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Gradi emotivi: intervista a Michele De Finis (Il Vortice)

ilvortice_inter01Un colore e i suoi gradi, come gli umori di un percorso interiore fitto, denso di trame interrogative, e poi sciolte. Perché un inizio che conosce la fine è dolore, è scelta, per quanto indotta e necessaria. Motivi come gradi. Macchie di gradi perse nei versi e nelle melodie. Melodie elettriche, rumorose, dilatate ma affilate. Come la selezione naturale delle parole, ordinate secondo il filo di una scomposizione. La vita e il suo punto zero, però trasfigurati. Le canzoni fanno questo, talvolta. Diventano altro dalle immagini reali che le hanno generate. Michele De Finis, alla guida della band partenopea Il Vortice, parte da sé, riformula… poi. Infila la sua scrittura d’intelligenza emotiva in eco sonica di matrice ’90, mangiando i referenti alla mensa di una certa cura personale. Il risultato è un disco molto valido, nelle intenzioni, nella materia sostanziale, nell’attitidine. Dodici gradi di grigio è una storia, d’aria e apnee. Di opposti. LostHighways prova a leggerla col suo autore. (La struttura del vuoto è in streaming autorizzato; foto 1-2 di Federica Di Lorenzo)

Quali sono le principali differenze tra il primo disco e Dodici gradi di grigio?
Le differenze sostanziali che intercorrono tra due lavori composti in due momenti completamente diversi.
Le cose da evitare è stato il colpo di reni di due persone che avevano da poco trovato una terza per costituire il nucleo della band, che avevano assemblato come meglio potevano, con i loro mezzi di allora, il materiale che io avevo portato in sala.
Dodici gradi di grigio è un album di foto scattate anni dopo, in un momento molto critico del mio personale percorso, ma è sicuramente al contempo il lavoro di una band. Le musiche sono nate quasi tutte in sala. Ai testi ho lavorato parallelamente con grande naturalezza.

Dalle liriche traspare la cronaca di un  amore morente e di una serie di riflessioni/reazioni. Quanto c’è di biografico nella scrittura dei testi?
Tantissimo, non so scrivere di null’altro che non sia quel che vedo e sento. Ci tengo solo a precisare che sarebbe un errore pensare a un semplice concept sull’amore di coppia. Io raccolgo tutto quel che sento, lo smonto, lo decontestualizzo, lo ricontestualizzo. Mi piacciono “le cose che sembrano altre cose”. Per cui forse direi più topicamente che il disco è la cronaca di un percorso interiore da me battuto mentre scrivevo il disco. Ci percepisci un inizio e una fine, perché quel percorso è iniziato e poi arrivato al termine.

Le atmosfere del disco hanno come referenti principali l’alternative rock americano di fine ’90 (Incubus, Soundgarden) e quello indie italiano (Marlene Kuntz, Massimo Volume). Il progetto Il Vortice quanto deve a queste due scene musicali?
Ho sempre pensato che mi avrebbe fatto piacere che si distinguessero nella mia musica tutte le mie influenze, tra cui assolutamente quelle che citi.
Non credo minimamente in quel che la gente chiama “originalità”. Lo trovo un concetto arrogante e finto. Se qualcuno ascoltando un mio brano ci trova i Soundgarden, o lo legge in una recensione di qualcuno che ce li sente, e si va a pescare magari Superunknown io sono stracontento, perché è ovvio che non esistono minimamente paragoni, ma tramite la mia musica questa persona ha eventualmente scoperto buona musica.

ilvortice_inter02Come è nata La Struttura del vuoto?
È la canzone più “fotografica” del disco. Mi sono seduto e mi sono detto “ok ora metto giù una frase per tutto quello che vedo, voglio fargli vedere esattamente cosa mi sta succedendo”.

Raccontami il video de La Struttura del Vuoto
Innanzitutto lo trovo un ottimo lavoro, considerato che si tratta di una produzione indipendente low budget, da parte di tutte le persone che hanno partecipato, che colgo l’occasione per ringraziare, ovviamente dai ragazzi del collettivo THE JACKAL fino a Martina De Martino e John Diego Sommaripa, gli attori.
Quando lavoro con qualcuno, mi  piace tanto che quel qualcuno prenda un ruolo attivo in quel che fa con me così da sentirlo un po’ anche suo. Mi sono limitato a consegnare il brano ai ragazzi e a fare degli incontri preliminari perché loro mi spiegassero cosa ci sentivano, in quel brano.
Il risultato è quel che puoi vedere. Un’interpretazione egregia del senso di mancanza, di perdita,di vuoto desolante.

Etere è tra i brani più intensi e sinuosi del disco. Gode della collaborazione con Ciro Tuzzi, leader degli EPO. Come mai avete deciso di lavorare insieme per questo brano?
Il tutto è avvenuto in modo molto naturale. Il brano era quello dal tasso forse più emotivo del disco. Ed è per questo che non riuscivo a venire a capo del testo con la mia solita “leggerezza”. È bastato parlarne di questo disagio col miglior songwriter che ho la fortuna di conoscere perché lui suggerisse le parole da usare. Non ho ritenuto di aggiungere altro.

Sei coinvolto anche in altri progetti, tra cui Rosso Smeraldo. Come si spiega questa attitudine sperimentale nascosta rispetto alla classica composizione rock del progetto Il Vortice?
Urgenze espressive. Suono la chitarra negli EPO, il basso negli ARGINE, anche. Tutti progetti molto diversi fra loro, tutte sfaccettature alle quali non mi sentirei mai di rinunciare. Mi sento un fortunato sotto questo punto di vista.

C’è una scena rock emergente a Napoli?
Tante ottime band che stanno persino cominciando a capire dopo tanti anni che “la guerra dei poveri” serve a poco. Vedo sempre più gente che si abbraccia alla fine dei concerti e questo mi fa stare bene. Quello che mi fa stare meno bene è che la musica, il live, sono sempre meno un business. Alla gente non interessa tanto. E questo immaginerai, è un problema enorme.

Quanto è importante la performance live?
Come arrivare a sedersi a tavola dopo una lunga giornata di grande appetito.

Come vi siete trovati con l’etichetta I Make Records ?
Abbiamo aspettato due anni prima di pubblicare il disco perché cercavamo la persona adatta. Un “leone” dico sempre. Onesto, possibilmente. Francesco Tedesco e i ragazzi di I Make Records hanno sempre avuto la nostra stima sotto questo punto di vista. Arrivare a lavorare assieme è stato il passo successivo, venuto naturalmente.

ilvortice_inter03Occhiodipesce è un brano che offrite in Creative Commons. Come mai questa scelta?
Il coautore di Occhiodipesce è Luca Di Maio degli Insula Dulcamara, che la canta nel disco e che spesso invito sul palco con noi live, quando gli è possibile.
Luca si occupa da sempre assieme ad altri ragazzi del collettivo politico-musicale “Get Up Kids” di proprietà intellettuale, di soluzioni alternative alla SIAE. Ci è sembrato dunque giusto che quel brano andasse depositato tramite licenze creative.

La Struttura Del Vuoto – Preview

La struttura del vuoto – Video

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