The Gentlemen’s Agreement arrivano da Napoli, un luogo apparentemente lontanissimo dalle atmosfere folk, dal sapore americano, dalle immediate associazioni con gruppi altrettanto giovani come gli Okkerville River. Ma è poi così lontano davvero? Forse no. Forse invece quella freschezza, quella giocosità, quell’evidente voglia di suonare con passione riflette un aspetto della loro città: la semplicità, l’abitudine a vivere all’aperto, all’esterno. Qualche settimana fa vi abbiamo presentato il loro disco, Let me be a child, raccontandovi proprio quell’immediatezza, spontaneità e innovazione della loro musica. Adesso ritroviamo quella stessa freschezza nelle parole del farmer nonché voce del gruppo, Raffaele Giglio.
Il vostro è un ottimo disco, immediato e di grande impatto. Mi raccontate il perché del vostro nome e come nascete?
Ci fa piacere che il disco vi sia piaciuto, è importante per tutto il duro lavoro che abbiamo fatto, intendo ricevere così tanti apprezzamenti. Il nome The Gentlemen’S Agreement è nato istintivamente, ci piaceva l’eleganza che scaturiva da questo nome… tutto qua. La stretta di mano, un accordo preso così sulla base di una semplice fiducia, anche questo mi faceva piacere. Noi come band siamo nati due anni fa, e abbiamo subito subito, dopo un paio di settimane, scritto e registrato un Ep autoprodotto (The Gentlemen’S Agreement) poi dopo un po’ di mesi registrammo, sempre autoproducendoci, COW e poi ci hanno preso in considerazione i ragazzi dell’etichetta partenopea MATERIA PRINCIPALE che ci hanno prodotto Let me be a Child, e sicuramente anche gli altri che verranno.
Le reazioni della critica sono più che buone. Che effetto vi fa?
Bene, bene e bene! Questo è l’effetto che ci fa sapere o leggere delle parole così cariche di meraviglia o di piacere per quello che facciamo. Ci sbattiamo parecchio affinchè le cose vadano per il verso giusto. Le regole fondamentali sono: una buona educazione (credo nel detto: “Fai bene e scordati, fai male e pensaci”), suonare tantissimo in giro (anche a cachet ridotti, meglio farsi conoscere in giro che rimanere nell’anonimato con più soldi in tasca), stare bene con i piedi per terra e rendersi conto che suonare o fare il musico è un grande privilegio.
Sapere che piace il nostro disco e come lo suoniamo dal vivo è sicuramente una gran bella soddisfazione.
La vostra musica è certamente particolare, diversa da quella di molte altre band, soprattutto emergenti. Cosa ascoltate voi di solito? Cosa che vi influenza?
A me non è mai piaciuto seguire una tendenza musicale, quindi ascolto poco la musica attuale, mentre faccio una continua ricerca (soprattutto tra gli anni ’30, ’40,’ 50) comperando tanti vinili o cd, documentandomi su fenomeni musicali vecchi. Durante la composizione di quest’album ho ascoltato prettamente Django Reinhardt (fino alla nausea, studiandolo o imparando le posizioni degli accordi manouche), molto Chet Baker, ma anche Sufjan Stevens o Langhorne Slim, Crosby, Still, Nash & Young, Brian Wilson dei Beach Boys, ovviamente i Beatles (soprattutto Harrison), Piero Piccioni, Armando Trovajoli. Ho la fortuna di avere molti dischi ereditati dai miei parenti e ne sono a centinaia, tutt’ora continuo la mia ricerca! Ed è fantastico avere così tanta musica a portata di mano, soprattutto gratis!
Cosa c’è di Napoli nel vostro lavoro? Inizialmente pensavo che la vostra musica ne fosse lontana, poi invece mi ha fatto venire in mente moltissime immagini, moltissimi ricordi dell’adolescenza a Napoli: le nostre piazze, il nostro modo di vivere gli spazi, il nostro modo di stare insieme. Ho sentito bene?
Secondo me ognuno è ciò che ascolta, ma anche ciò che vive. Amo la mia Napoli, e ci vivo dentro nolente o volente, ma nelle situazioni più drammatiche che questa città ci offre la mia reazione è quella di chiudere gli occhi e fantasticare. Andare al mare, lasciare gli zoccoli incastrati tra due scogli e sperare che nessuno li rubi… ecco questo è il mio modo di sognare in questa città. Immagino di appartenere ad una Napoli senza tutte queste invivibilità quotidiane. Sono di Napoli e la musica che scrivo appartiene a questa città, sicuramente! Si avverte una certa esterofilia, ma il tutto è ingurgitato da una mente che vive qui, in Campania (anzi precisamente Campi Flegrei), e vomitato dopo essere stato assimilato dal mio organismo napoletano! E forse è anche questa la sua peculiarità!
Avete in programma un bel po’ di date in Italia e una a Parigi. Come mai la Francia? E’ la prima volta all’estero, giusto? Emozionati?
Sì! Dall’uscita del disco (21 novembre 2008) fino ad oggi abbiamo fatto già 50 date, in lungo e in largo per la nostra penisola, e ne faremo ancora tante altre! La Francia è stata la prima nazione estera ad aprirci le porte. Siamo stati lì per un mini tour di 5 date in febbraio, passando per Tarbes, Bordeaux, Paris e Orléans, è stata un’esperienza magnifica. In più ci hanno seguito due operatori di Current Tv, che faranno 4 short-documentary per il canale di Sky e un Film documentario di 52 minuti che verrà distribuito. Ci ritorneremo a fine maggio, partiamo da Napoli il 16 e ritorneremo il 31, per poi ripartire per un mini tour di Festival vari!
In Italia invece che accoglienza avete trovato durante i vostri live?
E’ sempre una lotteria! Sicuramente riusciamo a conquistarci tutti alla fine di un nostro concerto! Ci tengo molto a suonare sempre bene e con dedizione, anche di fronte a 30 spettatori.
So che avete in preparazione un disco per la fine dell’anno. Come procedono i lavori? Cosa ci dobbiamo aspettare?
Il disco si chiamerà Carcarà, e sarà molto più tropicali sta, vicino a delle sonorità che ultimamente mi stanno catturando (Francesco Alves, Forro in the dark, Veloso, Tom Zé). Per ora ho scritto una storia e dei testi che narrano di questo Carcarà, poi ho, in camera mia, allestito un mini studio di registrazione con il mio fedele 4 piste a cassetta, un microfono panoramico, mille chitarrine e chitarre e appena ho un’idea ZACK! Subito a registrarla. Mi aspetto un nuovo disco con un sound che in Italia pochi affrontano, canzoni piene di “saudade” ma con ritmi frenetici atti a far smuovere le pacche di chi ci ascolterà in futuro, in più ultimamente abbiamo modificato la formazione aggiungendo un contrabassista fenomenale e un nuovo talentuoso batterista.
Ci vuole più coraggio a diventare adulti oppure a conservare un po’ di fanciullezza? Visto l’esito del vostro disco io la risposta l’ho già trovata!
Ci vuole più coraggio a rimanere fanciulli con una bella bici sgangherata, le croste sulle ginocchia per le continue cadute, un supersantos sotto la maglia e senza alcun pensiero. Il mondo ci cambia seguendo schemi preordinati, ma conosco molte persone che continuano ad essere espansive, che continuano a meravigliarsi e che credono ancora in una fetta di pane con la nutella!
Buona vita!