Una carriera iniziata in Inghilterra da musicista polistrumentista quasi 30 anni fa coi suoi Automatic Dlamini. Poi la passione per la produzione e quel brano dei The Chesterfield che diventa cult inaspettato in Uk. Musicista, compositore, produttore, arrangiatore, performer. John Parish è molto più che una figura influente del panorama indipendente (e non) mondiale. Uno di quelli che rimangono un po’ dietro le quinte, il cui nome è quasi sempre celato all’interno delle pagine dei booklet, anche quando il suo lavoro è essenziale. Svariati progetti e collaborazioni con gli artisti più diversi. 16 Horsepower, Spleen, Giant Sant, Tracy Chapman, Goldfrapp, Eels, Sparklehorse, M.Ward solo per citarne alcuni. Senza tralasciare poi il legame speciale che lo lega all’Italia e alle band italiane con cui ha lavorato: Cesare Basile, Afterhours, Nada.
La carriera solista e i tre album con la numerosa John Parish band di cui fanno parte in pianta stabile Marta Collica e Giorgia Poli (ex-Scisma). Le colonne sonore composte per il cinema e per il teatro. Infine Il suo rapporto stretto ed intimo con Polly Jean Harvey. Un sodalizio artistico e personale che ha mostrato il contrasto e la fusione di due anime, quelle di un uomo e di una donna, una materiale e l’altra immateriale, che percorrono le proprie rispettive strade; si separano, proseguono distanti per anni e poi tornano immancabilmente a sfiorarsi, ad incontrarsi. E quando ciò accade, brilla tutto di misteriosa magia incantatrice. Era già successo con To Bring You My Love (1995), Dance Hall at Louse Point (1996), Is This Desire? (1998), White Chalk (2007) e succede tutt’oggi con A Woman A Man Walked By. Ancora una volta le affascinanti storie di quella donna e di quell’uomo che camminano insieme e dipingono atmosfere uniche ed intense, mostrando quello che sono, quello che sono stati e quello che saranno. John Parish non è per niente uno qualunque. John Parish è una leggenda! E LostHighways è onorato di ripercorrere ed approfondire la carriera artistica di uno dei grandi di sempre attraverso quest’intervista che sa godere della sua splendida disponibilità sorridente. (Lo streaming di Black Hearted Love, tratto da A Woman A Man Walked By, è autorizzato dalla Universal UK).
Una donna. Un uomo. Polly e tu. Un’amicizia intima da molti anni. L’unione perfetta e indissolubile tra la sua voce e la tua musica. Cosa puoi dirmi del tuo rapporto con lei? Potresti immaginare la tua musica slegata dalla sua voce?
Polly e io abbiamo un intimo rapporto musicale e personale da più di venti anni. Crediamo l’uno nell’altra completamente e siamo entrambi grati di avere avuto l’altro su cui contare e da usare come una cassa di risonanza durante il corso delle nostre carriere. Posso immaginare la mia musica slegata dalla sua voce perché per un verso esiste in questa forma, ovviamente noi facciamo dischi indipendentemente l’uno dall’altra, ma amo in modo assoluto sentire quello che Polly fa con la mia musica e come le sue parole e il suo canto rendano il tutto di un altro livello.
Ho letto che Black Hearted Love era una tua vecchia registrazione ritrovata da Polly che ti ha chiesto di comporre musica per il nuovo album. Questo brano infatti suona differente dagli altri, più rock, più rumoroso e immediato. Dove e quando hai composto le musiche per A Woman A Man Walked By?
Scrissi originariamente la musica di Black Hearted Love per un album solista su cui stavo lavorando alcuni anni fa. Diedi la musica a due amici, Polly e Mike Paine ed entrambi scrissero una serie di parole. Ero in procinto di usare le due versioni per completare l’album. Ma non mi sono mai deciso a portarlo a termine. Polly si è imbattuta nel nastro mentre stava raccogliendo materiale inedito dopo aver scritto l’album White Chalk nel 2005. Mi ha telefonato e ha detto: “questa è una grande canzone, dobbiamo fare qualcosa con lei adesso!” e questo ha fatto da catalizzatore per realizzare il nuovo album. Il resto dei brani di A Woman A Man Walked By sono stati scritti a Bristol (da me) e a Dorset (da Polly) tra la fine del 2005 e l’inizio del 2007.
A volte in questo album la tua musica ha un sound davvero incredibile, assolutamente unico. Penso a Passion Pointless, The Chair… Come arriva l’ispirazione per questi brani e per l’intero album?
