Alla vigilia della festa della Liberazione Nazionale ci troviamo al Reamp Festival all’Interzona di Verona. Per cinque persone anche oggi è una giornata storica, ma lo è per loro come per molti fan che hanno raggiunto il locale dalle più disparate città del nord: uno spettacolo che mancava da quattordici anni prenderà forma sul palco tra poco e LostHighways è presente nel backstage a chiedere proprio ai protagonisti di questa avventura di regalarci il loro personale racconto. David Moretti, Andrea Viti, Diego Besozzi, Andrea Bacchini ed Alessandro “Pacho” Rossi hanno voglia di parlare, di recuperare il silenzio che ha segnato un’esperienza musicale che ai più è apparsa come una magnifica meteora capace di graffiare indelebilmente il firmamento della musica alternativa italiana.
Questa è un’intervista anomala, trascinata dalla spontaneità del dialogo e dalla cortesia di tutti i componenti della band, volta a condividere un’esperienza passata per cercare di intravedere quella a venire. Bentornati Karma! (In collaborazione con Giulia Gasparato; si ringrazia Amanita Booking; foto di Emanuele Gessi)
All’Interzona di Verona siamo qui a festeggiare il ritorno dei Karma. Prima di parlare di questa reunion sorge una curiosità banale: dove sono stati i Karma per questo lungo periodo?
Pacho: ti interessa il luogo fisico o il luogo del cuore?
Quello che preferisci…
Pacho: Penso che per tutti noi, nel luogo del cuore i Karma ci siano sempre stati. Non lo dico per vanagloria ma, nonostante io abbia suonato con i migliori musicisti del mondo, per quattordici anni quell’angolo del cuore era sempre triste perchè mancava qualcosa. Mancavano queste quattro facce con le quali per sei anni ho condiviso la più bella esperienza musicale della mia vita. Questa sera non so dire se si tratti di un ritorno oppure un inizio: siamo qui, punto e basta.
Oggi tornate a suonare live, ma da quanto tempo meditavate questo ritorno? Era una cosa che in fondo desideravate tutti?
David: La cosa strana è che in realtà non ci siamo mai sciolti. Un insieme di eventi ci ha portati a smettere di suonare nonostante le tante idee. In quel periodo eravamo sotto contratto con la Ricordi, che è stata comprata dalla BMG; immediatamente, durante la metà della promozione di Astronotus (nel ’96), BMG ha dichiarato di non essere più interessata a tenere in vita la nostra Ritmi Urbani, la “sotto-etichetta” dedicata alla musica alternativa.
Alla società interessava un ritorno economico che in quel periodo nessun gruppo italiano poteva garantire. L’unico artista giovane che riuscì a passare da Ricordi a BMG fu Daniele Silvestri, che comunque era già lanciato.
Avevamo però buoni contatti verso altre etichette, abbiamo iniziato a registrare dei provini per un nuovo disco ma era un periodo nel quale, dopo un grande fervore nei confronti del mondo indipendente, si doveva cercare di tornare nuovamente verso le grandi etichette e questo problema toccò un po’ tutti gli altri gruppi del periodo, dagli Afterhours ai Marlene Kuntz.
Proprio in questo periodo complesso, in questo vuoto, noi ci siamo persi. Io personalmente mi sono trasferito in un’altra città, Andrea, com’è noto, è entrato negli Afterhours che erano riusciti a far uscire il loro disco. Per noi, l’occasione vera è poi venuta quando Andrea ha lasciato gli Afterhours, ed in quel periodo stavamo già lavorando ai Juan Mordecai. In questo progetto hanno suonato ben undici artisti, tra i quali tutti i Karma, e lì è nato il pretesto per provare di nuovo, anche dal vivo, a compattare la band.
Andrea (Viti): Vorrei aggiungere che proprio parte del merito di questa reunion va a Francesco e Carlo Cappiotti (Facciascura – Amanita booking) che ci hanno invitato a fare da headliner del Reamp Festival: è stato un motore molto potente per noi ed il merito è anche loro.
