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Actor – St. Vincent

actor-st_vincent_480Soltanto due anni fa l’americana dell’Oklahoma Annie Clark, in arte St. Vincent, aveva firmato il suo esordio discografico solista (dopo essere stata alla corte di Glenn Branca, Polyphonic Spree e Sufjan Stevens) con quel Marry Me (e chi non l’avrebbe fatto?) che risultò tra i dischi più belli ed interessanti dell’intero 2007. Il mezzo busto della cantautrice in copertina, ripresa frontale in tutta la sua esile e graziosa bellezza acqua e sapone, i suoi occhi verdi estraniati e persi nel vuoto, era il ritratto perfetto di quel disco: intimo e minimale, tra folk e jazz. Due anni dopo eccola tornare col nuovo Actor e la sua figura in copertina cambia al cambiare dell’album. Stavolta con la testa ripresa quasi di profilo, sembra essere un calco di cera dalla straordinaria e magniloquente bellezza che supera i tempi per farsi immagine immortale, stereotipo e simbolo. Actor riflette tutto ciò. Un disco in cui aumenta tanto l’uso dell’elettronica e in cui la struttura di ogni brano diviene ben complessa. Un album in cui tutto si fa magniloquente anche quando si parte dalla semplicità di una melodia. Un album che vuole farsi pubblico e attore, spettatore e interprete allo stesso tempo delle suggestioni dell’arte visuale, suono naturalmente scaturito dall’infinita essenza dell’immagine, quasi come una colonna sonora composta a posteriori, di reazione emozionale. I brani sono così intrisi di elementi che resta difficile snocciolarli in strutture base semplici. Una composizione tanto complessa che ha portato prima ad erigere gli impianti formali e complessi della canzone e poi, soltanto in seguito, aggiungere una melodia vocale e delle parole. L’elettronica si fa elemento portante di tutti i brani che sono ornati da eccelse orchestrazioni tese a dipingere atmosfere dolci e tinteggiate (quasi da film della Disney), a evocare valli meravigliose e sconfinate. E sotto ogni punto spunta il pop ed il folk. La voce è dolce e melodica. Di tanto le chitarre elettriche aprono qualche squarcio profondo e improvviso sulle atmosfere che in sottofondo rimangono ancora tenui (The Strangers) fino a sconfinare nel noise rock più estremo, dopo essersi imbattuta in quelle ritmiche sconfusionate, tipiche della nostra Beatrice Antolini (Marrow). Save Me From What I Want ha un andamento più cantilenante, mentre The Neighbors da ninnananna cibernetica si fa più dura e aspra, satura, fino all’elettronica un po’ ubriaca alla Sufjan Stevens. Black Rainbow è l’esempio di come farebbe musica un compositore del ‘600 coi mezzi d’oggi: i fiati barocchi, le atmosfere tra il sospeso e il sognante, la voce sempre splendidamente melodica e intensa convergono in un crescendo davvero maestoso e inquietante che porta il brano alla massima intensità giusto prima di esplodere nella successiva A Mouth of  Blood. Pezzo davvero stupendo, pieno di pop, con un pizzico di soul e R&B, nel quale l’apertura di chitarra acustica richiama il minimalismo più caratteristico degli esordi. The Bed tradisce qualche richiamo orientaleggiante nell’aria. The Party invece è più semplice e convenzionale, più dolce e ammaliante con le sue note di piano candide come carezze e le sue morbide modulazioni con voce e strumenti che si fondono.
Tutti i brani hanno delle parti, intermezzi strumentali orchestrati a puntino, che esulano un po’ dalla canzone dando l’impressione di farla uscire per un attimo dai propri lidi sicuri conducendola a inesplorati porti. Ma poi ritorna sempre tutto. Accennano alla tensione, al mistero che poi si dissolve puntualmente nella bellezza.

Credits

Label: Label: 4AD – 2009

Line-up: Annie Clark

Tracklist:

  1. The Strangers
  2. Save Me From What I Want
  3. The Neighbors
  4. Actor Out Od Work
  5. Black Rainbow
  6. Laughing With A Mouth Of Blood
  7. Marrow
  8. The Bed
  9. The Party
  10. Just The Same But Brand New
  11. The Sequel

Links:Sito Ufficiale,MySpace

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