1960. Jack Kerouac è uno dei nomi più famosi ed influenti della sua generazione, catapultato in primo piano dal grande successo del suo On The Road e innalzato a emblema di tutto il movimento definito Beat Generation (come dimenticare l’intervista della nostra Pivano?). Fama che si riassume in maniera esemplare nel modo spregiativo in cui viene definito “Re dei Beatniks”. Ma il Jack Kerouac uomo, non la figura elevata a mito dalla massa, è ormai stanco e disilluso. Qualcosa dentro di lui si è rotto. Ora, famoso, ricco come non mai, deve fare i conti con la delusione, la persecuzione e la paranoia che tutto ciò ha comportato. Immerso nell’alcool, passa le sue giornate nella casa materna di Long Island, nello stato di New York, in una sorta di stato vegetativo. Incapace di scrivere, di esprimere se stesso, coltiva la vivace speranza che l’Ovest possa donargli la calma necessaria per poter finalmente condurre una vita anonima e tranquilla, come era la sua prima della pubblicazione di On the Road, per potersi disintossicare dall’alcool una volta per tutte e potersi dedicare alla stesura della sua prossima opera: non più il baccano e le storie della strada ma ciò che si cela dentro, nel profondo, nell’anima, nello spirito.
Una sorta di idea lo pervade, ossia risistemare tutte le sue opere, uniformando nomi e personaggi, per costruire la sua leggenda. Un po’ quel che tentò di fare Marcel Proust con La Recherche. Sei settimane di soggiorno presso la capanna dell’amico e poeta Lawrence Ferlinghetti, lì sul Bixby Canyon, nella regione del Big Sur, nella California centrale, tra entusiasmi e depressione, fino ad un esaurimento nervoso, prima di tornare di nuovo all’alcool e alla vecchia San Francisco, che ci hanno consegnato l’ultimo capolavoro di Jack Kerouac. Scritto di getto nel 1961, in dieci giorni, su un unico rotolo di carta per telescrivente, Big Sur è un libro brutale, nudo, diretto, pregnante, autoironico e umoristico, che ti prende dritto al cuore. Una finestra rivelatrice e viscerale nell’anima del Kerouac più vero, malato di quello stato perenne di paranoia indotta dall’alcool. Storia di fama, amicizia, gelosia, sesso, religione, droga, fragilità dello spirito umano, morte, ma anche di una miriade di altri temi e soggetti come i poeti di San Francisco e i “beat dandies”. Il decadimento fisico e morale di una personalità non più in grado di fronteggiare gli altri e soprattutto se stesso. L’inizio della fine.
“Sì. Stiamo arrivando tutti al dunque. […] l’aspra follia e ribellione della nostra esistenza reale, della nostra notte, l’inferno, l’insensata strada d’incubo. E tutto dentro un vuoto senza principio e senza fine.”
Una fine che diventa a distanza di oltre quarant’anni pretesto per un nuovo e più consapevole inizio. Dopo essere stata inizialmente relegata nei meandri della controcultura americana, oggi l’opera di Jack Kerouac è apprezzata in tutto il mondo più che mai e Big Sur e On The Road visti come le summae artistiche di tutto un movimento che non hai mai smesso di influenzare, negli anni, generazioni e generazioni di persone, nonché tutte le arti. Un lascito che coinvolge in prima persona anche Gloria Bailen e Jim Sampas, produttori della Kerouac Films che decidono di dare il la al progetto One Fast Move Or I’m Gone: Kerouac’s Big Sure. Un progetto d’amore ma anche molto ambizioso, come affermato dagli stessi produttori. Un film documentario con tanto di colonna sonora originale per raccontare non le storie di Jack ma la storia di Jack. Per rievocare tramite posti e persone quel tempo della vita di Kerouac in cui tutto si slega, a livello emozionale e spirituale, quella ricerca spasmodica di pace e redenzione da parte di un uomo giunto al limite, prima di intraprende la travolgente spirale verso l’abisso. Così il regista Curt Worden, materializza i luoghi reali suggeriti dall’inchiostro nero delle pagine di Big Sur e i posti stessi si riempiono di vita e di verità. Vengono intervistate persone, musicisti, attori, scrittori, studenti, coloro che conoscevano Jack. Ognuno dona un ricordo, una testimonianza, una riflessione su quanto sia stato importante Kerouac, e Big Sur in particolare, per le loro vite. Riemergono le persone di una vita, gli amici e quelli che, pur non conoscendolo di persona, ne sono stati in qualche modo “imprigionati”. Ed è davvero suggestivo poter vedere ed ascoltare le opinioni di monumenti della musica quali Tom Waits, Patti Smith e Lenny Kaye, Robert Hunter dei Grateful Dead esprimere il loro pensiero sincero, le loro emozioni mentre si immedesimano e lasciano fluire dalle proprie labbra le parole di Kerouac, poter ascoltare la voce dello splendido poeta Lawrence Ferlinghetti, tra i pochi poeti superstiti della beat