Gli Zen Circus, il gruppo più goliardico e punk-folk della penisola, pubblica per la prima volta un disco tutto in italiano dal titolo provocatorio: Andate tutti affanculo. Dopo aver portato in giro per il mondo il precedente album Villa Inferno, prodotto da Brian Richie (il bassista dei Violent femmes), i pisani Zen circus hanno deciso di fondere la tradizione cantautorale italiana alla Rino Gaetano proprio con la scena rock americana pre-Nirvana. Le loro canzoni sono cazzotti in faccia al perbenismo individualista del nostro paese. LostHighways ha incontrato il leader Appino la sera del 4 Settembre, in occasione del concerto all’Atellana Festival; molti i punti toccati, dalle idee di partenza del nuovo disco al tema dell’artista-lavoratore, dall’importanza dei live e dei social network alla partecipazione alla compilation Il paese è reale. Un’intervista diretta e sincera, senza peli sulla lingua! (L’egoista è in streaming autorizzato; si ringraziano Luigi, Gennero e tutto lo staff dell’Atellana Festival)
Parliamo del vostro prossimo album Andate tutti affanculo?
E’ il nostro primo album in italiano. Siamo tutti sovraeccittati. Siamo contenti che queste canzoni in italiano siano nate da sole, non ci siamo messi a tavolino per realizzarle. In Villa Inferno c’erano già quei pezzi vanagloria, Figlio di puttana e Vent’anni, che forse dovevano appartenere a questo disco ma poi si è deciso per l’album multilingua che è stato Villa Inferno.
Quale concept particolare c’è dietro questo disco partendo dal titolo?
Ci sono tre concetti chiave. Il primo è legato alle nostre storielle da furgone che possono interessare poco, ma per noi sono molto importanti. Tutti i nostri dischi sono legati ad aneddoti di tour, il titolo Villa inferno è scaturito dal nome di un paesino in cui ci imbattemmo durante un tour in Calabria, il titolo Doctor seduction fu ispirato da una scritta su un muro di un paesino vicino Caserta e il titolo Andate tutti affanculo è stato pensato vicino Cosenza tanti anni fa, quando tutti quelli che ci vedevano live ci chiedevano di fare un disco in italiano. Il secondo concetto chiave è connesso al periodo storico che sta attraversando il paese. Quando non si riesce a distinguere gli amici dai nemici e viceversa l’urlo naturale di reazione a questo stato di cose è appunto “andate tutti affanculo”.
Il nostro andate tutti affanculo è stato scritto sulla cover del disco su dei cartelli proprio per dargli l’accezione di protesta e non di menefreghismo individuale… una sorta di “facciamo qualcosa”. Il terzo concetto è strettamente associato alla nostra personale idea secondo cui il punk in Italia non c’è mai stato, è sempre fuoriuscito in forma cantautorale (che noi adoriamo!). La famosa idea di partenza del mandare tutti affanculo da parte del ragazzino di sedici anni che inizia a suonare non viene mai perseguita nel tempo, perché si diventa grandi e si pensa che quell’approccio sia puerile, invece non c’è nulla di male in quest’approccio goliardico che è tipico in miliardi di canzoni anglosassoni… ci piaceva porre l’accento anche su quel monellismo!
