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Broken – Soulsavers

soulsavers_brokenCosa sarebbero oggi i Soulsavers senza Mark Lanegan? Semplicemente Rich Machin e Ian Glover, che equivale un pò a dire nessuno. Già, perchè avere a disposizione la voce di Mark Lanegan è un po’ come avere in squadra Michael Jordan. Si parte avvantaggiati. Ma il problema non si pone finchè i due dimostrano di essere in grado di scrivere ottima musica, chiamando in causa il rock che sconfina nel noise o nella magniloquenza orchestrale, il tutto alla fastosa corte dell’elettronica, sapendo proporre anche dei momenti più intimi e riflessivi. La cosa inizia a farsi più preoccupante quando la bellezza dei brani sembra essere direttamente proporzionale alla presenza ipnotica della voce rauca e notturna di Lanegan. Una di quelle voci graffiate ed alcoliche, che renderebbero bellissima ogni cosa che sfiorano. La dimostrazione sta in pezzi come All the Way Down, sicuramente poco entusiasmante se dovesse prescindere dalla variabile Lanegan. Il nuovo album dei Soulsavers fa scaturire sensazioni contrastanti, anche il richiamo di ospiti dalla caratura così imponente sembra un mezzo per attirare l’attenzione più che l’occasione per delle vere e proprie collaborazioni degne di nota. Tant’è che una personalità istrionica quale quella di Mike Patton, la stupenda voce conciliante di Richard Hawley e quella di Gibby Haynes dei Butthole Surfers vengono relegate a pochi e spogli cori su brani anche molto validi, precludendo la possibilità di gustarsi duetti che nemmeno la fantasia più ardita riuscirebbe a concepire. Così, anche con gli ospiti in secondo piano, Unbalanced Pieces si piazza tra gli episodi migliori dell’album col suo sound saturo un po’ garage e la nenia ipnotica dell’organetto sul refrain insieme alla meravigliosa finezza di Shadows Fall dagli arrangiamenti quasi morriconiani, mentre Death Bells stupisce per la melodia che spunta tra le sue parti trabordanti di noise e le voci filtrate. Soltanto un po’ più accentuata la presenza di Jason Pierce degli Spiritualized che accompagna Mark su Pharaoh’s Chariot, brano sicuramente dalla struttura non impeccabile nonostante gli interessanti arrangiamenti d’archi a contornare il motivo soporifero di piano. È interessante poi notare come i brani che spiccano di più nel disco, quelli che emozionano maggiormente, sono proprio quelli scritti da altri. Da un lato la splendida You Will Miss Me When I Burn dei Palace di Will Oldham (a.k.a. Bonnie ‘Prince’ Billy) sulla quale la voce di Lanegan, tremante e profonda come le cavità più recondite della terra, va a braccetto con le note basse e corpose di un violoncello fino al duetto finale con la voce femminile, mentre il piano accompagna fedele. Dall’altro Some Misunderstanding del membro fondatore dei Byrds Gene Clark, riarrangiata in una versione davvero meravigliosa in cui le chitarre elettriche distorte portano quel tocco di rock noise fino all’exploit del ritornello coi cori femminili e gli archi che innalzano tutto in uno splendore corale sognante e malinconico, senza paragoni. Se poi prendi quella voce intensa e bassa e la metti su un tappeto di piano arpeggiato che si muove lento, assecondato dai soliti archi e da un sax a rendere il tutto più romantico, il gioco è fatto e la vittoria è certa. Una formula troppo facile e sicuramente anche abusata in Can’t Catch the Train. Così la prima parte del disco sembra un tributo all’immensità di Sua Maestà Mark Lanegan mentre la coda prende una direzione del tutto opposta, puntando l’occhio di bue sulla voce nuova della giovane australiana Rosa Agostino, in arte Red Ghost, che aveva già fatto qualche coro in precedenza. E i brani così rallentano, tendono a trascinare sfruttando la dolcezza del timbro, cercando di fonderla con gli strumenti. Praying Ground risulta anche molto piacevole nelle sue lente movenze di piano e xilofono mentre la conclusiva By My Side convince molto meno nel suo intreccio d’organo, archi e chitarra crunch che mal si accorda su una cassa che scocca costantemente i suoi inesorabili colpi; la claustrofobica Rolling Sky si fa interessante per le atmosfere che riesce a creare e per il duetto fantastico, anche se viene resa fin troppo dissonante dai fiati e dal piano che procedono completamente slegati l’uno dall’altro per tutta la lunga durata. E’ interessante poi notare la tendenza cinematografica che accomuna il duo Machin-Glover e che si esprime al meglio nei due brani strumentali orchestrali che forse esulano dal resto del disco, ponendosi come episodi a sé ma che di certo meritano: The Seventh Proof, bellissima apertura del disco tra piano ed archi perduti, e Wise Blood. Del tutto inspiegabile è l’esclusione dall’album di uno dei due singoli che ne avevano anticipato l’uscita, Sunrise, un brano scritto da Mark Lanegan e interpretato magistralmente dall’altrettanto incantevole voce di Bonnie ‘Prince’ Billy. A conti fatti Broken è un lavoro sicuramente bello, piacevole, scorrevole dall’inizio alla fine, ma che istilla il dubbio su quanto il merito sia ad attribuire ad una delle voci più belle ed emozionanti del panorama rock odierno.

Credits

Label: V2 – 2009

Line-up: Rich Machin e Ian Glover (elettronica) – Mark Lanegan e Red Ghost (voce)

Tracklist:

  1. The Seventh Proof (instrumental)
  2. Death Bells (voce Mark Lanegan & Gibby Haynes)
  3. Unbalanced Pieces (voce Mark Lanegan & Mike Patton)
  4. You Will Miss Me When I Burn (voce Mark Lanegan)
  5. Some Misunderstanding (voce Mark Lanegan)
  6. All the Way Down” (voce Mark Lanegan)
  7. Shadows Fall (voce Mark Lanegan & Richard Hawley)
  8. Can’t Catch the Train (voce Mark Lanegan)
  9. Pharaoh’s Chariot (voce Mark Lanegan & Jason Pierce)
  10. Praying Ground (voce Red Ghost)
  11. Rolling Sky (voce Mark Lanegan & Red Ghost)
  12. Wise Blood (instrumental)
  13. By My Side (voce Red Ghost)

Links:Sito Ufficiale,MySpace

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