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Emoterapia – Trivo

trivo_01Chiamiamo folle ciò che è coraggioso. Chiamiamo folle ciò che è estremo. Ciò che è ambiguo. Ciò che sfugge gli schemi. Lo chiamiamo folle o adolescenziale. Perché abbiamo smesso di credere, di cercare alternative all’assenza di alternative. Poi c’è chi in mezzora sembra avere la dimostrazione inconfutabile che tutto è possibile perché niente lo è. Trivo vive di questo, di dissociazione e di motivazione. Tentando giochi di prestigio infantili, trasformando in suono il rumore. E ci riesce. Conosci il trucco, ma è proprio quello che stupisce. Emoterapia è un lavoro nato dall’impegno, dall’amore. E non è vero che l’arte nasce sempre da quello. Non lo è quasi mai. Qui c’è dedizione, cura del dettaglio. Minuzioso e inafferrabile. Bambino. Un bambino che può tutto. Diciassette brani, nei quali si alternano testi significativi, significanti,  a tracce strumentali. Come se tutto servisse a convincere, ad esorcizzare. A risanare. Risvegliare. Rispolverare gli innumerevoli oggetti che usa per la sua musica. Che è rumore. Meravigliosamente riportata al suo posto. Libera. “Nessuno desidera essere malato, eppure tutti abbiamo bisogno delle nostre malattie.” Si apre così questo disco, preannunciando il filo conduttore di tutto. Un concept album che ci attraversa di ricordi, considerazioni e probabilità. Ci filtriamo in questo mondo attraverso La disciplina delle fermentazioni, per ritrovarci in Ratio me fugit, suonata con gli oggetti più impensati. Come se fosse urgente fermarla, senza attendere il modo giusto. Perché è questo. Assolutamente uno dei brani migliori dell’album. “Mi nascondo se non posso urlare” e sentire che sono delle urla, a seguire questa frase, ad anticiparla, fa comprendere maggiormente il senso della sommossa candida, come eserciti di insetti, quello che ci sembra di sentire alla fine del brano. Ho un gatto nel cervello con il suo insistente miogolare, fa pensare alle nostre fissazioni, alle nostre fobie, senza mostrarci soluzioni. Ma così, come una fotografia: parla di ciò che vede. Ogni brano specchia le nostre debolezze, senza deriderle, presentandocele in maniera diversa. Ho bisogno di qualcosa di cui non ho bisogno parla del superfluo come dipendenza, “il mio stato mentale, orfano di una forma di redenzione“, mentre in Nero è come se qualcosa ci spalancasse. Registrato come se fosse danneggiato, e già questo basta a spiegarne il senso, il guasto, il danno, la rottura, dell’essere senza cura, eppure… “eppure di te mi curo“. Un brano che resta. Certamente il più sentito. Insensata e suggestiva anche La ballata dell’elefante suicida. La voce campionata che recita parole che non comprendi ma riconosci, perfettamente. “dentro il tuo inverno a caccia di stelle vado“. E’ tutto come scavare nella terra, come cogliere il peggio ma essere devoti alla bellezza. Non può esistere, in Trivo, niente che possa convincerlo che tutto finisce qui. Che è ancora fango quello sotto al fango. C’è speranza, c’è respiro nella sua musica. Che si sublima nel brano finale: Kisstarsky. Bacio. Stella. Cielo. Ecco cosa resta, in fondo. La bellezza. La crescita. L’incanto.

Credits

Label: Autoprodotto – 2008

Line-up: Rocco Triventi

Tracklist:

  1. Traccia 1 – Artista sconosciuto
  2. La disciplina delle fermentazioni
  3. Ratio me fugit
  4. Ho un gatto nel cervello
  5. The darkest side of the dark
  6. Ho bisogno di qualcosa di cui non ho bisogno
  7. Tu non sei normale
  8. Nero
  9. La mia donna è un pagliaccio opulento
  10. Talking to van vera
  11. Perché la cattiveria è enorme
  12. Questa non è una canzone
  13. Phantazomai
  14. La ballata dell’elefante suicida
  15. Piccola perdita di sostanza polpastrello
  16. Veronica ha un virus
  17. Kisstarsky

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