A proposito del fare qualcosa per lo stato di cose attuali della nostra società, voi avete partecipato alla compilation Il paese è reale degli Afterhours. Mi piaceva approfondire la dichiarazione un po’ critica affidata a noi di LostHighways …
Sì, ho detto che nella compilation c’era musica buona ma anche tanta merda, ma quest’affermazione non metteva in discussione l’iniziativa nè voleva sputare nel piatto in cui si mangia, ci mancherebbe. Conosco gli Afterhours e il loro brano è quello che preferisco della selezione. Volevo porre l’accento sulla poca accuratezza della ricerca rispetto alla musica nuova in Italia. Noi ,che siamo un gruppo medio come pubblico rispetto agli After, abbiamo avuto la possibilità di vedere gruppi di giovani che attualmente sono il paese reale, come iI pan del diavolo o Le luci della centrale elettrica che un paio di anni fa ci apriva i concerti e poi fortunatamente oggi ha raggiunto la meritata risonanza, come è successo anni addietro per i Marta sui tubi. In altre parole la compilation rispecchia un scena indie-rock italiana di dieci anni fa molto valida, quindi non è il paese reale. La ricerca musicale poteva essere fatta meglio. I ministri per esempio non ci sono. Non ci sono una marea di gruppi giovani ma c’è Marco Parente che abita vicino casa mia e rispetto tantissimo, ma sinceramente adesso non ne riconosco una fondamentale importanza per la scena attuale come d’altronde per Amerigo Verdardi e Marco Ancona che non ho ancora capito chi sono ancora. Questa roba non fotografa il 2009 e siccome conosco gli After e so come spaccano il culo sul palco so anche che potevano selezionare meglio… forse ai loro livelli qualcosa non arriva e forse aspettano che qualcuno metta la pulce nell’orecchio come sarà capitato per noi. Diciamo che contesto la ricerca, e penso che si poteva fare meglio.
Penso che gli After siano stati encomiabili perché altri gruppi sono stati al loro posto e hanno dimenticato da dove venivano e non hanno realizzato una tale operazione…
L’idea è stata una vera figata. E’ vero che le compilation eterogenee a me non piacciono ma mi è piaciuta l’idea della compilation come veicolo di conoscenza. L’articolo su XL è stata un bella cassa di risonanza mediatica ma alla fine è stata una contumelia continua che francamente non mi è piaciuta perché della mia intervista è quasi passata solo la frase finale: forse quando avrò quarantenni mi penserà qualcuno come artista”, ma non volevo esprimere uno stato di insoddisfazione personale. Sono consapevole che devo crescere un saltellino alla volta, sono felice di quello che sto facendo e so che questo paese non daànulla alla musica e non lo dà neanche ai lavoratori. Penso a quei miei amici che hanno abbandonato il sogno di vivere di musica per lavorare ed ora sono senza lavoro mentre io paradossalmente ora ho ce l’ho.
Della diatriba tra mainstream e mondo indipendente cosa ne pensi?
Anche quella è stata una storia infinita. Penso che tutti noi artisti siamo delle troie. Se domani scoppiasse l’elettricità, saremmo a girare su un carro di paese in paese per suonare le canzoni su richiesta per strappare un pezzo di pollo da mangiare. Io non sono tanto legato all’idea musica portatrice di cultura, ma a quella punk del vai e fai… vuoi fare cultura? Falla e basta, senza proclami… la gente poi giudicherà. Stasera il concerto era un po’ fiacco e l’ho sentito io e l’ha sentito anche la gente, ma può capitare.
A proposito del vai e fai, voi avete girato tanto tra Inghilterra e Australia ma non disdegnando mai la provincia italiana. Mi piacerebbe indagare questa forza di macinare km per approcciare dal vivo live un pubblico sempre diverso…
Sinceramente per me ogni data è bella. L’altro giorno eravamo a realizzare questo live assurdo in un furgone nel paesino Villa Inferno e ci siamo divertiti come a Sydney o Milano o Londra. Ci possono essere mille paganti o pochi, ma a me non frega un cazzo. Noi cerchiamo di suonare e portare questi disegnini di speranza ironica come Vent’anni e Figli di puttana che non vogliono cambiare il mondo, ma vogliono nel loro piccolo fare qualcosa senza pretese. Lo faccio perché prima di tutto godo, perché sono troia e perché credo sia una cosa bella. Vedo l’attività del musicista come un lavoro. Vengo dalla classe operaia. Mio padre e mia madre mi hanno insegnato il valore del lavoro. Quindi per noi non esiste nessuna strategia nell’organizzare le date di un tour. Ci piace girare in piccoli e grandi posti senza per forza centellinare le date e fissarle in posti precisi per chiedere grossi cachè perché il successo di gran numero è assicurato. Perché dovremmo scegliere questa strada? Fare l’artista è un lavoro e non c’è niente di male. Questa cosa non è orrenda ma fichissima. Abbiamo fatto un pezzo nuovo con la collaborazione di Nada e di suo marito Gerry Manzoli, che suonava nei Camaleonti, ci ha detto che facevano più di 200 date in un’ estate sola perché vivevano come un lavoro i live. E’ un atto d’amore verso la musica che fai, la tua vita si fonde con quella dell’artista.
