Raccontano del tempo rubato. Lo fanno con un disco, con 24 canzoni umorali. Il tutto parte dalla metafora del trasloco, fisico ed emotivo. Il tutto è esempio di pop che diventa rock, per le intenzioni, le variazioni, gli effetti e gli affetti. Si parla dei Perturbazione, tornati dopo tre anni con Del nostro tempo rubato (Santeria). Nell’epoca dell’mp3 a basso costo scelgono di offrire al pubblico un lavoro doppio. E vincono, perché non sbagliano un ritornello, una strofa, una melodia, uno stacco. Conoscono il segreto della leggerezza che rende la malinconia non dannosa. Esplorano le regioni/ragioni dell’intimità e si spingono fuori, fino a guardare in faccia un’Italia alla deriva. Parlano a tutti, ci riescono come pochi, senza essere banali. Anzi, sanno essere rari con una semplicità che regala emozioni. Abbiamo chiacchierato con Gigi Giancursi (chitarra e voce), scoprendo ancora una volta quanto valga la pena scegliere la Musica che non finge. (Foto 1 di Rosa D’Ettore, foto 2-3 di Emanuele Gessi).
I Perturbazione tornano con un disco viscerale dopo un periodo difficile, dal punto di vista artistico e personale. Quanto tempo vi è stato rubato?
Dipende dai giorni e dall’entusiasmo con cui affronti le varie cose. Ci sono giorni in cui ci sembra che ci sia stata rubata la vita intera. Succede quando, magari dopo una serie di giornate di pioggia, si finisce a parlare con qualcuno che di solito conclude il discorso con la fatidica frase: se foste nati in America a quest’ora…
Altri giorni in cui ci sembra di essere esattamente dove dobbiamo essere. E ti confesso che sono le giornate migliori, quelle in cui si è contenti di essere quello che si è, quelli in cui si smette di inseguire una chimera e si vive fino in fondo quello per cui probabilmente si è nati: suonare, emozionare se stessi e le altre persone, credere in qualche modo di avere una parte di utilità nell’economia globale (per economia non intendo la borsa, ma il concetto filosofico).
Prima di dare forma a questo disco ci siamo trovati spesso in giornate di tipo A. Ci sembrava che tutti i problemi fossero diventati insormontabili. A pronunciare la parola disco c’era qualcuno di noi che stava male. Poi, fortunatamente, a piccoli passi, un po’ con Le città viste dal basso, poi con Enlarge your english e il Preliminari Tour di cui avete parlato anche nelle vostre pagine (e vi ringraziamo), ci siamo ritrovati pronti a ripartire. E’ stata una buona lezione per noi e cercheremo di farne tesoro per il tempo a venire.
Al centro del disco la metafora del trasloco. Esperienza reale nelle vostre vite degli ultimi anni. Il senso è ovviamente ampio, emotivo e concreto. Per un trasloco si sceglie cosa tenere, cosa eliminare. Non avete eliminato le canzoni per arrivare ad una rosa standard. Le avete tenute. Così dentro la confezione, una scatolina di cartone chiusa dallo scotch, è finito un disco che ne conta 24…
Esattamente. Nei dischi precedenti cercavamo a tutti i costi di arrivare ad una perfezione secondo i canoni che avevamo in testa in quei periodi. Questa volta l’unico canone che ci siamo dati è stato quello di non averne uno, di lasciare che tutto quello che ci passava per la testa potesse essere tradotto in musica. Questo è il risultato.
Confesso di aver provato una punta di scetticismo rispetto ad una tracklist così estesa. Però è passata subito. C’è stato un momento in cui avete dubitato di una scelta del genere?
Proprio per la risposta precedente, non abbiamo mai dubitato di questo aspetto, anzi, era sicuramente una delle certezze che hanno accomunato tutti nella fase di scrittura. C’è stato addirittura il timore di non arrivare a 23 canzoni (inizialmente erano 23 le canzoni su cui stavamo lavorando). Poi sulla fine è arrivata Promozionale e la mitosi di Last minute che è diventata due tracce al posto di una.