E’ più difficile esordire come emergenti o confermarsi? Non deve essere facile contrapporsi ad un pubblico che in un certo modo vi venera e ad un pubblico più giovane che nemmeno vi conosce… io per esempio nel ’96 avevo dieci anni…
Andrea (Bacchini): Sicuramente confermarsi! Oltretutto bisogna considerare il periodo storico nel quale eravamo venuti fuori noi, insieme a molte altre band. Era un momento molto favorevole. Adesso riaffermare quel tipo di contesto è difficilissimo. La scena italiana si è indubbiamente impoverita, e non è una questione di mancanza di musicisti ma piuttosto di strutture e di interesse verso un tipo di musica.
David: C’è da dire che però anche noi abbiamo fatto una gavetta molto molto lunga ed è stato difficile. Il nostro genere era vecchissimo: nella nostra musica i riferimenti erano agli anni ’70 mentre in quel periodo c’erano le posse! L’unica possibilità era suonare in locali alternativi, come i centri sociali, dove c’era molta apertura di visione. Paradossalmente noi avevamo iniziato a registrare il nostro primo lavoro in lingua inglese, ben prima di quando poi è uscito lo stesso lavoro cantato in italiano. La pubblicazione è stata possibile quando un certo suono e la relativa “moda” si sono affermati: il successo del grunge ha portato a noi, avvantaggiandoci rispetto ad altri.
Andrea (Bacchini): Una moda inconsapevolmente cavalcata: ai tempi alcuni pensavano che il nostro fosse stato un qualcosa di escogitato “ad hoc”. Invece ci siamo ritrovati in un periodo storico per noi favorevole, che seguiva i nostri gusti.
David: Per una band emergente attuale, invece, è proprio il contesto ad essere diverso. Una volta esistevano dei luoghi che aggregavano la gente al di là dei generi, suonavamo in festival anche insieme a band completamente diverse da noi. Però le occasioni di suonare in un centro sociale occupato ci davano l’opportunità di porci di fronte a mille persone, mentre ora questo è impensabile.
Andrea (Bacchini): Tutto è anche frutto dell’attuale frammentazione tecnologica. La proposta è enorme e gli spazi sono diminuiti: non c’è posto per tutti.
David: Sicuramente non c’è stata la lungimiranza di pensare che esistono delle economie alternative che nel nostro periodo erano abbastanza autosufficienti. Non esisteva solo la musica a produrre indotto, ma la scena alternativa produceva delle mode, dei vestiti, l’arte in generale. Milano era la città in cui, molto di più rispetto ad altri luoghi, queste energie riuscivano a dialogare tra loro ed è proprio stata la città nella quale di colpo questa realtà è venuta a sparire.
Voi, insieme ad altre band a Milano, rappresentavate una scena compatta: abbiamo detto che era il luogo a plasmare una scena, mentre ora il massiccio uso di internet consente a chiunque di farsi ascoltare da qualunque zona dell’Italia e del mondo. Quanto questo stato attuale è un bene o quanto è un male?
David: Noi, tra tantissime altre band del periodo, avevamo avuto la fortuna di entrare nel circuito del Jungle Sound che ci permise di scegliere il nostro suono e gestirlo insieme. Oltre la musica c’era, appunto, uno spazio che permetteva di creare i proprio fondamenti. Permetteva di crescere.
Andrea (Bacchini): Grazie ad internet riesci a mostrare il tuo prodotto, ma difficilmente riuscirai a fare di più che “farti conoscere”.
Andrea (Viti): Il problema è che ogni cosa, oggi, diventa un gesto artistico, il che in un certo senso “filosofico” può essere una cosa positiva, ma in realtà non lo è affatto: qualsiasi cagata riesce ad apparire su uno schermo e questo è molto fuorviante rispetto al concetto del gesto artistico. Sì, è crollata la discografia, la scena è stata estinta, ma la responsabilità è soprattutto degli artisti.
David: Il discorso è anche più generale: ci sono paesi nei quali la musica non è una necessità, ma è vissuta con tranquillità e normalità. In Inghilterra bere una birra in un locale e non vedere qualcuno suonare è un’anomalia. In Italia è un’anomalia trovare qualcuno che suoni, che magari poi rompe i coglioni a chi vuole bere la birra o vedere la partita. Un’altra mentalità, quella italiana, che più di dieci anni fa sembrava poter cambiare, ma così non è stato. Recentemente, all’inizio della diffusione di Facebook e MySpace, alcuni gruppi a livello internazionale hanno avuto la capacità di veicolare la propria musica (specialmente quella elettronica) in un modo molto particolare, creando dei veri e propri luoghi. L’amarezza è che risulta proprio in casa nostra un’incapacità endemica di veicolare la musica.
