L’Emilia-Romagna diventa complice dell’unione tra sud Italia e lnghilterra: Giuseppe Lovreglio e James Wood III sono le fondamenta dei Silvia’s magic hand, band di folk-rock quest’anno all’esordio discografico. Flying saucer for recreation (Irma Record, 2009) è un album capace di affascinare i nostalgici del rock classico e interessare l’orecchio di chi è solito a suoni più moderni. Al crocevia tra i generi e i tempi ci sono loro: l’aggiunta di un batterista in pianta stabile (Gianluca Casamassima) fa acquisire solidità alla band e credibilità ad un progetto sincero ed emozionante. Non ci è dato sapere quali fossero i portentosi poteri della magiche mani di Silvia, ma della qualità musicale della band, di quello sì possiamo goderne; per questo Losthighways ha voluto seguire il loro cammino, che li ha portati alla finale regionale dell’Arezzo Wave e ora ad affiancarsi ad artisti affermati su palchi importanti della scena indipendente. Un rapido scambio di parole con Giuseppe Lovreglio (chitarrista insieme a James), accompagnati da Soldier’s lament, prima traccia dell’album d’esordio. (Streaming autorizzato da Irma Records; si ringrazia Antonia Peressoni)
Esordienti e ricoperti di attenzioni. Come vivete l’ottimo momento per la band? Questo clima alimenta la creatività oppure ora preferite pensare a raccogliere i primi frutti del vostro lavoro?
Sicuramente c’è ben poco da adagiarsi sugli allori: la buona risposta che stiamo avendo da critica e pubblico ci spinge a continuare a lavorare. Quest’anno ci occuperemo di trattare i pezzi nuovi in maniera diversa (una volta capito e rodato il sound), e di una serie di esibizioni live per allargare il giro… ci dobbiamo fare pubblicità!
La storia della band è ancora giovane, come voi. Ci potete raccontare com’è nato l’incontro e il progetto Silvia’s Magic Hands?
Io e James ci siamo conosciuti in una fabbrica a Cesena. Ho ascoltato alcuni suoi provini e abbiamo deciso di tentare di trattarli, per capire che direzione prendere. Gianluca (il batterista) è arrivato dopo, prima per darci una mano nei live, poi in pianta stabile per chiudere il cerchio magico.
La vostra musica viene da lontano, storicamente e geograficamente, ma risulta comunque autentica e capace di portare in sé un’alchimia di suoni e culture differenti: sofisticata e precisa da un lato, elegante e passionale dall’altro. Come riesce a realizzarsi questo connubio?
Direi che avviene in maniera del tutto naturale, non a tavolino coi guanti bianchi del rispetto, come qualcuno ha detto. James ha delle radici folk proprie delle sue origini inglesi; io e Gianluca veniamo da trascorsi più indipendenti italiani e da una matrice più americana. Penso che ciò si senta, e a noi piace; ci viene naturale incontrarci così a metà strada.
Come già detto, il vostro sguardo musicale è stilisticamente rivolto al passato, portando alla mente il ricordo di grandi nomi del rock americano. Secondo voi qual è il segreto di questa musica che riesce a sopravvivere anche nel terzo millennio?
Non ne ho idea. Non sono un inguaribile e patetico sostenitore a tutti i costi della scena trascorsa. Ho sempre un occhio vigile alle nuove produzioni. Preferisco sicuramente le emozioni e la spontaneità del passato anzichè le finte costruzioni odierne (vestiti, style, pose, ecc…).
In un mondo dove spesso il frastuono ha il sopravvento la vostra musica intraprende strade molto delicate, direi delle lost highways. Si tratta di una scelta esclusivamente artistica o anche di vita?
Delicate, a volte. Ho suonato per anni anche altri generi musicali, non disdegnando i suoni saturi. Ora un po’ mi hanno stancato, ma mi sembra ovvio. A volte mi lancina di più un brano dove non te l’aspetti ma quel “qualcosa” accade… oppure un altro con un suono dinamico a sbalzo, che ti inchioda al muro. Troppo facile il contrario… per noi non c’è nessuna scelta artistica dietro. Di vita, forse!
Cosa pensate del panorama musicale nel quale, con il vostro esordio discografico, siete entrati a fare parte? Si riescono ad instaurare dei rapporti veri tra gli artisti che si incrociano sui palchi? Come siete guardati dalle band più affermate per le quali avete il compito di aprire le serate?
Fino ad ora con le band con cui abbiamo diviso palchi (indipendentemente se affermate o meno) è stato raro “non trovarsi”, e quelle poche volte che è successo penso che dipenda da quanto si senta distaccata dal suolo la band prima o dopo un’esibizione. Abbiamo aperto per Benvegnù, Marta sui tubi, Calibro35, M. Venuti, Lombroso, Canadians (tra gli altri) e ci siamo trovati sempre in un clima abbastanza giocoso e piacevole, sicuramente anche perchè noi siamo poco “cagacazzi”, abbastanza alla mano e semplici. Comunque i Marta sui tubi rimangono i numeri uno!
Pensate che nel 2009 il rock possa essere ancora un mezzo per comunicare un messaggio e scuotere le masse o si tratta solo di “arte” e semplice espressione dell’artista? Le etichette, come chiunque lavori nel settore, appoggiano più “l’artista” o il “musicista”?
E chi lo sa?! Io penso di no! Tutto è cosi scontanto, preparato, costruito e finto… leggo poca genuinità! Soprattutto in Italia: arte ed artisti, nel senso romantico della parola, mi sembrano paroloni, direi al più musicisti ed affini. Quindi darei per buona l’espressione sola del musicista. Etichette interessate all’arte o al musicista? Mah!
Tornando alla vostra musica, quanta importanza hanno i testi per i Silvia’s Magic Hands? Come prendono forma?
Al contrario di tante altre situazioni, per noi i testi hanno un’importanza fondamentale indipendentemente dalla semplicità, dalla loro rappresentanza figurativa. James si occupa delle lyrics; io provo ad interpretarle dando loro un’immagine visiva.
Ascoltando Flying saucer for recreation si nota la cura compositiva, sia nella parte strumentale che nel canto. Tutto è legato ma fluido, ricco ma dall’aspetto scarno. Sembrate dei buskers sofisticati e precisi, di quelli che stendono il tappeto sull’asfalto e sistemano gli strumenti per ore prima di iniziare a suonare. Il live, invece, come si propone?
Quel disco è stato registrato di fretta e alcune atmosfere adesso sono state elaborate. Siamo ossesionati dal riprodurre interamente dal vivo ciò che è su supporto fisico; ci perdiamo un po’ di tempo anche nei live, ma neanche tanto in realtà! Le idee sono chiare ed anche la nostra strumentazione: il problema spesso è far capire i volumi per miscelare alla meglio tre suoni in uno, o così via (dato che usiamo chitarre sdoppiate per murare il suono). In piccoli club ci riusciamo, ma a volte, strano ma vero, facciamo più fatica nei live “grossi” a farlo accettare da fonici ben più preparati.
Il vostro obiettivo più grande?
Continuare a suonare liberi, e divertirci in ciò che facciamo. La trasparenza paga e la gente se ne accorge, mette le ansie da parte per un attimo e si lascia trasportare da questa pulizia.
Questi ragazzi sembrano davvero interessanti, li aspetto dal vivo per vedere come si comportano. Decisamente una novità interessante, mi sembra che abbiano uno sprito “non troppo serio” al punto giusto.