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La nobile confezione del rock: il Concept album

conceptA quarant’anni di distanza dall’uscita di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band il giornalista e critico musicale Daniele Follero fa il punto sulla storia “ancora disordinata e basata su luoghi comuni” del concept album, nel libro omonimo pubblicato da Odoya nel 2009. L’idea di concept album “come opera coerente e unitaria” comincia a farsi strada nella seconda metà degli anni Sessanta, quando il rock attraversa un periodo di fervente cambiamento e i musicisti sperimentano nuove tecniche e nuovi approcci con il vinile, stimolati dal diffondersi del disco a 33 giri.
Il termine concept album sembra essere stato coniato, inizialmente, per riferirsi all’album “a tema” In the Wee Small Hours (1954) di Frank Sinatra, considerato il precursore del genere. Dal punto di vista strettamente letterario è Freak Out! (1966) di Frank Zappa l’LP che inaugura una prima forma sperimentale di concept album e una nuova modalità di concepire la registrazione su vinile.

Proprio attorno a questa idea di “sperimentare effetti e manipolare suoni” nasce il disco che più di tutti ha contribuito a diffondere l’idea di concept album nella musica pop: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles (1967). Anche se i Fab Four decisero di sviluppare un tema assumendo delle personalità fittizie e “immedesimandosi” con la “Banda dei Cuori Solitari del Sergente Pepper”, quest’opera fondamentale non è considerata un “vero” concept album, poiché i testi delle canzoni appaiono sostanzialmente slegati e indipendenti l’uno dall’altro.
È il doppio vinile Tommy (1969) degli Who ad essere considerato il primo e vero concept album del rock moderno. Il disco ci racconta, attraverso la sequenza dei 24 brani, la storia di un ragazzo nato alla fine della prima guerra mondiale che nei riflessi di uno specchio, assiste ad un omicidio, evento che lo traumatizza a tal punto da fargli perdere i sensi primari. Questa struttura di continuità, che infonde il senso complessivo al disco, decreta Tommy pietra miliare dei concept album.
Gli anni settanta possono essere considerati l’età d’oro degli album concettuali, poiché rappresentano il decennio in cui questo particolare approccio al disco si sviluppa in tutte le sue forme, sfruttando al massimo le possibilità offerte dal mezzo.
In Italia i primi tentativi, pionieristici e un po’ isolati, di conferire una struttura omogenea a un album ci riconducono all’affresco sulla miseria dell’uomo di Tutti morimmo a stento (1968) di Fabrizio De André e al viaggio dell’uomo desideroso di conoscere se stesso di Senza orario senza bandiera dei New Trolls. Anche Edoardo Bennato ha dimostrato grande interesse per il concept album, raggiungendo il livello più interessante dei propri esperimenti con le trame “a tema” di due album che hanno determinato la su fama nazionale: Burattino senza fili e Sono solo canzonette. La novità principale sta nella scelta di due popolarissimi capisaldi della fiaba – Pinocchio e Peter Pan – come materiale di riferimento.
Non tutti sanno che saranno proprio i Pink Floyd a legare in maniera indissolubile il loro stile artistico a questo tipo di organizzazione concettuale dei brani. A partire dal 1972 tutti gli album del gruppo saranno caratterizzati da una tematica specifica; The dark side of the moon (1973) infatti è un album che ruota attorno a tutto ciò che può condurre la gente alla pazzia, ed è proprio questa concezione unitaria a fornire un importante plus valore all’album. Nel 1979 con The Wall la band raggiunge un livello artistico straordinario creando il primo concept album che si colloca interamente in una concezione “totale” dello spettacolo, coinvolgendo musica, immagini ed esibizioni dal vivo; una scelta che appare la logica conseguenza di un percorso artistico condotto dai Pink Floyd sotto il segno dell’attenzione alla dimensione visiva.
Negli anni Ottanta la potenza visiva del videoclip, che poteva garantire una relazione più diretta tra la musica e le immagini, e la possibilità propria degli apparecchi digitali, come il CD, di programmare una selezione random – casuale – coinciderà con la perdita d’interesse per gli album “a tema” concepiti secondo una struttura in cui la perdita di continuità equivale a una perdita del senso complessivo del disco.
Dopo l’eclissi totale dei primi anni Ottanta, l’interesse per il concept album si ravviva nei primi tentativi sperimentali di alcune band provenienti dalla scena heavy metal – Six Degrees of Inner Turbulence dei Dream Theater, è un esempio – che ricorrono al formato concept o per darsi un tono, riproponendo uno schema risultato fortunato in passato, o per rivalutare band che hanno intrapreso il viale del tramonto.
Saranno gli americani Green Day puntando sull’album “a tema” American Idiot – la storia di un ragazzo di nome Jimmy all’epoca di G. W. Bush – a riuscire nuovamente a scalare la vetta delle classifiche, dimostrando in questo modo che il concept album, anche se provato dal tempo e dalla globalizzazione multimediale, è riuscito a sopravvivere.
Un libro per chi ama la musica e la letteratura. Una riflessione su come la musica sia riscita a veicolare la parola e la sensibilità artistica di più di una generazione.

Daniele Folliero – Concept Album. I dischi a tema da Stg. Pepper al nuovo millennio, Collana Musica (Odoya, 2009; pp. 222)

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