Alla fine dell’anno scorso avevo sentito telefonicamente David, mi aveva anticipato che c’erano tantissimi progetti in ballo, sia relativi ai Karma che ai Juan Mordecai. Al tempo non avevate ancora le idee chiare, oggi immagino abbiate dei programmi più chiari…
David: In realtà no! Il progetto Juan Mordecai ci ha portato a confrontarci con un suono differente. Molto probabilmente fuori dalla frenesia del “dover produrre” siamo stati liberi di pensare cosa veramente volevamo fare, e così abbiamo ragionato e dialogato con musicisti come Xabier Iriondo e Franci Omi che hanno portato il loro modo di suonare; poi io ed Andrea, nell’ultima parte del tour, abbiamo portato l’album in una realtà diversa, in duo acustico ed elettroacustico.
Ora per i Karma abbiamo dei brani in italiano, ma il prossimo step quale sarà? Abbiamo la voglia di lasciare che le cose vadano in modo istintivo, ma allo stesso tempo vive il pensiero che non dobbiamo perdere un altro treno. Comunque, probabilmente ci muoveremo più verso i Karma piuttosto che verso i Juan Mordecai.
Diego: Io penso che ci siano delle potenzialità in questo progetto, come l’ho creduto vent’anni fa. Eravamo in due e forse sono stato il primo ad amare la musica che facevamo quando insieme ad Andrea andavamo, basso e batteria, a suonare nelle università occupate, senza nemmeno che ci invitassero! Per me sarebbe proprio uno spreco non dare sfogo a questo potenziale. La voglia da parte mia c’è sempre stata, anche se non ho contribuito a far andare le cose per il verso giusto. Ci vuole molta tenacia per rimanere insieme, vivendo ed andando nella stessa direzione mentre il mondo cambia. Bisogna avere il coraggio di seguire una strada.
David: Il grosso rammarico è vedere che si è creata una scena molto bizzarra: ora ci sono i grandi vecchi mentre noi eravamo proprio la generazione nuova che voleva tirare giù a calci la vecchia generazione. E’ paradossale vedere che sul palco adesso resiste ancora una generazione come la nostra, tenacemente (qualcuno suggerisce ridendo: “con le stampelle!” – ndr). Non esiste dall’altra parte una scena giovane che dica “Bravissimi… però ora alziamo noi il volume!”.
Come dicevo prima, chi ha superato quel periodo di crisi ed è rimasto fino ad ora ha avuto un qualcosa che noi mai siamo riusciti ad avere: parlo di un approccio manageriale capace di organizzare la musica come un lavoro. La scelta di entrare in uno studio ed improvvisare come abbiamo fatto con Astronotus, con il senno di poi, è pura follia. Era però il nostro bello, la nostra incoscienza, che comunque rimane parte di noi. Questo ha i pro e i contro, ed il contro è che facciamo un disco ogni quindici anni!
Ci sarà quindi un disco?
David: I pezzi ci sono, però abbiamo tante idee: ad esempio non ci sono più i nostri dischi e noi stessi non li abbiamo! (Al fianco di David, come per magia tra le risa di tutti, Andrea Viti sfodera il primo disco dei Karma, ma solo perchè gliel’hanno regalato proprio questa sera – ndr)
Noi non siamo proprietari delle nostre edizioni, e quando siamo usciti con Juan Mordecai abbiamo immediatamente chiesto la ristampa dei vecchi album. La BMG ovviamente ha confermato di non essere interessata, trattandosi di progetti marginali e di vecchia data e, se mai i Juan Mordecai avessero venduto tanto, avrebbero potuto decidere autonomamente di rimandare in stampa i dischi dei Karma. Però così non è stato. Si potrebbe fare altrimenti con delle nuove registrazioni, insieme a pezzi nuovi. Di sicuro ci saranno delle date di concerti, perchè adesso, da parte di noi tutti c’è veramente la voglia di suonare questa musica, quella dei Karma!