Sveglia alle 7.00 di un lavorativo martedì mattina. Accendo il computer per controllare la posta e trovo una e-mail inviata alle 4.37. Probabilmente a quell’ora vagavo in sogni che non ricordo. In quel buco nero che mi aveva inghiottito a mezzanotte e stava per risputarmi in pasto ad un nuovo giorno, proprio alle 4.37, l’insonne Simona Darchini aveva appena finito di rispondere alle mie domande via e-mail. La giovane cantautrice romagnola si apre a noi, ci presenta la misteriosa Simona Gretchen e ci parla del suo acclamato disco d’esordio, Gretchen pensa troppo forte. La profondità dei suoi brani è stata capace di conquistare pubblico e critica, e rispondendo a queste domande ci aiuta a conoscere meglio la sua musica. (Cera è in streaming autorizzato)
Simona, il tuo è stato un esordio molto potente. Pochi esordi possono vantare recensioni ed attenzioni su riviste e giornali importanti come è successo. Ti aspettavi tutto questo?
No! Speravo in qualche buon riscontro, certo … ma non mi sarei mai potuta aspettare tutto ciò.
Il tuo rapporto con la musica come è nato? Simona Gretchen quando si è presentata a Simona Darchini?
Nell’estate del 2008. Simona Darchini stava un po’ a pezzi. Gretchen forse non esisterà affatto ma sa pur sempre essere un’ottima amica.
La scelta di esporti con il tuo nome singolo, e non quello di una band da cosa è dipesa?
Dal fatto che il progetto è mio. I testi e la musica sono miei. Mi andava di prendere al 100% le mie responsabilità. Che la cosa piacesse o venisse stroncata poco importava, semplicemente quel disco rappresentava me in quel momento, senza troppi ripensamenti.
I brani di Gretchen pensa troppo forte sono prima di tutto canzoni. La parola ha il suo peso. Talvolta si tratta di macigni. Quanta autobiografia c’è nelle tue narrazioni?
Le mie narrazioni sono totalmente autobiografiche. Parlo di me, di persone e cose intorno a me. Poi un paio di brani del disco raccontano di sogni notturni. Ma pure quelli sono veri, e altrettanto autobiografici.
Tu “nasci” come musicista: basso, se non sbaglio. Per un disco non basta però…
Ho suonato anche la chitarra, il basso e il piano nel disco. Direi che può bastare, no?
Preziosi sono stati poi gli interventi di Lorenzo Montanà, mio produttore artistico, Gianluca Lo Presti, Valentina Grotti e Nicola Manzan, che con la loro partecipazione hanno reso più ricco di colori Gretchen pensa troppo forte.
Come e quando è nata la collaborazione con Nicola Manzan?
L’ho conosciuto ad un concerto di Alessandro Grazian, che accompagnava al violino in tour. L’avevo visto altre volte dal vivo, con i Baustelle per esempio, ed ero, da molto prima, fan del suo progetto Bologna Violenta. Non c’è molto da dire… dopo un paio di volte che ci si vedeva in giro gli ho lasciato qualche brano da ascoltare dicendogli che mi sarebbe piaciuto se avesse suonato nel mio disco.
Con mio grande piacere -e stupore- ha accettato ed ha partecipato alle registrazioni di Vuota (alla viola), Cera e Due apprendisti (al violino).
Le canzoni di Gretchen pensa troppo forte a quando risalgono? Alcune di esse erano già presenti nel tuo primo ep…
L’ep era uscito a settembre del 2008. Alcuni brani sono stati in effetti stati scritti fra luglio e agosto di quell’anno. Altro materiale si è aggiunto nel corso dell’inverno. Un paio di brani, Alpha Ouverture e Fockus, addirittura in fase di registrazione del disco.
Spesso il tuo nome viene affiancato a quello di Vasco Brondi come in una sorta di competizione o parallelismo. Come reagisci all’accostamento di Simona Gretchen al lavoro di altri?