Mi piace definirvi esponenti del pop dell’indipendenza emotiva. Passamela! E in questa fase della vostra carriera mi sembra ancora più evidente. Avete resistito all’esperienza in EMI e avete deciso di portare avanti un progetto chiaro nelle sue linee. Dalla scelta dell’etichetta al mood dei brani, dalla coralità compositiva alla cura del rapporto con il vostro pubblico…
Ci faremo crescere un ciuffetto emo!
Siamo stati sempre abituati a cercare di curare ogni aspetto che gira intorno alla nostra musica, con il risultato di non essere facilmente manipolabili e a volte anche un po’ rompiscatole nei confronti delle realtà che hanno lavorato con e per noi. Ma non ci sembra di avere lasciato scontentezze in giro per il mondo se non quando abbiamo dovuto lasciare certe situazioni. A volte è doloroso per qualcuno di noi prendere delle scelte ‘di gruppo’. Ma è nella logica di un gruppo stesso tirarsi a volte da parte. Ci vuole umiltà e fiducia nelle persone con cui si suona.
Però questo disco non è solo pop! E’ il disco più variegato e spiazzante che abbiate mai realizzato. Secondo me rappresenta del tutto il vostro mondo. Ironico, divertente, malinconico, irriverente…
Non nascondiamo che c’era anche un rap e non è uno scherzo.
Questo è il testo: “Ora basta / finito il tempo della festa / che gusto c’è a restare a sventolare un’asta / se la bandiera sta nascosta / e basta / Dover dir sempre sì / perchè si fa così / perchè non è gentile stare a si- / ndacare / ma va a cagare / chi me l’ha fatto fare / prendi i tuoi quattro stracci e vacci / pure / Sono un artista / non sono un masochista / chi sta dicendo che la crisi non esista / che mi stia stretta / la fetta / ridotta / con te che piangi e mangi / come ne La Ricotta / la ricetta è non dormire demoralizzati / diventare come i divi di hollywood nei DVD di Woody Allen / Alienàti / Dividi i dividendi di vendita / solo con chi li merita / e non con chi li mendica / cantanti contenti accantonavano i contanti / che tanto non ci sono più / e si va avanti”.
Non avevamo più tempo, altrimenti sarebbero state 25. Chissà che un giorno…
In questo nuovo disco la prospettiva è anche sociale, politica (non nel senso di appartenenza ad uno schieramento), critica…
Siamo stanchi delle scaramucce da bar che sovraffollano i giornali. PD, PDL. Sempre pronti ai microfoni a dare la loro visione del mondo. Nel frattempo le vite di tutti si fanno ogni giorno più povere. Si rischia persino di venire tacciati da qualunquisti. Ma non siamo nati per stare in silenzio e se condividiamo (se solo ci potessimo incontrare) le nostre perplessità non è detto che diventino le linee guida per una nuova visione delle cose.
Quando ho ascoltato Vomito! per la prima volta… mi sono tornate le stesse sensazioni provate per lo squarcio di Fiat lux all’interno di In circolo…
Entrambe sono nate davvero di getto, mi riferisco al testo. Entrambe non potevano venire posate su un’atmosfera meditata. Quando c’è qualcosa che reprimi per molto tempo occorre dirla forte. A volte anche sbagliando.
A proposito, quanta alchimia lega Del nostro tempo rubato a In circolo?
Si possono intrecciare tante storie e trovare un sacco di fili conduttori consci e inconsci tra i due dischi fatti dalla stessa etichetta e prodotti entrambi da Fabio Magistrali. Alla luce di Del nostro tempo rubato il titolo di In circolo suona quasi profetico. Ma sarebbe bastato un battito d’ali in meno di una farfalla a Nuova Delhi perchè oggi staremo facendo tutt’altro. La colpa è degli entomologi!
