Il tour dei Captain Mantell tocca anche l’Arteria di Bologna: prima del concerto chiacchieriamo con la band veneta, seduti intorno ad un tavolo, sorseggiando birra. Il nuovo disco, Rest in space, è oggetto delle nostre curiosità, verso le quali i tre musicisti si dimostrano splendidamente disponibili. I Captain Mantell ci raccontano del passato, del presente e del loro sguardo sempre rivolto al futuro. Tra le pacifiche incursioni della barista che ricopre il tavolino di affettati e crescentine, scalciando la fame, le parole scorrono veloci in una mezz’oretta nella quale ci raggiungono, a sorpresa, anche Pierpaolo Capovilla e Gionata Mirai de Il Teatro degli Orrori. Stoici e diligenti come veri astronauti, i tre musicisti rispondono a tutte le domande prima di lanciarsi sul cibo nostrano: ai tre serve energia per la missione spaziale che andrà in scena da lì a poco. (B-cool è in streaming autorizzato); si ringrazia per la collaborazione Antonia Peressoni di Irma Records)
Per una band alternativa che non può godere di grandi passaggi radio e video la presentazione del disco in tour è fondamentale anche solo per farsi conoscere. Il disco è uscito da qualche mese, ma le date sono state ancora poche a causa, immagino, anche degli impegni di Tommaso ne Il Teatro degli Orrori. A chi ancora non conosce Rest in Space, come lo descrivereste? Tommaso: L’osservazione è interessante perchè adesso si fanno i dischi per poi poter andare in tour: si sono un po’ girate le cose! Un tempo si faceva il tour per promuovere il disco e non viceversa… comunque la nostra musica ci piace definirla “hard-rock per astronauti”. Abbiamo una visione un po’ cosmica della Terra, essendo noi mezzi piloti e mezzi astronauti. Guardiamo il pianeta Terra da lontano, con nostalgia, ma anche con un po’ di distacco, critica ed ironia. La musica è in realtà un misto, come capita spesso di questi tempi, di rock, elettronica e buona parte di pop nelle melodie. Omero: I pezzi sono diversi. Ce ne sono di più danzerecci ed altri più rock. Questo fa parte delle nostre influenze e dellla volontà di mantenere uno stile spaziale. Nicola: Diciamo che vengono rispettate le esperienze musicali di ognuno di noi nonostante venga mantenuto un filone ben preciso, sia sulle scelte timbriche che di arrangiamento. Ci sono pezzi che hanno valore più ritmico, dai quali potrebbe essere percepita un’influenza funk e qualcosa di black. Tutte comunque sono influenze molto internazionali.
Proprio di questo volevo parlare: avete un fronte di influenze musicali che vi accomuna? Qualche nome di band o artisti che vi stanno particolarmente a cuore? Nicola: In realtà no, però ognuno di noi sa bene come gli altri percepiscono la musica. Capita spesso che ci siano scambi di dischi ed ascolti tra di noi. Band che personalmente mi stanno più a cuore di altre… sono in difficoltà perchè passerei dai nomi più “tamarri” ai classici miti, come i Devo, band alla quale ci ispiriamo in quanto crediamo che lo spettacolo e l’immagine svolgano un ruolo importante sul palco nei live. Per quanto riguarda i “tamarri” ti potrei dire i Prodigy o roba più modaiola, tipo SebastiAn. Tommaso: Direi che il nostro gusto comune è il “non avere un gusto comune”, ascoltiamo veramente di tutto influenzandoci a vicenda.
Nonostante non siate riusciti a fare ancora molte date di presentazione del disco, il web offre però molta visibilità e velocità: le prime recensioni sono arrivate in contemporanea con l’uscita del disco, e quindi è possibile fare un piccolo bilancio. Come è stato recepito il vostro lavoro? Le vostre aspettative sono state rispettate? Tommaso: Siamo contenti di come è stato accolto. Ovviamente ci sono recensioni di ogni tipo, ed è difficile essere d’accordo con tutte. Alcune però credo che abbiano centrato l’obiettivo mettendo a fuoco perfettamente quello che avevamo intenzione di fare. Le poche date sono dovute ai miei impegni, ma ci tengo a dire che anche in mia assenza la “ciurma” non è stata ferma bensì ha prodotto un progetto “groovosissimo” dal nome Space Barena.
Il vostro suono, pur avendo una potente matrice rock, devia in modo insolito per il panorama italiano verso ritmi ballabili. Questa è la musica che i Captain Mantell hanno fatto fin da quando si sono incontrati? Tommaso: Il primo disco era una cosa strana, uno sfogo personale dopo un periodo, a livello artistico, molto particolare. Sono andato nella cantinetta di casa mia qui a Bologna, dove abitavo, ed è stata una cosa molto intima. Anche lì ho mischiato rock ed elettronica, ma più per necessità perchè non avevo una band. Ovviamente è diventato poi un lavoro di squadra quando sono entrati a far parte della “ciurma” Nicola Lucchesi alias Doctor Ciste ed Omero Vanin, alias Sergente Roma. Hanno fornito un grosso apporto alla faccenda.