Questa collaborazione con Nada sottolinea l’aspetto importante di questo disco: voler realizzare un prodotto di musica indipendente italiana di qualità…
Sì, volevamo fare un disco di musica indipendente italiana che non avevamo ancora sentito. A me piace fare musica che io stesso ho voglia di riascoltare. In Italia si può fare un rock alternativo trasversale che abbracci il cantautorato italiano ma nello stesso tempo dire qualcosa di nuovo rispetto alla scena indie italiana degli anni novanta rappresentata da Marlene Kuntz, Afterhours e CSI. Sono gruppi che stimo tantissimo, ma sto notando che progetti indipendenti che stanno avendo un grosso successo, come Le luci della centrale elettrica, sa livello stilistico sono sempre figli di quella scena. Noi vorremmo provare a fare qualcosa di nuovo, a immergere la tradizione cantautorale italiana con il rock americano pre-Nirvana, a provare nuove commistioni e dimostrare che si può fare.
L’andate tutti affanculo quanto è legato allo stato individualistico dovuto dalla degenerazione della scena politica odierna?
Il concetto dell’andate affanculo è legato anche a questo. Durante quest’intervista se sto parlando spesso di lavoro è perché mi sta molto a cuore in questo periodo e penso di essere fortunato a vivere dignitosamente con la mia professione di musicista “lavoratore”. Questo non tutti gli artisti l’ammettono. Molti si vergognano di etichettare la loro professione come un lavoro, ma alla fine non si rendono conto che il loro atteggiarsi è come stare in una Panda con i cerchi in lega!
Cosa ne pensi dei social network che hanno un po’ rivoluzionato gli step iniziali di una band emergente? Prima si faceva tanta gavetta live e poi si registrava il primo disco adesso le band registrano l’Ep, lo mettono in free-download, ma alla fine quando li vedi live molto spesso sono delle grandi delusioni…
Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Noi abbiamo fatto quella trafila classica. Quando decidi che vuoi suonare devi abbracciare la vita da furgone, devi voler bene a quei quattro pelosi con cui macini i chilometri e ti devi dimenticare della vita normale. All’inizio giravo con il camper con la mia ragazza, però pure se ci si amava tanto si finiva di merda ogni sera. Quando scegli questa vita devi mettere in conto che ti devi tenere anche le due carie che quando avrai tempo le curerai. Sono scelte di vita. Per quanto concerne i social network, noi crediamo in questi mezzi ma sempre con intelligenza. Bisogna usarli con un minimo di cultura e con un minimo di valori. All’estero questi valori sono innati, con questo non voglio dire che è meglio andare a vivere all’estero. I social network sono uno specchio della nostra società basata su una grande solitudine, c’è sono tanta bella gente ma anche tante persone sole. Amo la scienza. Per me sono fichissime queste nuove tecnologie e le cose nostalgiche revival mi stanno sul cazzo. Non ti dirò di come erano belle le musicassette ed i Puffi… quando avevo diciotto anni mi era sul cazzo chi ricordava cose del passato e lo sono ancora oggi che ho trent’anni. Bisogna prendere dal passato per costruire e non solo per celebrarlo co nostalgia.
Quanto è importante suonare davanti ad un pubblico che non ti conosce? Stasera c’erano molte persone non vi conoscevano ma alla fine li avete trascinati. In Italia c’è poca tendenza a esplorare, in linea di massima
Su questo sono d’accordo. A Milano per esempio, tranne il Miami, ci sono tutti concerti singoli nei club dove saranno sempre gli stessi che ti verranno a vedere. Vi è una regola matematica, come anche le varie fasi: i fischi all’inizio prima di andare sul palco, i cori e tutte quelle cose che sognavi quando vedevi i Queen da piccolo… ma alla fine forse ti stancano un po’. Tempo fa non si era mai meno di 500 per un concerto, si andava a vedere qualsiasi cavolata, mentre adesso quando si fanno 200 persone (che all’epoca erano solo per il soundcheck) si dice è andata bene stasera.