Io sono vivo voi siete morti è uno dei pezzi che mi ha subito colpito. Fuori i dettagli!
Discorsi e letture di Philip K.Dick. Esiste una biografia di Dick scritta da un francese, Emanuele Carriere che s’ntitola proprio così (Io sono vivo voi siete morti in realtà è una frase di Dick stesso). Mauro Ragnini di Audioglobe condivide con me la passione per Dick e mi regalò un DVD durante la tournée di Pianissimo Fortissimo. Alessia Garda è una mia cara amica che sta facendo una tesi proprio su Dick. Lunghi discorsi con loro mi hanno fatto rifriggere in testa alcuni temi. Da che parte stare nella società? Con gli ‘equo e solidali’ o con i ‘filo-occidentali’. Perchè dobbiamo sempre accettare una divisione per una posizione nella vita? La vita è una sola, indivisa. Siamo sicuri di vivere allora?
La confezione include un cd-r. Ha un messaggio bello che invita a traslocare i brani per una nuova playlist, libera… che si basa sulla scelta… di chi vi ascolta. Me ne parli?
La musica ha sempre meno valore ma sappiamo che non è così quando ascoltiamo una canzone che ci piace e ci entra dentro. Allora il cd è una sorta di diario personale in cui ognuno ci mette quello che è importante per se stesso. Brani del nostro disco, brani altrui, brani che vuole. E’ un messaggio. E’ bello talvolta modificare delle cose preesistenti, come banalmente il confezionamento di un cd. Siamo abituati ad avere a che fare con oggetti che sono diventati dei dogmi nella loro silenziosa quotidianità. Rompere di poco gli schemi serve a fare riscoprire il valore delle cose stesse.
Partire davvero è uno dei brani più belli del disco, per me. Che storia ha?
E’ un brano interamente scritto da Cristiano. C’era già in nuce ai tempi di Pianissimo Fortissimo ma non in questa veste. Fu scartato come altri brani: Alla fine, nei nostri dischi precedenti emergeva sempre la punta dell’iceberg. In questo disco ognuno di noi ha potuto seguire personalmente le vicende dei brani a cui era legato senza pressione da parte degli altri. Il testo sembra una spiegazione estesa del concetto di In Circolo (a proposito delle citazioni inconscie di cui parlavamo prima). Cristiano aveva in mente anche il viaggio come metafora della vita e della morte e l’ha affrontato in modo molto originale virando sulla leggerezza degli accompagnamenti.
Titoli di coda è una summa di pezzi del disco, con un arrangiamento che trovo splendido. Come mai un brano così ideato?
E’ stata un’idea che ci è venuta in fase di mixaggio. Il disco incominciava a darci dei segnali. C’era un filo conduttore che legava tutti i brani. Perchè non sottolinearlo con un ‘recap’, creare un microcosmo che specchiasse il macrocosmo? Lasciare degli echi dei brani precedenti decontestualizzati, in modo che si creasse una specie di fantasma. Per non rendere troppo drammatico il tutto e lasciare quel filo di ironia amara, si è pensato di chiudere con la voce del call center, metafora di un Dio che non ci ascolta.
Cosa mi dici delle collaborazioni con Dente e Deian?
Sarei tentato di dire che abbiamo scelto solo artisti che cominciavano con la lettera D! Invece Dente ci venne a vedere a Milano in occasione del Preliminari e lì gettammo le basi per una futura collaborazione (e non è detto che non sforneremo ancora qualcosa, la pentola non è ancora stata spenta). L’idea di fare cantare una frase del LaFuga dei cervelli a Deian è venuta invece a Rossano. Quindi l’abbiamo contattato e abbiamo passato una serata in sua compagnia.
Mao Zeitung dei Perturbazione e Maonomics (Rizzoli, 2010) di Loretta Napoleoni. Le coincidenze. So che siete stati in contatto e vi siete confrontati…
E’ stata incredibile la sua disponibilità nei nostri confronti, in piena promozione del suo libro che sto finendo di leggere. Trattavamo lo stesso tema da due posizioni diverse. E si è creato un piccolo cortocircuito. Siamo onorati di essere entrati in contatto con lei.