Sono felice che tu abbia scelto di menzionare queste due canzoni, anch’io non posso pensare a nient’altro che suoni come loro. Non so da dove sia venuta l’ispirazione, sono solo contento quando si rende manifesta…
Qual è il tuo modo di approcciare la composizione? C’è qualcosa di differente quando componi per Polly o per i tuoi album solisti o per le colonne sonore dei film?
Tendo a raccogliere piccolo idee su un walkman, poi di tanto in tanto passo alcune ore spulciando tra le registrazioni per vedere cosa cattura il mio orecchio. A volte penso immediatamente “questa potrebbe essere un’idea per Polly” o “questo potrebbe funzionare come un pezzo per un film”, e di conseguenza prendo nota. Poi quando sono in studio a lavorare su un progetto spesso tiro fuori queste registrazioni e taccuini e li uso come fondamenta per una canzone, che tenderò a costruire istintivamente, strato per strato, aggiungendo o rimuovendo.
E quando produci o suoni per altri qual è il tuo tipico modo di lavorare?
Non ho una formula standard per lavorare. Provo e reagisco meglio che posso qualsiasi sia la situazione. A volte si tratta di avere un ruolo molto proattivo nell’arrangiamento e nel suonare la musica. Altre volte è più una critica costruttiva sullo stile di scrittura.
Sei andato spesso in tour in giro per il mondo con Polly. Com’è viaggiare in tour con lei? C’è qualche aneddoto che ricordi col sorriso? Personalmente ricordo il tour di Dancehall at Louse Point con un’intera compagnia di danza. Com’è stata quell’esperienza?
Sì, andare in tour con la compagnia di danza di Mark Bruce è stata un’esperienza piuttosto differente. Ci è piaciuta davvero molto e così anche al pubblico. Alcuni critici sembra non l’abbiano capita a fondo e l’hanno recensita come se pensassero fosse una competizione per l’attenzione tra la danza e la musica. Erano principalmente critici di danza, ai critici musicali è piaciuta. Credo che i critici di danza non fossero abituati a vedere una dinamica, eccitante, rumorosa rock band sullo stesso palco di un gruppo di ballerini ed erano un po’ troppo impressionati. Abbiamo suonato in teatri ma non usandoli per fare consueti show rock. Ricordo in un camerino la manager del teatro che apre il frigorifero per prendere qualcosa e nel vederlo strapieno di birra esclama tutta eccitata: “Wow, Rock and Roll! Normalmente ci sono giusto un paio di yogurt magri e acqua naturale qui dentro”. La cosa buffa è che dopo lo show i ballerini ci facevano bere sotto il tavolo ogni notte!
Hai iniziato a conoscere la musica italiana quando hai prodotto Cesare Basile, ma il tuo rapporto con l’Italia è sottolineato anche dalle tue collaborazioni soliste con Giorgia Poli e Marta Collica. Cosa pensi delle band italiane e della scena indipendente italiana?
Cesare è stato la mia introduzione alla scena indipendente italiana. Quasi tutti quelli che ho incontrato avevano un legame con lui! Ho interagito abbastanza bene con la scena e con la gente e per gli ultimi cinque anni ho lavorato con musicisti italiani nella mia band, Marta e Giorgia nella John Parish band e Giovanni Ferrario nell’attuale band di Pj Harvey e John Parish. Credo ci sia tanta musica indipendente davvero molto buona in Italia, è triste che sia largamente sconosciuta al di fuori del Paese. Ma questo sembra essere un grande problema europeo, fare musica per attraversare i confini.
Oltre le band italiane hai lavorato con tantissimi artisti grandi e famosi come Tracy Chapman, Eels, Giant Sand, Goldfrapp, Sparklehorse e alcuni altri meno famosi ma molto interessanti come M.Ward. C’è qualche artista o esperienza lavorativa che senti più importante per te?
Ogni progetto è importante nel suo proprio modo e ogni progetto nutre e influenza per un certo grado la musica che faccio. Alcune collaborazioni sono durature e si sviluppano lungo un periodo di anni, per questo la loro influenza tende ad essere più grande.
Sei stato co-autore e performer per gli Spleen di Rob Ellis. Cosa pensi di quel progetto che ha visto la collaborazione di artisti rilevanti e anche molto vicini a te come Josh Klinghoffer?
