Il loro album Strane idee è uscito a fine gennaio, riscuotendo subito un grande successo.
Ovviamente per chi, come me, crede nel loro talento, è sempre troppo poca l’attenzione rivolta agli Scarlatti Garage, che hanno saputo portare la professionalità e l’arte verso la direzione migliore: l’emozione, la semplicità, la condivisione.
LostHighways incontra il leader nonché cantante del gruppo, Dario Lapelazzuli.
Ecco confermato quello che già i loro brani raccontano.
Perché arrivate in maniera così immediata a chi vi ascolta?
Credo sia per la semplicità della musica che suoniamo e delle cose che diciamo. E’ questo credo che ci inserisce in uno scenario pop anche se non necessariamente considerandolo nella sola accezione negativa della definizione.
Voi mi ricordate la Napoli degli anni ’70, con Senese, De Piscopo, Bennato, NCCP, Pino Daniele, E’ zezi e tutto quello che era allora innovazione e ricerca. Sentite di avere la stessa urgenza comunicativa? C’è ancora speranza nel cambiamento?
La città dove cresci è la tua vita e inevitabilmente finisce col manifestarsi in molte occasioni che riproducono il tuo modo di essere, quello che non sei o che magari vorresti essere. In una città come Napoli il discorso è ancora più chiaro ed evidente.
Tutti quelli che si esprimono, in qualsiasi forma lo facciano, sentono quella che più che un’urgenza chiamerei una necessità, verso gli altri ma in primis per se stessi. Una terapia.
Nei confronti di un ipotetico cambiamento viviamo una contraddizione emotiva: la speranza c’è sempre ma va a braccetto con la disillusione.
Come vivete voi il passo successivo, ossia l’oggi, in cui prevalgono neomelodici e messaggi ovvi, a scapito di figure che rischiano e si allontanano dalla tradizione senza negarla?
E’ l’orecchio di chi ascolta che fa la musica, l’occhio di chi guarda che fa il quadro.
E voi quanto siete disposti a rischiare per realizzare i vostri progetti? C’è un obiettivo in particolare che vi siete prefissati di raggiungere?
Non abbiamo obiettivi particolari o comunque prefissati, forse più che di obiettivi parlerei di speranze, come quella di continuare ancora per molto a fare quello che stiamo facendo adesso, divertirci e possibilmente divertire un numero sempre maggiore di persone con la nostra musica.
Il rischio è altrui a questo punto.
Strane idee, uscito il 29 gennaio, ha già un grande riscontro. Si dice che nell’underground è più facile trovare l’artista “puro”, incontaminato. Voi cosa ne pensate?
Sicuramente nell’underground esiste molta libertà e questo perché probabilmente non si rivolge immediatamente alla massa e di conseguenza non deve sottostare direttamente alle regole del mercato. Molto spesso però questo rappresenta un limite e non una vera e propria scelta di campo.
Per quanto ci riguarda, c’è chi vede in noi una forte personalità, chi invece rivede vecchi fantasmi pop riesumati, o magari chi trova nella nostra musica un compromesso tra i due mondi.
Fate voi.
E di Sanremo? Cosa ne pensate? Domanda banale, ma vi immaginate sul palco dell’Ariston?
Sanremo è uno show televisivo, non ha niente a che fare con la musica italiana, o perlomeno non quella che piace a noi. Tra di noi spesso si scherza, in fondo giochiamo e ci rendiamo conto di fare una cosa per noi bellissima
Se fossi ipocrita, direi che per niente al mondo salirei su quel palc. Onestamente Sanremo rimane, ahimè, l’unica vera vetrina importante per passare nel mondo di cui parlavamo prima.
Comunque per noi sarebbe bellissimo partecipare ma alla condizione che il nostro pezzo fosse presentato da Pippo Baudo e diretto dal Maestro Vince Tempera.
Il vostro brano La radio è diventato sigla di chiusura della trasmissione Demo di Radio Uno Rai. Ma, appunto, che effetto fa sentire in radio un proprio brano? E sentire la gente nei live che canta i vostri pezzi? Come vivete i riscontri del pubblico e degli addetti ai lavori?
Ascoltarsi in radio è semplicemente bellissimo. Senza mezzi termini. Quando sei in sala e provi un pezzo spesso ti fai catturare dal sogno, e immagini quello che poi è successo a noi. Tra l’altro il brano La radio aveva in sé questo destino già dalla sua gestazione e ascoltarlo realmente nelle emittenti radiofoniche ci ha regalato momenti di vera e propria follia.
Ascoltare poi la gente cantare i tuoi pezzi durante i live, sentire quella voce di voci che in alcuni momenti diventa parte della band… è una sensazione “orgasmica”, non ha prezzo, sul serio.
Un punto di forza all’interno degli Scarlatti Garage è certamente dato dalla tua voce. Come è nato il desiderio di cantare? E in linea generale, qual è stato il vostro percorso artistico, prima di arrivare qui?
Forse è banale dirlo ma la realtà spesso lo è: il desiderio di cantare è una necessità congenita, fa parte del tuo modo di essere. La capacità di concretizzare in un progetto questa necessità invece assume più i toni della volontà, della passione vera e propria. La passione è l’unico vero stimolo per chi si inoltra in questo mondo spesso fatto di delusioni, occasioni perse, serate sbagliate, ma anche un collante per noi del gruppo che individualmente abbiamo avuto formazioni ed esperienze diverse (anche se mai lontanissime).
Scrivendo del vostro album concludo dicendo: “La semplicità. L’immediatezza. L’originalità della personalità. L’essere riconoscibili, l’essere qualcuno, e non qualcosa.”. Quanto è importante essere semplici in questo momento in cui tutto sembra correre verso gli estremi, abbandonando l’ autenticità?
Si può fare tutto, l’importante è riuscire sempre a riconoscersi allo specchio, guai a ritrovarsi di fronte uno sconosciuto… “ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. Lucio Dalla docet.