In collaborazione con Libellula Music, in esclusiva il terzo racconto e l’illustrazione contenuti in Babele:noir di Marco Notari.
3) Amsterdam ’76 – storia e testo: Marco Notari
Dopo quasi ventiquattro ore di viaggio le ultime campagne piovose intorno alla periferia di Amsterdam iniziano a confondersi con i primi palazzi, mentre il treno entra in città superando i canali che portano alla Stazione Centrale, e la stanchezza del lungo viaggio lascia il posto a una nuova curiosità. Cristiano e Lucia scrutano dal finestrino ogni dettaglio dell’inoltrato autunno olandese.
Hanno scelto Amsterdam come meta per la loro nuova vita: il simbolo di una città aperta e tollerante, sinonimo di libertà culturale e intellettuale nonché sede di una delle scene artistiche più vive e ricettive a livello mondiale. Già si vedono a passeggiare attraverso il Van Gogh Museum e il Rijkmuseum, già si immaginano ad esporre i propri lavori nelle gallerie nascoste tra il dedalo di stradine che disegnano il quartiere di Leidseplein. Nessuno di loro due è mai stato ad Amsterdam, il che contribuisce ad aumentarne il fascino di città dalle mille promesse, e nei giorni precedenti alla partenza hanno consumato voracemente la loro Lonely Planet e attinto da internet ogni informazione disponibile.
Ma la prima romantica scintilla che li ha portati qui ha una natura quasi magica. Un giorno Lucia stava mostrando a Cristiano le foto della sua infanzia, quando dalle pagine del vecchio album era caduta una polaroid finita lì chissà come. Nell’immagine la madre di Lucia, seduta su una panchina con gli occhi che guardavano lontano, un tardo pomeriggio arancione ad incorniciarne il giovane volto.
“Guarda com’è bella Cristiano. Sembra che con lo sguardo corra incontro alle promesse del suo futuro”.
Avevano girato la foto e dietro c’era scritto, tutto in lettere maiuscole, AMSTERDAM ’76.
Così – per gioco – avevano iniziato a parlare di come sarebbe stato bello andarsene, lasciare indietro tutto quanto e ricominciare, solo loro due e Ulisse. Nelle settimane il gioco era continuato, si era fatto via via più insistente e ricco di dettagli, finché un giorno Lucia si era presentata con una guida turistica della città e gli aveva sussurrato tra i baci: “Perché non lo facciamo davvero ?”
Quando Lucia e Cristiano sorpassano mano nella mano l’uscita della Stazione Centrale si accorgono che la pioggia è diventata neve. Le tinte mutano lentamente dal grigio al bianco di fronte alla splendida facciata gotica dell’edificio, dove ad attenderli c’è Richard, il ragazzo da cui hanno affittato l’appartamento tramite un sito internet. Richard è un ragazzo di media statura, con i rasta e le converse ai piedi, ed un sorriso saccente da figlio di papà che entrambi riconoscono subito. Quando li vede biascica uno stentato “benvenuti” in Italiano, poi gli domanda in un inglese spigoloso com’è andato il viaggio, fingendo di nutrire un interesse che in realtà non prova.
I tre percorrono a ritroso l’atrio della stazione per raggiungere la banchina, dove ad attenderli c’è un traghetto che li condurrà verso il quartiere di Noord. Quando arrivano al molo otto e attraversano la passerella dell’imbarcazione i fiocchi stanno cominciando a posarsi sull’acqua del fiume IJ, mentre Richard insiste su quanto siano stati fortunati a trovare un’occasione del genere, un appartamento a soli 500 euro al mese di affitto è merce rara ad Amsterdam.
Né Cristiano né Lucia fanno troppo caso alle sue parole però. Sono troppo impegnati a guardarsi intorno, ad ammirare i contorni delle cose che si imbiancano come a pulire i residui della loro precedente vita. Amsterdam sembra bella proprio come la avevano immaginata, e la condividono restando abbracciati in silenzio mentre il piccolo vapore attraversa il corso d’acqua.
Il tempo per un attimo sembra sospeso in un limbo perfetto, finché arrivati sull’altra sponda l’incanto si rompe e tutto riparte più veloce di prima.
Appena scesi dal traghetto il passo e il tono di voce di Richard si fanno più concitati e nervosi, i suoi modi diventano bruschi. Lucia e Cristiano faticano a tenere il passo, la stanchezza del lungo viaggio in treno comincia a farsi sentire e le valigie pesano come macigni.