Mao Zeitung è il primo singolo ed è accompagnato da un video molto carino. Dimostrate che l’energia e l’importanza dei contenuti possono fare moltissimo per un budget basso. Come è nato il video e come siete riusciti a coinvolgere il gruppo di cinesi?
L’idea primigenia era quella di girare un video remake di Boys don’t cry con i cinesi al posto dei bambini. Costava troppo. Però ci rimase in testa l’idea della sostituzione dei cinesi. Il resto è venuto da sè. Con la collaborazione di Andrea Spinelli e la visione completa della serie Boris, ci siamo improvvisati registi (Andrea in realtà lo è già più di me) e abbiamo fatto tutto in una mezza giornata, dopo un pranzo con i cinesi contattati grazie ad un’amica cinese.
Il gattino! Dove l’avete trovato?!
Quello bianco da Carlo Giaccone, fratello di Stefano Giaccone, cantautore torinese, nonchè pittore di china su carta di riso secondo le tecniche cinesi. Il suo studio abbonda di oggetti cinesi, i quadri che si vedono nel video sono i suoi.
Quello semovente giallo dalla IO ADV, un’agenzia torinese di pubblicità gestita da un mio carissimo amico, Giovanni Bruno. E’ la loro mascotte. Non potendone privarsene (le piaghe d’Egitto si sarebbero abbattute sulla sede), ce ne hanno regalato uno uguale.
Il Garage ermetico è lo sfondo del video. Lì i Perturbazione provano, registrano, producono…
… E dove passiamo la maggior parte del tempo facendo discussioni, conti, previsioni, calcoli, idee, progetti, litigi. E’ praticamente casa nostra. A volte ci sono anche i piatti sporchi.
Non siete di quelli che rinnegano il luogo d’origine. Come sta la musica tra Rivoli e Torino?
Come in qualsiasi altro posto d’Italia. Tanti gruppi promettenti e pochi che scommettono. Meglio il televoto in tv. Basterebbe uscire di casa la sere e si avrebbe un X-factor o un Amici in qualsiasi locale. Invece preferiamo quello precotto.
A Torino ci sono i Verlaine, Ila Rosso, Mezzafemmina, Nadar Solo, Nebbia, la Pioggia, Noesia, Pablo e il Mare, i Sidera ves, Deian stesso, una miriade di cantautori (si parla di scena di San Salvario che è un quartiere di Torino) e altri che ora mi sfuggono.
A Milano ebbi l’occasione di suonare con i Grenouille, un gruppo che mi sembra sia uscito da poco con un nuovo disco. Tra i brani avevano una canzone eccezionale che recita “Milano sta bruciando”, meritava (e merita ancora) di essere molto più famosa di quello che non è stato.
L’Italia è la patria delle occasioni mancate. Noi lavoriamo perchè tutto questo cambi.
Internet sta saturando a causa dei social network. L’uso sta notevolmente peggiorando. E il virtuale rimane davvero tale, sia nelle interazioni tra gli utenti che come mezzo di promozione. E il concetto di viral sta distruggendo ogni contenuto, no? Soluzioni?
Non pensare che la promozione sia solo appannaggio del viral. Tutti oggi si buttano su internet per promuovere le proprie cose, creando un’entropia che genera disinteresse. Internet è una delle cose più belle del mondo ma va gestita di pari passo con la vita reale. Non si può pretendere di essere conosciuti solo perchè si è su internet. Un calcio di punizione di Totti vale in termini di visualizzazioni molto di più di qualsiasi genialata che si riesca a fare attraverso la musica indipendente. Questo non può essere dimenticato. E la vita reale, purtroppo, è diventata il calcio di punizione di Totti.
Bentornati. Ce n’era bisogno! E ora… quanto tempo rimane?
SGRAT!
CLAPCLAP!
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