Il suono di un 45 giri, giochi sulla spiaggia, palloni bucati, cadute in bicicletta, amori adolescenziali e il confronto dolceamaro tra il sogno di gioventù e la realtà dell’età adulta. Senza volersi prendere troppo sul serio, Dario Brunori ha messo insieme un’opera prima molto interessante, brani delicati ma incisivi che disegnano personaggi e ricordi che tutti in qualche modo possiamo condividere. Le nove canzoni che compongono il suo disco sono Polaroid che fermano un momento, sovrapponendo il personale e l’universale. La verità si racconta con intelligenza. Ci sono rimandi e citazioni, frasi così semplici che si fissano nella mente, così immediate che mentre ascoltate le vedrete disegnarsi di fronte a voi o andare a recuperare il ricordo di un’estate della vostra infanzia, piena di sabbia, sole e gelati Motta. LostHighways ha scambiato quattro chiacchiere con questo cantautore anomalo, per scoprire qualcosa di più sulle sue fantasie. Il risultato è quest’intervista, leggera come la sua musica. In sottofondo (streaming autorizzato) Italian Dandy, estratto dall’album Volume Uno.
Prima di tutto, spieghiamo Brunori Sas. Come presenteresti questo progetto? Raccontaci cosa dobbiamo sapere per capire meglio il tuo lavoro.
Brunori Sas è una piccola impresa di produzione e commercializzazione di canzoni autentiche e lievemente malinconiche. Io ne sono il rappresentante legale, nonché socio accomandatario. Rispondo con tutto il mio patrimonio fatto di foto sbiadite, mutui a tasso fisso e urla nostalgiche. Capire il mio lavoro non è affatto complicato: il disco è così immediato da non aver bisogno di spiegazioni articolate. Basta premere play. Tra le definizioni altrui la mia preferita è: “ironico e lieve”.
Mi sembra che tu abbia abilmente intrecciato il tuo vissuto personale con quello comune, creando a parole le foto di un momento, personale e storico. Sbaglio? Dunque, come hai scritto i tuoi testi? Nei tuoi brani, quanto hai ricordato e raccontato te stesso e quanto hai osservato gli altri?
La stesura dei testi è stata caratterizzata dalla rapidità. La stessa rapidità necessaria ad un fotografo per catturare in un solo scatto l’essenza di una scena complessa. La stessa rapidità, se mi permetti una citazione, di cui parla Calvino nelle Lezioni americane. La prima volta che ho scritto i testi, nel vero senso della parola, è stata poco prima dell’uscita del disco, quando è venuta fuori l’idea del “canzoniere di Brunori Sas”. Fino a quel momento semplicemente le cantavo a memoria. Questo per darti la misura rispetto all’elaborazione delle liriche. Sono cosciente che questo approccio presenti i suoi lati negativi, a volte limare le parole è necessario e porta i suoi buoni frutti, ma per me era molto più importante fissare velocemente l’ispirazione del momento piuttosto che lavorarla per donarle la veste formale più consona. Eccezion fatta per quelli inventati, i fatti narrati in questo disco sono tutti realmente accaduti.
Molto spesso vieni paragonato ad alcuni artisti del passato, da Gaetano a Graziani. Questi personaggi cui vieni avvicinato fanno parte dei tuoi ascolti, ne sei stato consapevolmente influenzato? Quale musica ascolta Brunori?
Il paragone con Rino Gaetano è ormai inevitabile, in particolare in alcuni brani per via del timbro vocale, dell’approccio ironico e se vuoi anche della comune “calabresità”. La cosa ovviamente mi lusinga, ma al contempo non vorrei divenisse un modo sbrigativo per etichettare il mio lavoro e svilirne così l’essenza. Ad Ivan Graziani mi sento vicino per quel suo dualismo poetico/pragmatico, quella capacità di alternare momenti davvero toccanti a passaggi beatamente “ruspanti”. Per ciò che riguarda le influenze devo dire che ho ascoltato e ascolto così tante cose, anche molto lontane fra di loro, che non ho idea di quanto un artista abbia potuto influenzare le mie composizioni rispetto ad un altro. Probabilmente in questo disco sono entrati in gioco più gli ascolti indiretti degli anni della mia infanzia e della mia adolescenza, che non quelli consapevoli e volontari dell’età adulta. Artista della settimana nel mio lettore: Bob Corn, adorabile persona e adorabile songwriter.
Nonostante la tua sia una società in proprio a questo album hai lavorato anche con alcuni amici, da Matteo Zanobini, con cui in passato suonavi, a Camera 237 ed Annie Hall. Raccontami un po’… Avevi già le idee chiare e hai cercato collaboratori per metterle in pratica oppure queste persone hanno messo del loro, hanno aggiunto qualcosa alla tua musica?