Il ragazzo olandese gli racconta distrattamente che il quartiere di Noord in un remoto passato era un luogo in cui trovavano rifugio gli esiliati. “Come noi”, pensa Cristiano.
Nel diciannovesimo secolo, durante la rivoluzione industriale, Noord era stato trasformato in un quartiere residenziale prevalentemente operaio, e manteneva tuttora quella connotazione. “Ecco perché è così nervoso” – sussurra Lucia a Cristiano sorridendo – “Non è abituato a venire nei quartieri popolari”.
Dopo una camminata che sembra eterna Richard si ferma di fronte a un palazzo scrostato al numero 134 di Schoorlstraat. Sta ricominciando a piovere e il ragazzo olandese chiede senza troppi fronzoli i primi tre mesi di affitto in anticipo per lasciare le chiavi di casa a Cristiano e Lucia. E’ circa un terzo della cassa comune che si sono portati dietro, tra i soldi che Lucia ha messo da parte con il lavoro negli ultimi due mesi e quelli che Cristiano ha potuto prelevare in banca senza insospettire i suoi genitori. Cristiano ha anche una carta di credito, ma non se ne parla di usarla se non vogliono essere rintracciati. I due sono costretti a pagare, mentre Richard detta frettolosamente a Cristiano il proprio numero di cellulare e scappa via con la scusa di un altro appuntamento senza nemmeno accompagnarli dentro casa.
“Allora entriamo ?” chiede Lucia dopo un breve silenzio. Cristiano la precede mentre osserva dubbioso l’edifico. Il fatiscente uscio ammaccato di plastica arancione che funge da portone d’ingresso non promette affatto bene. Così come i muri del palazzo ha l’aria vecchia e triste, ed ospita i murales più disparati, tra svastiche e messaggi d’amore. L’ingresso apre su un lungo e angusto corridoio. Mentre lo percorrono verso il loro appartamento Cristiano inizia a sentire la testa leggera, Lucia sta dicendo qualcosa ma lui non riesce più a decifrare con chiarezza le parole e vede la sua mano che trema mentre gira con fatica la chiave dentro alla serratura arrugginita.
Dietro la porta li attende un lugubre soggiorno con angolo cottura in cui uno spesso strato di polvere nasconde tutti i mobili, un bagno da cui fa capolino una famiglia di scarafaggi stecchiti sul pavimento, e una camera da letto la cui finestra è stata rotta, probabilmente da una pietra. Sembra che nessuno entri lì da mesi, ed il clima è polare. Cristiano sente la nausea salire e ripensa d’istinto allo spazioso attico in cui ha vissuto con i suoi genitori, ma Lucia ha già capito ogni cosa. In questo momento deve essere lei a trovare la forza per tutti e due. Avvolge un braccio intorno alla vita di Cristiano e lo stringe con forza per richiamarlo a sé, poi si gira verso di lui e gli sorride con tutta la naturalezza del mondo: “Devo dire che ho visto di meglio. Iniziamo a pulire ?” – e poi rivolta a Ulisse: “Allora dove vogliamo mettere la tua lettiera ?” – e ancora ridendo – “E non mangiare gli scarafaggi mi raccomando !”
Questo basta a risvegliare Cristiano. Il nodo allo stomaco si scioglie ed ora anche lui le sorride. Poi pensa che Lucia è bellissima come gli capita ogni volta che la guarda, e lo avvolge una vampata di calore. Di più.
Bisognerebbe pulire, disfare le valigie, ma invece ha bisogno di sapere che sono vivi, che sono lì ora, che sono insieme. Prende Lucia in braccio e la porta sul letto, sollevando una nuvola di polvere, poi inizia a baciarle la fronte, le guance, il collo e di nuovo le guance, il naso. “Ma cosa fai ?” chiede lei ridendo “fa freddo in stanza da letto !”. Cristiano le bacia l’ombelico, sale fino alle spalle e giù lungo le braccia. Le sfila piano i pantaloni, lei gli sfila i suoi. “Ho paura”. “Anche io”. Si tolgono gli slip, ed ogni pensiero triste scivola via. Anche il freddo se n’è andato, ci sono solo più Cristiano e Lucia che precipitano, uno dentro l’altro, e sono bellissimi.