30 Novembre, al Circolo degli Artisti si respira aria di Islanda. L’aria magica della sua sconfinata natura, l’aria di un’emozione notturna da focolare, di una dolcezza raffinata che tange la malinconia. Stasera ci sono i Mùm e la loro musica è incredibilmente evocativa, capace di cullarti come la più soffice delle ninnananne, di avvolgerti nel più caldo abbraccio e di farti sentire come un bambino perso tra i propri sogni. L’elettronica, i beat, gli strumenti classici, quelli acustici, quelli elettrici, quelli giocattolo, tutto diviene immagine di naturalezza, semplicità e immediatezza. E incanta. Lo show è terminato da alcuni minuti in un Circolo stracolmo per l’occasione. Fuori c’è quella pioggerellina, ultimo residuo di una giornata di fine Novembre in cui il cielo ha mostrato le sue lacrime senza sosta. La gente continua ad intrattenersi, i ragazzi della band sono fuori che bevono qualcosa, fanno qualche fotografia, incontrano amici, scambiano chiacchiere. Örvar è ancora sul palco che smonta i suoi strumenti quando lo incontro. Decidiamo di andare a sederci fuori, tra la folla.
Sembra stanco ma felice. Scambiamo due chiacchiere, mi parla dell’Italia, si stupisce di tutta la gente che è andata a vedere i Mùm nelle date di questo tour, rimane colpito in particolar modo dalla loro prima visita nel sud del nostro Paese. Accendo il registratore e la nostra intervista ha inizio, interrotta di tanto in tanto da qualche richiesta di autografo, qualche cd lasciato in regalo e qualche bizzarra richiesta di traduzione dall’islandese. L’intervista termina e noi continuiamo a chiacchierare per qualche minuto. Mi parla dell’Islanda e poi del suo libro che è stato tradotto anche in italiano (Scapigliata Lisciata – Scritturapura, 2008) e che lui stesso ha presentato nel nostro Paese l’anno passato. E la serata finisce così, lasciandoti ancora immerso tra le atmosfere da sogno che hanno regalato i Mùm sul palco, con l’animo che gioisce rinfrancato come quando rivedi un amico dopo tanto tempo e ti rendi conto che ancora ne avete di cose da dirvi. (Si ringrazia Alessandro Favilli di Prom-o-rama; If I Were a Fish e Blow Your Nose sono in streaming autorizzato)
Il vostro ultimo album ha l’acqua come tema concettuale. Perché questa scelta e cosa significa l’acqua per voi?
Sì, i temi principali dell’album sono l’acqua e la luce, come puoi vedere dalla copertina. Cosa significhino per me, se devo dirti la verità, non lo so… si tratta di qualcosa che scorre, qualcosa che resta fermo. L’acqua e la luce sono elementi davvero immensi, come la musica. Non si possono spiegare, stanno lì e basta.
Com’è venuta l’idea di trasformare una vecchia canzone di Tim Hardin, If I Were a Carpenter, nella vostra If I Were A Fish, prendendone anche alcune parole del testo?
Davvero non saprei spiegare con precisione assoluta. Credo sia successo in questo modo: stavamo scrivendo la canzone, la suonavamo, ogni volta che lavoravo sulle liriche semplicemente cantavo qualcosa, provavo qualcosa. Credo che probabilmente l’influenza sia dovuta al fatto che ascoltavo spesso quel brano in giro, magari alla radio e… non so, non sapevo cosa stessi facendo in realtà, le parole sono venute semplicemente fuori così.
Credo che la canzone non sia poi così conosciuta e per questo spesso la gente non si accorge del legame…
Sì, è vero, ma io credo che le connessioni siano l’amore e i modi diversi in cui si amano le cose e le persone.
Il vostro ultimo album è più legato al folk, ad una sorta di pop da sogno, con molti cori, molti strumenti differenti, molti stili e generi musicali. In passato invece la vostra musica sembrava più legata all’elettronica e ai beats. Cosa credi sia cambiato nella vostra musica durante questi anni?
Credo sia stato un cambiamento molto graduale. Tutti i nostri album sono diversi l’uno dall’altro, non abbiamo mai fatto lo stesso album per due volte. Proviamo sempre a fare qualcosa di diverso perché abbiamo molteplici interessi. Per questo album volevamo fare qualcosa di veramente semplice, qualcosa di chiaro come l’acqua, cristallino come un bicchiere d’acqua attraverso il quale puoi guardare. Per questo abbiamo iniziato a fare cose semplici fino a raggiungere la chiarezza di ora.
E credi che i cambiamenti di line-up possano aver influenzato il vostro sound?
Sì, ma credo che sia stato soltanto un imput che ha poi spinto il resto. Il cambiamento è stato comunque più collettivo poiché a tutti piace cambiare. Sai, la musica cambia, la gente cambia, tutto cambia, ma la vita è l’unico vero cambiamento. Non puoi aggrapparti per sempre a quello che hai, devi essere aperto. Non è un bene restare fermi sempre sulle stesse posizioni, è come essere impantanati nel fango.
Generalmente invece come nascono i vostri brani? C’è un processo particolare?
