter parlare, ascoltare pareri interessanti sul tuo lavoro. Capita anche di incontrare qualcuno che non ha alcuna curiosità ed è brutto accorgersene, perché di fronte ad un pubblico disinteressato è difficile divertirsi suonando la propria musica.
Parliamo un po’ dei vostri progetti futuri. Prima di tutto vi rivedremo live anche durante l’estate? E poi siamo curiosi di sapere anche se state lavorando a nuovi brani, se avete provato insieme..
Francesco L: Nonostante le occhiaie, suoniamo sempre con grande passione e piacere, quindi ci auguriamo di poter suonare per tutta l’estate. Vogliamo suonare ancora molto, non ci vogliamo riposare!
Per quanto riguarda i nuovi brani… sì, ci sono delle nuove idee che stanno prendendo forma, ma è ancora prematuro parlarne, abbiamo provato qualcosa insieme ma le occasioni creative non sono state molte, perché in questo periodo ci siamo dedicati completamente all’attività live. Di conseguenza abbiamo lasciato meno spazio alla composizione, ma quanto prima riprenderemo a provare e vedremo cosa ne nascerà.
Ci fate i nomi di qualche artista italiano/straniero con cui vi piacerebbe collaborare?
Gianpaolo: Stiamo lavorando ad una collaborazione con Al Bano, vedremo come andrà a finire!
Francesco L: Scherzi a parte, per ora non ci pensiamo, poi le collaborazioni migliori secondo me sono quelle che nascono spontaneamente.
Avete suonato parecchio in questi mesi e avete percorso molti chilometri lungo le autostrade italiane, prova ne è anche il vostro video per Song for Sarah, che vi vede protagonisti non solo di live ma anche di preparativi, viaggi e serate. Raccontateci un po’ dell’Italia che avete vissuto in viaggio…
Vincenzo: Il tour dal punto di vista artistico è un momento molto bello perché ti dà modo di confrontarti fortemente con realtà diverse dalla tua, di rapportarti con un pubblico sempre diverso, quindi aiuta molto. Dal punto di vista logistico, ogni spostamento comporta moltissimi chilometri, soprattutto per noi che siamo proprio all’estremità della penisola.
Gianpaolo: Diciamo che se ci fosse una scena indie africana, noi ne faremmo decisamente parte!
La cosa più brutta successa in tour?
Rosita: Beh, un ostello fatiscente pieno di ragni.
Francesco F: Per me il momento peggiore è stato, dopo innumerevoli chilometri e anni di patente in cui era sempre andato tutto bene, quando rientrando a casa ho parcheggiato davanti alla sala prove, ma sbagliando a prendere le misure ho rigato completamente la fiancata del furgone!
Francesco L: A Trentola Ducenta, vicino Caserta, siamo rimasti intrappolati col furgone in un garage interrato per oltre un’ora, non riuscivamo a risalire per via di una salita troppo stretta e ripida resa viscida dalla pioggia. Dopo innumerevoli tentativi abbiamo dovuto scaricare tutta la roba dal furgone per alleggerirlo. Un lavoraccio. Pensavamo di dover chiamare i vigili del fuoco. Di aneddoti da raccontare poi ce ne sarebbero tanti.
Come vi sembra la musica italiana in questo periodo? Si fa un gran parlare dello stato di salute della nostra musica e molti artisti a modo loro cercano di dare un’opinione, un segnale forte… a partire da Sanremo…
Vincenzo: Il primo interesse resta sempre quello commerciale, quindi temo che queste iniziative rimarranno isolate.
Francesco F: Sanremo è un modo per farsi notare, non lo considererei sbagliato. Non capisco chi rinnega gli Afterhours per Sanremo: si tratta di un modo per raggiungere un pubblico nuovo, far conoscere qualcosa che c’è ma non viene scoperto da molte persone.
Gianpaolo: Sicuramente è un segnale positivo il fatto che si riesca a portare una realtà nuova oltre i confini più usuali e far conoscere a persone diverse i propri progetti. Forse l’ambizione degli Afterhours di poter aprire un canale in quell’ambiente per molti gruppi alternativi è un tentativo difficile, non vano ma complicato e sicuramente lontano dall’attuale realtà. Buoni progetti e buoni gruppi ce ne sono tanti, ma è difficile che ci sia spazio per tutti, non si riesce poi a portare le idee sempre nella direzione giusta, a farle conoscere al grande pubblico.
Manuel Agnelli ha parlato anche dell’ambiente indipendente come di un ghetto, un mondo autoreferenziale in cui sembra difficile poter vivere solo di musica. Che ne pensate?
Francesco F: Il mondo indipendente è davvero un ghetto e purtroppo tra indipendenti e major non c’è sempre grande diversità di pensiero: si tende spesso, anche nel circuito indipendente, a guardare più al lato commerciale che a quello artistico, che sicuramente ci rimette.
Francesco L: Per quanto riguarda il vivere da musicista, è difficile e faticoso, inutile raccontarsi che non è così. Ma prima di tutto è necessario seguire una passione, fare ciò che si sente e cercare di vivere di quello che piace. Poi i problemi sorgono e si affrontano.
Gianpaolo: Seguire una passione, fare ciò in cui si crede è fondamentale, ma siamo ben lontani dal poter vivere esclusivamente di musica; rimane comunque un abisso tra le realtà indipendenti e gli artisti conosciuti dal grande pubblico e supportati dai grandi media.
E’ curioso notare come però diversi gruppi stranieri, pur proponendo generi non sempre immediati, riescano ad avere clamoroso successo in Italia, a volte a discapito delle nostre realtà nazionali. Viene da chiedersi cosa non vada nel sistema italiano. Anche per i concerti sembrano esserci problemi: se in altri stati europei la crisi non impedisce alla musica di continuare, in Italia invece saltano anche manifestazioni ormai storiche come l’Heineken Jammin’ Festival…
Rosita: Sì, penso per esempio al successo dei Killers, e mi accorgo che il meccanismo italiano non funziona. Sono una band che non propone musica pop, non sono “commerciali”, eppure vengono spinti tantissimo dai grandi media e piacciono a tanti, me compresa. Quindi viene da pensare anche che molti dei musicisti italiani “indipendenti” abbiano un potenziale che non viene esaltato.
Gianpaolo: Magari altri paesi non hanno nemmeno un festival come Sanremo a monopolizzare l’attenzione, di conseguenza lo spazio è distribuito meglio. Forse la cultura è diversa, il modo di pensare la musica è diverso.
Ultima domanda: una considerazione su internet, dato che siete molto presenti con il vostro sito e su diverse piattaforme. La Rete vi aiuta a espandere il vostro Pink Pop?
Francesco L: Aiuta molto, innanzitutto perché è un mezzo che consente anche alla piccole realtà di avere visibilità; poi spesso le persone che ti conoscono attraverso MySpace, Facebook e i vari canali le trovi anche ai concerti. Internet è indispensabile per autopromuoversi.
Cristiano: Per gli artisti indipendenti rimane il mezzo migliore, perché non hai intermediari e puoi autogestirti in qualche modo. Anche gli addetti ai lavori se ne sono resi conto: internet è utile anche a loro, per cercare talenti e per verificare la situazione. E’ vero, c’è una quantità forse spropositata di artisti e aspiranti tali, ma l’accesso a internet è un’opportunità unica.