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Upper Air – Bowerbirds

bowerbirds-upperairProbabilmente la più grande colpa dei Bowerbirds è quella di aver esordito due anni fa con Hymn for a Dark Horse, un disco d’incredibile bellezza, un disco perfetto in ogni sua docile sfumatura, un piccolo capolavoro passato per lo più inosservato e ristampato in Italia soltanto pochi mesi fa. E quando fai strike così già col tuo primo album, si sa… il secondo album è sempre più difficile, almeno per chi ti guarda ormai con una certa idea preconcetta. Il rischio che corre il nuovo Upper Air è quello di essere giudicato più per le aspettative che per quello che realmente è: un disco di folk minimale e bellissimo, di certo diverso dal precedente, ma sempre intriso di quella sensibilità sorprendente che consente al duo del North Carolina, diventati trio con l’aggiunta del batterista Matt Damron, di comporre brani incredibilmente stupendi con l’ausilio di pochissimo, gli accordi strumming di una chitarra classica, la fisarmonica, la batteria, che spesso si riduce soltanto alla cassa o al leggero accompagnamento, e le splendide voci. Upper Air si distingue forse dal precedente per una tendenza ancora più intima, uno scavare nel profondo delle esperienze personali ed umane, quelle che nascono tutti i giorni, mentre ti trovi in tour in giro per il mondo con Bon Iver o coi Phosphorescent o John Vanderslic. E Upper Air volentieri rallenta. Rallenta come chi ha voglia di fermarsi a pensare, a riflettere a ruota libera, lasciando che tutto scorra senza ostacoli, con sincerità. Allora il loro folk si fa malinconico, folk da ultimo sole estivo, come se quei raggi scintillanti perforassero ogni tanto le immense nubi sopra lo sfondo di un tramonto roseo indefinito, come sulla copertina. Un folk che sa essere tanto commovente quanto trascinante e allegro. Un folk che sa guardare alla tradizione, sa porre lo sguardo anche al di fuori del continente americano per andare a scovare la musica tradizionale di popolazioni altre e trasporne le suggestioni che diventano anche soltanto citazioni velate. Ogni tanto si affaccia qualche strumento che conferisce con estrema semplicità un colore tutto particolare ad ogni brano, che si tratti di piano, autoharp, organo, contrabbasso, violino o accordion. Strumenti che si modellano tutti sulle inflessioni della voce di Phil Moore, sempre assolutamente appassionata, che guida l’emozione e modella ogni giuntura tra le strofe e fa suo ogni passaggio e arpeggio musicale. E se è Moore a fare la parte del leone, Beth Tacular non è da meno ogni volta che fa il suo ingresso con la voce femminile, ora alternandosi a quella maschile in un misto di sonorità assolutamente splendido, ora unendosi ad essa e mostrando uno splendore contrastante. Dieci brani dalla bellezza straniante e desolante, da goderne con pacatezza e delicatezza e sui quali spicca Bright Future, una vera perla, un capolavoro che si muove lentamente e in cui le note di chitarra prendono il loro spazio con calma, senza rubare niente ad una voce che emoziona gradualmente e pian piano costruisce una melodia che sembra voler tardare ad arrivare ma poi, quando arriva, è incredibilmente stupenda nella sua crudezza, nella sua spogliatezza di voce principale e coro femminile e nella fragilità di piccoli sonaglini.
Il folk dei Bowerbirds si fa contaminazione attenta di culture eterogenee, sensibilità etnologica mista alla moderna concezione compositiva di pop. E in quel tramonto di fine estate tutto si dilata. Ancora una volta.

Credits

Label: Dead Oceans – 2009

Line-up: Beth Tacular (accordion, bass drum, vocals) – Phil Moore (vocals, guitar, hi-hat/tambourin) – Matt Damron (drums)

Tracklist:

  1. House of Diamonds
  2. Teeth
  3. Silver Clouds
  4. Beneath Your Tree
  5. Ghost Life
  6. Northern Lights
  7. Chimes
  8. Bright Future
  9. Crooked Lust
  10. This Day

Links:Sito Ufficiale,MySpace

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