Nel sottobosco della musica indipendente italiana spuntano ogni tanto dei fiori maledetti, dei gruppi che sposano la creatività musicale attraverso colori scuri, attraverso un’introspezione che si tramuta in sperimentazione di linguaggio e musica.
Proprio in questi casi ci sono i germi della novità che affonda le radici nella tradizione dell’indie italico, dai Marlene Kuntz ai Bartok. Dopo aver supportato Patti Smith, Marlene Kuntz, Il Teatro Degli Orrori e Zu, lo scorso marzo un gruppo ascrivibile i Bad Apple Sons hanno dato vita al loro primo full-lenght, omonimo.
Un autoprodotto di alta qualità, supervisionato dalla sempre attenta A Buzz Supreme.
LostHighways non poteva perdere l’occasione di approfondire il progetto dell’interessante emergente band fiorentina.
Come è nato il suggestivo nome della vostra band?
Decisamente per caso. Eravamo alla ricerca di un nome che sembrasse carino, senza riferimenti alla musica, che in effetti non aveva ancora riferimenti spicci in sé. Scegliemmo Hal, perché è buffo e serio, sembra il nome di un ebete ma può subito ricordare il computer stellare di Kubrick. Poi scoprimmo che già esisteva un gruppo Hal, in Scozia o in Irlanda, ed etichettato EMI (se non ricordo male). Quindi, scherzando sui nomi delle vecchie band rock’n’roll, mi diedi un appellativo che sembrasse quello di un crooner nei fifties, e proposti Claude Blank and his Bad Apple Sons. Ci siamo presentati così la prima volta (senza Claude Blank and his chiaramente), e non è più cambiato.
C’è un concept dietro il vostro album di debutto? Possiamo approfondire la presenza dei due brevi brani quali Matter Horn I e II?
C’è un senso, più che un concept. Abbiamo immaginato il disco come un discorso musicale assolutamente legato, in cui necessariamente ad a segue b. E orgogliosi di ciò che rappresentava il discorso tutto, abbiamo deciso di dargli una dignitosa intro, tanto per mettere in chiaro dove si sarebbe potuti andare a parare. Una presentazione del suono dei Bad Apple Sons. Il suo reprise è dovuto a ciò che David (chitarra) dice nel primo: vi state divertendo? Non ha senso all’inizio, ha senso dopo. Però era carino anche all’inizio. E’ beffardo. Potrei anche dirti però che volevamo arrivare a dieci tracce..
Back room facials è forse il brano del disco che più entra nella testa. Come è nato?
Come molti brani di quel periodo (circa 3 anni fa) qualcuno (Clemente in questo caso) ha portato un riff, che è poi il riff ostinato sul do della chitarra dall’inizio alla fine. Era chiaro ma ossessivo al punto giusto. La canzone l’abbiamo costruita abbastanza velocemente seguendo questa dicotomia, chiaro e ossessivo, chiaro e ossessivo. E così è nata una canzone pop con un sound insolitamente cupo, agghiacciato. Se si aggiunge che il testo parla di un rapporto orale, è normale che resti in testa.
Come potreste definire la vostra musica attraverso un quadro, una poesia, un colore?
Dino Campana, il rosso scuro violaceo e quel quadro di Bouguereau dei dannati con Dante e Virgilio.
I’m the cutter potrebbe appartenere alla colonna sonora di un film di Lynch?
Lynch è tetro, e I’m the cutter è un pezzo decisamente tetro. Generalmente però non è il genere di musica che piace tanto a Lynch, a Badalamenti vengono richiesti di norma archi e synth lunghi, mormoranti, funerei. I‘m the cutter non è funereo, tetro non è necessariamente funereo. Diciamo che se sapessimo di un’occasione simile, preferiremmo scriverne uno appositamente, non penso sarebbe difficile per noi. Solo molto divertente, molto eccitante.
Se dico Tool e Marlene Kuntz, a chi sentite più vicina la vostra vis creativa?
I Marlene Kuntz sono soprattutto presenti nella testa del chitarrista, anche se certamente i primi due dischi, e soprattutto Il Vile, hanno circa gli stessi riferimenti agli anni Ottanta che abbiamo noi, e c’è dunque un filo che ci lega a loro, per quanto non direttissimo. Dei Tool ci resta l’ascolto, sporadico.
La scelta di iniziare con un’autoproduzione?
Una domanda ricorrente, sia verso di noi che tra di noi. Bisognerebbe avere ben presente l’ambiente musicale in Italia per capire una scelta così. Diciamo che un’etichetta è utile in relazione alla capacità del suo booking e del suo ufficio stampa. Noi abbiamo deciso di fare un disco autoprodotto per farci notare e farci notare alla svelta, sperando che le voci circolino nei posti giusti, che qualcuno si renda conto che se questo è ciò che possiamo fare senza aiuto, con l’appoggio di un team completo potremmo raggiungere notorietà e forse apportare guadagno. Vedremo.
Come vi trovate con la A buzz Supreme?
Benissimo. L’unico vero motivo alla base di quest’intervista e delle venture è la Supreme. Hanno una bella fauna a loro disposizione, non può essere un caso.
Con quale artista italiano vorreste collaborare per l’incisione di un nuovo brano?
Gianni Maroccolo. Un bel due bassi incazzato e cupissimo.
C’è un video nei vostri progetti futuri?
Sì. Un lavoro della Fantomatic Agency tratto da un live alla Flog infuocato. Appena spunteranno anche i quattrini faremo anche un vero video, con le classiche immagini a cazzo di cane su montaggio veloce.
Cinque dischi imprescindibili?
Qui c’è il gusto personale. Poi bisogna distinguere tra “imprescindibili per giudizio storico” o “imprescindibili per affetto”. Per esempio come top 5 magari non metto nel primo caso i Queen e nel secondo sì. Comunque, personalmente vado con The Lamb Lies Down On Broadway, Tago Mago, Haus Der Luge, Swordfishtrombones, Drum’s Not Dead, cercando di coadiuvare i due sensi. Ma devo senz’altro citare per gli altri, la trilogia berlinese di Bowie, Funhouse, Bitches Brew, Silence is Sexy, Kid A, Pink Moon, Blonde on Blonde, Physical Graffitti, insomma cinque sono veramente pochi.