Rob è davvero un musicista e compositore di talento. Lavorare sull’album Spleen e fare quei pochi show che ho fatto è stato estremamente piacevole. Rob è anche molto generoso coi suoi ringraziamenti. Sentivo che fosse realmente la sua musica e mi sarebbe bastata anche solo una citazione nei ringraziamenti per l’arrangiamento.
Com’è stata la tua esperienza di insegnante di musica in un college?
Ho amato lavorare con gli studenti e sono andato molto d’accordo anche con la maggior parte degli insegnanti. Non impazzisco per il lavoro su carta e il trafficare con la burocrazia dell’organizzazione per avere piccole cose come pile o corde della chitarra è stato un incubo… ma vedere la mia prima classe di studenti esibirsi nel loro show di fine anno mi ha riempito di orgoglio come non mai.
Come hai iniziato ad approcciarti alla musica e com’è venuto il desiderio di imparare a suonare strumenti differenti?
Sono cresciuto in una famiglia di musicisti e sono stato spedito a lezione di pianofin da piccolo. Ero piuttosto disinteressato finché scoprii la batteria a 12 anni e i T. Rex a 13. Da lì in poi fui abbastanza sicuro di quello che avrei voluto fare. Cominciai a suonare la chitarra perché era difficile scrivere canzoni partendo dalla batteria. Quasi tutto quello che suono è molto rudimentale. Si tratta più che altro di imparare quanto basta per suonare una specifica parte per uno specifico pezzo di musica.
Qual è il futuro di John Parish? Pubblicherai un altro album solista dopo Once Upon a Little Time (2005)?
Non posso dire del futuro…ma ho quasi mezzo nuovo album solista scritto. Spero di riuscire a scrivere l’altra metà verso la fine di quest’anno quando finiremo il tour.
Tu sei una sorta di guru della musica indipendente/alternativa coi tuoi molti anni di esperienza e lavoro sulle spalle. Cosa pensi riguardo il ruolo e l’obiettivo della musica oggi e il modo in cui la gente la vive?
Un guru?! Il ruolo della musica è quello che è sempre stato, per ispirare, eccitare, commuovere. Credo che la gente risponderà sempre in questo modo alla musica. È deludente vedere la musica screditata dai formati moderni… suonerie, servizi per cellulare e varie, ma non credo che il capitalismo, con tutta la sua marcia progressiva verso la mancanza di cultura, o il fondamentalismo religioso, con la sua paura primitiva della musica, distruggeranno il rapporto essenziale che gli umani hanno iniziato ad avere col suono e il ritmo… e il blues.
“Credo ci sia tanta musica indipendente davvero molto buona in Italia, è triste che sia largamente sconosciuta al di fuori del Paese.”
Proprio perché si fa così fatica ad uscire da certi piccoli (piccolissimi) confini, leggere riconoscimenti per musicisti italiani da personalità come John Parish fa un immenso piacere. Bisogna sempre più lavorare senza sosta, perché quello che pochi conoscono si espanda, perché non è detto che le cose non possano cambiare, almeno un pochino.
Un bel colpaccio, Gianluca! 😉
Io credo anche che ci siano tanti artisti stranieri, di cui molti in Italia, non riescono a rendersi conto dell’infinita grandezza. John Parish è uno di questi. Hai ragione quando dici che le cose possono cambiare. Ma per far diventare la nostra musica internazionale, per “oltrepassare” i confini, bisogna confrontarsi anche e soprattutto con quello che succede al di fuori del “Paese”.
John Parish è uno che ha coscienza di come gira il mondo e di come gira la musica nel mondo e, nonostante tutto quello che ha fatto e tutti gli artisti incredibili con cui ha lavorato, lui, personalmente, rimane sempre indipendente, nel vero senso della parola.
Per il semplice amare…la musica. Trovo incredibilmente significativa la sua ultima risposta.
La musica, che è suono e ritmo, come essenza dello spirito e dell’esistenza umana. E’ un concetto che esiste dall’inizio dei tempi eppure tutti lo hanno dimenticato…
Hai ragione, la sua ultima risposta è molto bella: semplice e altrettanto vera. La musica può continuare, nonostante l’imbarbarimento culturale generalizzato, ad essere fonte di eccitazione, emozione, ispirazione.
Cosa possiamo fare, noi, per contribuire attivamente? Come facciamo a confrontare noi stessi e la nostra musica con ciò che c’è al di fuori del Belpaese? Domandiamoci come possiamo essere d’aiuto e poi agiamo. In fondo, come dici tu, il semplice amare la musica è già un ottimo punto di partenza.