È un processo casuale, magari proviamo semplicemente qualcosa a prescindere da dove ci troviamo, sentiamo qualcosa dentro. Spesso una canzone può nascere perché troviamo un nuovo strumento e proviamo a fare qualcosa, o proviamo qualcosa di nuovo sui nostri strumenti. Due canzoni di questo album sono nate in questo modo: Gunni era a New York, in una casa in campagna e in questa casa c’era un piano. Ha cominciato a riempire il piano con degli oggetti e della carta finchè non ha trovato il sound migliore. Ha fatto delle registrazioni che poi ha dato a me, ed io ci ho scritto le parole, poi ci abbiamo lavorato tutti insieme. Altre volte invece ci sediamo semplicemente in una stanza, magari in due o tre, e iniziamo a suonare insieme. Abbiamo davvero moltissimi modi in cui componiamo, non uno soltanto.
Influisce il fatto che suonate tutti più strumenti differenti?
Sì, credo proprio di sì.
Cosa vi influenza invece nella vita di tutti i giorni?
Tutto. La famiglia, le strade, le città, i paesi, la natura, i film che vediamo, le persone che ci piacciono, le persone che amiamo, le persone che odiamo, davvero tutto. È una cosa davvero molto strana, come quando ti svegli e, appena sveglio, per i primi minuti, non sai se sei già sveglio o sei ancora nei tuoi sogni. È giusto un attimo ma è davvero una strana sensazione.
Sembra simile a quello che la gente sente ascoltando la vostra musica, poiché gli date la possibilità di perdersi, di sognare, di sentire emozioni, di ritornare bambini…
Sì, credo sia quello che si prova quando si ascolta la nostra musica. Scatta un meccanismo di immedesimazione, ma ciò che io credo sia davvero importante trasmettere è un sentimento umano che si trova nella natura.
Ho letto che parte del ricavato delle vendite del vostro disco sarà devoluto ad un’associazione non governativa…
Sì, Refugees United. Stiamo lavorando in Islanda con un sito chiamato Gogoyoko, che si impegna a compiere molti passi avanti per quanto riguarda la beneficenza tramite il download.
Soltanto per il download?
Sì, ma si impegneranno perché in futuro la cosa venga ampliata. E’ importante essere sicuri che tutti i guadagni vadano agli associati, nessuno prende niente per sé, e inoltre hai la certezza e la consapevolezza che i soldi vengono realmente investiti per una buona causa, quindi può essere davvero un modo molto utile per aiutare gli artisti a fare della beneficenza. Ciò che è davvero fondamentale sapere è che Refugees United è un organizzazione che prova a riunire i rifugiati con le altre persone della propria famiglia sparse per il mondo, provando a metterli in contatto tra loro tramite il telefono o il computer.
Di recente avete girato alcuni video in Francia per La Blogotheque, suonando in posti davvero “inusuali”. Com’è stata quell’esperienza e cosa pensi di questo modo particolare di veicolare la musica?
Credo sia molto popolare adesso il sito perché ha un approccio davvero semplice verso la musica. Noi abbiamo sempre avuto esperienze di questio genere e ci siamo divertiti davvero molto a suonare in autobus e per la strada, in un parco, poiché coincide con l’approccio e la visione che abbiamo sempre avuto riguardo la musica. La musica dovrebbe essere ovunque!
Immagino la gente che era sull’autobus mentre suonavate…
Erano tutti davvero molto confusi. Del resto ogni giorno la gente suona musica in autobus!
E cosa puoi dirmi riguardo i live? Le persone cambiano ma il vostro approccio rimane lo stesso…
Abbiamo un approccio davvero molto semplice verso i live. Abbiamo moltissimi buoni amici che suonano tutti i tipi di strumenti, quindi ciò che facciamo è semplicemente andare sul palco e suonare. Nessuno dice all’altro cosa fare. La cosa speciale è che cambiamo molte persone. Ad esempio stasera eravamo in sette, domani suoneremo a Torino in sei, giovedì a Leuven soltanto in cinque, senza batteria, qualcosa di più lento, molto d’atmosfera.
Usate delle set-lists? Stasera mi sembra di non averne viste sul palco…
Sì, lo facciamo ma a volte è come se sapessimo cosa stiamo per fare, come stasera che è stato moltonaturale, senza un rigore e senza stress.
Credi che il ritorno a Morr Music per il vostro ultimo album possa essere per voi un nuovo inizio?
Forse sì. Thomas di Morr music è un ottimo amico. Ci conosciamo da tantissimo tempo, dieci anni credo, e quando abbiamo ri-stampato Yesterday Was Dramatic l’abbiamo rifatto con Morr Music perché ci sentivamo a casa e per questo volevamo tornare lì per questo album. Abbiamo sentito Morr Music come il posto migliore per lavorare a quello che avevamo ed è come se lui avesse capito.
Puoi immaginare un futuro per i Mùm?
No, non posso immaginarlo. La cosa che abbiamo sempre voluto io e Gunni è “lasciamo che accada” e ora saremo in tour per altri cinque mesi, faremo più di settanta concerti. Siamo tutti così stanchi che il futuro è quello del riposo, ma anche dell’andare avanti. Tutti noi abbiamo molti progetti in ballo, perciò quando torneremo a casa ne realizzeremo alcuni e il lavoro continuerà. Non facciamo piani e non ne abbiamo mai fatti prima d’ora.Quando c’è feeling la prossima cosa che dovrà accadere… semplicemente accadrà, per quanto? Forse cinque, 1dieci anni, o forse soltanto uno, chi può saperlo? Io non lo so.