E’ sempre interessante riflettere sugli accostamenti che vengono fatti. Alcuni me li aspettavo, altri per nulla. Riguardo Vasco Brondi, penso che i nostri modi di scrivere siano molto diversi (a livello tecnico, soprattutto), ma ho apprezzato da subito il suo progetto. Credo ci accostino fondamentalmente per via dell’età (quasi la stessa) e il terreno comune sul quale ci muoviamo (questo cosiddetto “cantautorato indie”, più o meno contaminato da atmosfere noise). Non vedo invece motivo alcuno di competizione: se c’è una cosa che proprio non mi sembra, quella è riconoscerci uno copia dell’altro!
Stai girando in lungo ed in largo. Hai modo di vedere più chiaramente un ambiente che fino a poco tempo fa consideravi da una prospettiva opposta. Come ti sembra la famigerata “scena indipendente”? Senti di appartenerci?
La trovo piena di proposte interessanti. E’ l’unica scena possibile cui desidero appartenere. Credo poi stia alla critica e al pubblico decretare se io sia riuscita in qualche modo ad entrare a farne parte.
Canti “a volte è più forte il pensiero di avere pensato qualcosa di vero”. Cosa intendi con queste parole, che forse sono il fulcro del tuo intero album?
Intendo dire che esistono frammenti di realtà che intuiamo, a volte, senza saperli gestire: sono troppo pesanti, troppo veri, troppo forti. La cosa affascinante è riuscire ad accettarli, a convivere con loro.
Tutto il disco ruota effettivamente intorno a episodi o persone che mi hanno colpito al punto da affascinarmi e traumatizzarmi, in un certo senso, allo stesso tempo. Riuscire a viverle (e vivere quei momenti) intensamente, e senza uscirne pazzi, è forse ai miei occhi la sfida più intrigante.
Tra una data live e l’altra stanno già nascendo nuovi brani o per ora preferisci dedicarti completamente a raccogliere i frutti della pubblicazione del tuo primo album?
Più che altro, da quando è cominciata la promozione del disco, non ho un minuto di respiro o quasi. Ho qualche idea per il futuro, ma solo allo stato embrionale. Mi piace pensare al Presente.
Credi che il tuo “fare musica” abbia trovato definitivamente la propria strada, oppure sai che qualcosa cambierà? Ci sono nuove altre direzioni che ti stimolano od incuriosiscono?
Il proprio fare musica penso non dovrebbe mai e poi mai “trovare” una strada. Quella bisogna reinventarla continuamente, o si finisce per far della musica mestiere. E non è ciò che mi interessa.
Concepisco questo disco come a sé, svincolato da eventuali evoluzioni/involuzioni/sviluppi/percorsi e quant’altro. E se ce ne sarà un altro (o ci saranno mie partecipazioni in altri progetti, a nome Simona Gretchen o meno) prenderà la strada che gli si addice in quel momento.
Entrambi, in vesti differenti, siamo appassionati di musica ed oltre che crearla, immagino che tu ne ascolti anche molta. A volte mi capita di ascoltare musica ed accorgermi che questa è come se fosse sempre stata dentro di me, in una sorta di letargo. L’artista l’ha esternata, svegliando un angolo di me che non conoscevo. Ti è mai capitato di apprezzare talmente tanto un brano od un album, da sentirlo tuo?
Con qualche brano mi è capitato. Ma intendiamoci, il senso che do a questa esperienza è legata al fatto che qualcosa mi abbia dato tanto a livello emozionale da entrarci a capofitto e non riuscire a non pensarci per giorni, non a una sorta di presunzione per cui mi sarei sentita in grado di partorire qualcosa di simile.
Ascoltare per la prima volta brani come The aeroplane flies high o Dancing barefoot o 2+2=5 (The lukewarm), per esempio, è stata in questo senso un’esperienza indimenticabile.
Un solo commento
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