LostHighways si lega al titolo di un celebre film di David Lynch. LostHighways ha sempre prediletto una certa sinergia tra le varie arti, come accade per i videoclip. Il cinema moderno sta sfornando una miriade di registi provenienti dal mondo dei video musicali. In Italia uno dei massimi esponenti di questa generazione è Alex Infascelli che, avendo iniziato come assistente di David Fincher per il video dei Pearl Jam, è stato autore di pellicole ante litteram nella direzione della sinergia (appunto) tra il linguaggio del videoclip e quello cinematografico. Almost Blue è stato il suo pluripremiato lavoro. La scelta di musicisti sempre particolari come i Massimo Volume, Morgan, Steve Von Till per le colonne sonore ha sempre denotato una certa cura per la stanza sonora dei suoi film. In occasione del Rockalvi Festival (II edizione), manifestazione che lo ha visto come unico e geniale presentatore, LostHighways lo ha intervistato per un confronto sulla “linea di mezzeria”.
L’importanza della soundtrack in un film?
Prima di tutto definirei la parola soundtrack, che vuol dire traccia sonora. Per me non è solo una traccia sonora ma è quella musica che si sposa con le scene del film, con i dialoghi. Per me in quella determinata scena il film deve suonare in un modo preciso… quel determinato brano deve essere in simbiosi con quelle parole dei dialoghi, con quei suoni ambientali creando una certa intonazione, ma certe volte mi piace moltissimo tappare tutto, chiudere le parole ed in alcune scene procedere solo con la musica… perché in queste scene si rappresenta il pensiero, il flusso che è ovattato… si sta descrivendo a livello emozionale, interiore, un personaggio. In definitiva posso dire che la colonna sonora di un film è il 50% dell’opera cinematografica e certe volte è proprio il punto di partenza di un film.
Quanto è importante l’esperienza nel mondo dei videoclip musicali da questo punto di vista?
Partirei dalla differenza tra cortometraggio e videoclip. Il cortometraggio deve essere coerente nel suo svolgersi. A me non piace, sembra un bonsai, una quercia immensa ridotta a pochi centimetri. Io preferisco il videoclip, ti dà una libertà onirica, metafisica che il corto non ti dà. Infatti se importi questo approccio nel corto di solito non piace… io lo feci all’epoca con Almost blue e questa fu quella caratteristica del mio film che o piacque tanto o mosse critiche. A rileggerle oggi queste critiche farebbero molto ridere. Anche H2odio è stato accusato in questa direzione, ma penso che le critiche sono state mosse perché la scelta della distribuzione alternativa direttamente via DVD nelle edicole sputava in faccia ai canali tradizionali. Attualmente sta vendendo in tutto il mondo!
Diciamo che sei stato precursore perché M. Gondry ha fatto quasi i tuoi stessi passi…
Non direi precursore, direi al passo con i tempi. Il cinema moderno viene dall’esperienza di videomakers, vedi Spike Jonze, Anton Corbijn, Mark Pellington, David Fincher… il cinema degli anni settanta veniva dal mondo della fotografia.
Cosa possono fornire le altre arti visive, anche di tipo statico come può essere il fumetto, che possono sembrare apparentemente sconnesse per linguaggi diversi? Mi riferisco alla tua collaborazione con Paola Barbato (Dylan Dog) per la sceneggiatura della serie Tv Nel nome del Male?
C’è bisogno dell’uomo… del traduttore. Tu pensa un architetto che osservando una cascata, una roccia sui Pirenei viene ispirato nella realizzazione di una struttura architettonica. Lo stesso può accadere per un regista. L’uomo è il canale… è quello che governa il passaggio. Un libro che nella sua essenza narrativa potrebbe facilmente far pensare ad un passaggio filologicamente perfetto, ad un film, invece è un’operazione complessa che riesce sempre grazie al regista, al suo modo d’interpretare il passaggio. Il regista deve trovarci qualcosa che lo ispiri e così si crea un canale trasversale, strano e magico che permette la trasposizione.
Ritornando al discorso delle colonne sonore, per Almost Blue ti sei rivolto ai Massimo Volume, per Il siero della vanità a Morgan e per H2odio a Steve Von Till (Neurosis). Cosa ti ha fatto scegliere questi artisti?
Sono tutti artisti che fino a quel momento non avevano realizzato colonne sonore per film. Sono tutte opere prime. A me piace questo aspetto. Non mi sono rivolto a commentatori delle immagini di professione. Mi piace costringere dei musicisti a cimentarsi in una nuova direzione, incentivare la loro creatività sperimentale in altro ambito dove non sono soliti muoversi. Non sto disdegnando maestri di colonne sonore canonici come Bernard Herrmann o Badalamenti, sia chiaro.
LostHighways trae il nome dal titolo di uno dei film più particolari di David Lynch. Siccome io penso che tu abbia un approccio ispirato a lui, ti chiedo cos’è stato per il tuo cinema e per il cinema in generale questo regista?
A livello cinematografico ho due genitori. Il padre è Kubrick, quello che non puoi raggiungere, non puoi seguire le sue orme, per superarlo lo devi solo ammazzare. Mentre la madre è Lynch, quello che ti insegna ad essere libero nell’approccio, a seguire il tuo vento interiore perché cosi non sbaglierai mai. Lynch è la libertà, mentre Kubrick è la disciplina. A me piace tutto di loro, anche la fisicità, le foto… sono per me due amuleti da cui non mi separo mai.
Cosa ascolta nell’ultimo periodo Alex Infascelli?
I miei ascolti sono molto incentrati al passato. Comunque mi piacciono molto Joan as Police Woman e i Wilko. In questo ultimo periodo sto cercando la stanza sonora del mio prossimo film che sarà basato su Bilico, il romanzo di Paola Barbato.
Il concetto d’indipendenza nella musica e nel cinema?
Forse solo Van Gogh era libero e indipendente, neanche Mozart lo era. L’indipendenza è un prezzo molto alto da pagare, molto speso con la vita. Si possono fare morti intorno a noi quando si abbraccia un tipo di filosofia indipendente. E’ una scelta di vita. Non si può pretendere di avere una famiglia e fare l’artista pazzo. Quindi bisogna giungere al compromesso. Nel senso che nella società moderna il processo artistico-creativo deve essere sottomesso al discorso utilitaristico-industriale. Un designer può progettare l’innafiattoio dalla forma più strana ma se non serve ad innaffiare, allora è giusto che non glielo facciano fare. Hai bisogno di qualcuno che creda nella tua creatività. Se fai qualcosa che comunque non si allontana dal tuo sentire sei indipendente, anche se stai facendo qualcosa con un’accezione commerciale, mentre non lo sei quando sei schiavo dei dettami industriali nel tuo processo di creazione… in quel caso sei dipendente.