generation, che parla dell’amico Jack, Carolyn Cassidy, moglie di quel Neal verso il quale Jack provava una forte gelosia, poter ascoltare le impressioni degli stessi autori della colonna sonora e guardarli mentre suonano e registrano i brani. Grazie ad un montaggio condotto con sapienza e taglio documentaristico, la potenza della prosa spontanea di Kerouac viene prima rievocata tramite readings da parte delle personalità più diverse, poi materializzata tramite immagini, tra foto e riprese reali e ricostruite. Così si mostrano ai nostri occhi i bar, i club, le librerie, i quartieri “bohemienne” di San Francisco, le strade, le chiese, i palazzi, i boschi, il mare, il cielo, la gente. E alla fine ciò che era protagonista sullo sfondo diviene reale protagonista: la natura incontaminata e imponente del Big Sur, a partire dal California Zephyr, quello sterminato percorso ferroviario che da New York conduce a Emeryville, California, per 4000 km, attraverso sette stati, con la vista delle impressionanti Rocky Mountains e delle Sierra Nevada Moutains. E tra la bellezza sconfinata della natura si percepisce un piccolo sostrato dominante di malinconia come umore costante per questo viaggio che va oltre la nostra immaginazione. Il tutto si stende sulle note della splendida colonna sonora curata dalla coppia piuttosto insolita costituita da Jay Farrar (Son Volt e Uncle Tupelo) e Ben Gibbard (Death Cab for Cutie). Si tratta fondamentalmente di brani country, quell’alt country molto più vicino alle abitudini di Farrar, piuttosto che quelle di Gibbard. Non a caso Farrar risulta l’autore della quasi totalità dei brani. Dodici brani acustici, semplici, minimali, viscerali come la scrittura di Kerouac, che ora accompagnano le immagini guidandoci attraverso questo viaggio nella sua vita, ora le rendono vive fondendosi alla natura selvaggia del Big Sur, ora trasmettono e amplificano le sensazioni lasciandosi trasportare dalle parole di Kerouac, alle quali sono liberamente ispirati i testi. Così ci si perde tra l’immortale potenza della scrittura di Kerouac, le splendide voci dai timbri così diversi di Farrar e Gibbard, che si alternano e si sostengono a vicenda mentre la chitarra acustica ti prende e ti porta per mano e gli avvolgenti fraseggi della chitarra slide ti accarezzano dolcemente per condurti nella terra della redenzione, della speranza di una rinascita, dell’intimità, delle nuove opportunità, della natura sconfinata e selvaggia, della California e del suo Big Sur.
A conti fatti questo One Fast Move Or I’m Gone risulta un’operazione condotta davvero con sapienza e rispetto. Lavoro sublimato nella bellissima limited edition contenente oltre al film con moltissimi contenuti speciali, il disco, una copia del libro, un booklet con tanto di foto inedite di Kerouac ed alcune testimonianze scritte di chi ha partecipato al progetto e, come chicca, una riproduzione di una pagina del dattiloscritto originale di Big Sur. Peccato soltanto che il tutto sia fruibile soltanto in inglese e il film sia privo anche di sottotitoli in lingua originale. Di certo un modo bellissimo per poter scoprire da vicino uno dei più grandi capolavori di quello che sicuramente è tra gli autori più grandi e più influenti di tutta l’era contemporanea, in grado di svuotare la propria anima che si avvia verso la fine e di catturare contemporaneamente l’anima più generale del suo tempo; un lavoro che restituisce verità poiché “l’uomo ha bisogno di verità come una macchina ha bisogno di olio”.
Credits
Kerouac Films presents One Fast Move Or I’m Gone: Kerouac’s Big Sur produced by Gloria Bailen & Jim Sampas, directed by Curt Worden.
Featuring: Joyce JOhnson, David Amram, John Tytell, Lawrence Ferlinghetti, Sterling Lord, Diamond Dave Whitaker, Jack Hirshman, Bill Morgan, Robert Hunter, Jay Farrar, Brenda Knight, Tom Waits, John Ventimiglia, Patti Smith, Donald Logue, Dar Williams, Dana Godbe, Erik Bauersfeld, Lenny Kaye, Aram Saroyan, Carolyn Cassidy,Michael McClure, Sam Shepard, Amber Tamblyn, Paul Marion, S.E. Hinton, Herbert Gold, Benjamin Gibbard, Sage Francis, Jami Cassady Ratto and John Allen Cassady.
Running Time: 150 minutes
Music from Kerouac’s Big Sur by Jay Farrar and Benjamin Gibbard.
Line Up: Jay Farrar (voice, acoustic guitar, slide guitar, lap steel, piano, organ, harmonica, percussion), Benjamin Gibbard (vocals, acoustic guitars, electric guitars, piano, drums), Mark Spencer (lap steel, piano, bass, electric guitar), Aaron Espinoza (bass on One Fast Move Or I’m Gone), Brad Sarno (pedal steel).
Tracklist:
California Zephyr
Low Life Kingdom
City and Sur (Willamine)
All in One
Breath Our Iodine
These Roads Don’t Move
Big Sur
One Fast Move Or I’m Gone
Final Horrors
Sea Engine
The Void
San Francisco