I brani sono spontaneamente nati chitarra e voce. Quando Matteo (Pippola Music) e Chiara (Organetta Booking) li hanno ascoltati la prima volta, io non pensavo neanche lontanamente di farne un disco. Ricordo che era la vigilia di Pasqua dell’anno scorso. Dopo pranzo, con un po’ di vinello in circolo, presi la chitarra e suonai Nanà e L’imprenditore. Il commento fu: “Se ne hai almeno una decina così, si fa il disco”. E cosi è stato. Sei mesi dopo i brani erano undici. Ne abbiamo poi tenuti solo nove. Per l’arrangiamento si è scelto un percorso che rispettasse il “chitarra e voce” vestendolo con parsimonia. E’ tutto molto davanti, privo di riverberi artificiali e con un uso del panorama stereo che ricorda molto le vecchie produzioni anni ’60. Con Matteo mi viene davvero semplice lavorare, sin dai tempi dei Blume: amo molto la sua capacità di pensare la canzone non come momento a sé, ma come parte del contesto più ampio dell’album. Questa è una grande dote in fase di produzione, perché ti permette di effettuare scelte di arrangiamento che rendono le sonorità del disco coerenti. Le collaborazioni con Annie Hall e Camera 237 infine si sono rivelate perfette per donare all’album dei momenti maggiormente corali, strumentali, “suonati”, e per stemperare l’inevitabile effetto pallosità che affiora verso il decimo minuto quando ascolti un qualsiasi disco “chitarra e voce”.
Ti confesso che, tra le tue canzoni, una delle mie preferite è certamente Italian Dandy. La trovo musicalmente molto accattivante e mi piace molto il testo che le hai cucito addosso. Mi parli di questo personaggio che racconti? Anche qui usi la prima persona “io”, ma allo stesso tempo sembra tu osservi questo io da fuori per prendertene un po’ gioco…
Italian Dandy è nata esattamente come parodia bonaria al cliché dell’artista maledetto o se vuoi ai personaggi di stampo “gainsbourghiano”. E’ però al contempo un tributo ad un immaginario che ha esercitato ed esercita su di me un grande fascino, pur essendone agli antipodi nel mio quotidiano. Da giovincello ero un amante appassionato di poeti quali Verlaine e Rimbaud, e riempivo i miei diari di poesie tormentate e romantiche. Quando mi capita di rileggerle mi faccio grasse risate, soprattutto se penso che magari le scrivevo con le “de fonseca” ai piedi o la maglia di lana ficcata negli slip. E’ la vita che sognavo a 15 anni, filtrata dall’ironia sfottente del mio sguardo dannatamente provinciale. E poi ha un ritornello che fa impazzire anche le nonne.
Hai iniziato con i falò sulla spiaggia a pensare che da grande avresti potuto fare il musicista?
Ho iniziato a suonare la chitarra perché desideravo attenzioni dalle ragazze; la passione, quella vera, è venuta successivamente, quando l’esigenza vitale era quella di riempire il vuoto degli inverni in paese. A 15 anni il mio obiettivo era quello di fare assoli chilometrici per un’ipotetica folla in delirio. Ho ancora delle tendinopatie alla caviglia a causa dell’uso smodato del wha-wha negli anni fulgenti. Oggi quando salgo su un palco, una parte di me vorrebbe ancora suonare Voodoo child, piuttosto che ‘ste canzoni da nostalgico trentenne, poi però imbraccio l’acustica, la poggio sul pingue addome, vado di giro di do e mi dico che forse in fondo è meglio così.
Nel tuo disco c’è anche il canzoniere per suonare i tuoi brani. Fa parte della grafica nostalgica, insieme alle foto sbiadite dell’infanzia, o è voglia di sentirsi cantare da altri, magari proprio al falò sulla spiaggia?
Per il chitarrista da falò, prima dell’avvento di internet e delle tabulature da scaricare e stampare, i “Mille note” erano indispensabili quasi quanto lo strumento. Erano però malauguratamente pieni zeppi di settime random, accordi minori mascherati da maggiori, bemolle che si rivelavano diesis. Onde evitare emicranie ai miei fans chitarristi, ho deciso di inserire personalmente gli accordi dei brani, in modo da favorirne lo scambio spontaneo in viva voce. Trattasi di autentico “peer to peer” da spiaggia. Parlando della grafica, penso sia parte integrante del disco e penso ne rappresenti il necessario completamento. Alcuni brani sono stati ispirati proprio da quelle foto e senza dubbio il disco è assimilabile ad un album “fotografico”. Mi piace molto lo scatto sul retro, quello in cui mio fratello prende una pallonata colossale sul viso. Se ci pensi è stata questione di un attimo: bastava scattare un secondo prima o un secondo dopo e quel momento si sarebbe perso per sempre. Ecco, questa cosa mi affascina sul serio ed ha influenzato molto la stesura del disco.
L’estate ha segnato l’inizio della tua attività dal vivo, che continuerai prossimamente. Come ti ritroveremo sul palco, suonerai e canterai tutto da solo?
Per il tour estate/autunno/inverno ho assunto quattro stagisti mediante agenzia interinale. Sono i miei attuali dipendenti, musicisti talentuosi che stanno donando ai brani nuovi colori ed uno spessore differente. Rispetto al disco, il live è sicuramente più energico, più dinamico. Sono convinto che un approccio di questo tipo, oltre ad esser innegabilmente più divertente, sia in grado di creare il mood migliore per porre in risalto i momenti malinconici senza farli risultare noiosi. I concerti estivi sono andati benone: la gente si diverte molto ed il pubblico è davvero trasversale. Si va dai trentenni precari ai pensionati con figli a carico, e ti confesso che la cosa mi piace molto. Elemento da non trascurare poi è che ci stiamo davvero “scialando”. Mi auguro che continui così ancora per molto, molto tempo.
davvero bellissima intervista! Complimenti a Brunori, che riesce ad essere “ironico e lieve” anche al di fuori della musica suonata. Certa musica sa essere carezza, solletico e “pacca sulla spalla” allo stesso tempo.
Si sta molto meglio, ecco.