Questa sera siamo all’Arteria di Bologna. Prima vi ho chiesto di “parlare a chi non ha ascoltato Rest in space“, ora invece vi chiedo cosa si deve aspettare chi ha ascoltato il disco ma non vi ha mai visti live? (nel frattempo sopraggiungono Pierpaolo Capovilla e Gionata Mirai i quali si siedono al tavolo con noi, ndr) Nicola: Il live è fondamentalmente istintivo, caratterizzato da un ricco sfogo ritmico. La musica è più essenziale, ma questa essenzialità permette di trasformare i suoni in maniera più consistente e violenta. La batteria, elettronica nel disco, per semplice evoluzione naturale nei live viene suonata in modo tradizionale. Inoltre, per aiutarci a caratterizzare ancora di più il live, offrendo ad esso un valore aggiunto, abbiamo assoldato un nostro fonico. Oltre alla voce di Tommaso, sul palco ci sono anche i cori miei e di Omero, ed infine le proiezioni video. Per scelta sul palco non siamo di molte parole: preferiamo mantenere un certo distacco, una plasticità che può ricordare ad esempio sequenze di 2001: Odissea nello spazio, nel quale in alcuni momenti pare di osservare le scene da dietro un oblò. Questa è l’idea che vogliamo trasmettere al pubblico nel nostro spettacolo.
Personalmente non sono un appassionato di elettronica, ma in ogni caso trovo che la vostra musica non tenda a spostare il rock in quella direzione, ma che sia piuttosto il contrario: l’elettronica che si avvicina al rock. Essendo un amante del rock, trovo questa situazione molto stimolante perchè mi ritrovo ad ascoltare cose alle quali non ero assolutamente abituato. Vi ritrovate in questa osservazione? Tommaso: Assolutamente. Quello che tu hai detto è il riassunto della nostra scelta timbrica. Abbiamo eliminato le chitarre usando i synth o il basso, a seconda del pezzo, per costituire la parte più acida e tipicamente rock. Questo è trasformare la musica elettronica in musica rock. Nicola: Forse è anche il modo di suonare la batteria di Omero che impone il ritmo e ciò che ne consegue. Tommaso: Omero, sei così preciso che mandi fuori il click! Omero: Eh, mi sono accorto che ogni tanto il metronomo sbaglia!
In Italia siete un qualcosa di anomalo non essendoci molte band del genere. Con meno “concorrenza” in teoria dovrebbe essere più facile per voi trovare spazio per suonare e farvi ascoltare. Succede realmente così o riscontrate le difficoltà note a molte altre band che non hanno alle spalle un nome già affermato? Tommaso: Certo, non siamo Il Teatro degli Orrori! Nicola: Credo sia anche un discorso geografico. Ci sono tante piccole realtà conosciutissime in una determinata zona, differenti addirittura di provincia in provincia. In Veneto, per esempio, ci sono band che fanno una miriade di date in tutte le sagre della zona, poi ci stupiamo che in Friuli non li conosca nessuno. Le strutture attuali danno sfogo principalmente a questo genere di sviluppo musicale. Poi ovviamente ci sono band che suonano in tutta Italia e vengono riproposte in maniera martellante. In questo caso credo che sia proprio il pubblico italiano a richiedere “sicurezza”: soprattutto al Nord, c’è diffidenza. In questo modo si va a rafforzare la scena locale tagliando però i ponti con ciò che sta intorno. Tommaso: Va detto che comunque non è tutta merda, l’anno scorso per esempio abbiamo fatto un tour con quasi due concerti a settimana. Non vogliamo lamentarci. Nicola: Certo, anche perchè poi il “suonare troppo” svalorizza. Come musicisti si rischia di ricercare troppo l’attualità, quando invece è bene cercare di creare della musica con lo sguardo rivolto al futuro.
Colgo l’occasione di avere qui una fetta de Il Teatro degli Orrori ponendo una domanda a Tommaso citando però le parole di Pierpaolo Capovilla: “Basta ballare! Siamo stanchi di ballare! Noi non ci vogliamo più divertire: noi vogliamo turbare l’animo delle persone.” Come ti rapporti a questa considerazione essendo tu un po’ con i piedi in due staffe? Tommaso: Pierpaolo dice, appunto, che noi facciamo musica per i piedi! Comunque credo che esistano diversi modi di fare musica: uno diretto, uno più metaforico. Entrambi i metodi hanno valore, e come fa Pierpaolo si può accusare con grande poesia, e davvero smuovere delle anime. Noi, invece, siamo astronauti, persi nello spazio, siamo più lontani, sogniamo un po’. Pierpaolo: Vorrei precisare la questione della musica per i piedi e la musica per il cervello. Sia chiaro, credo che i Captain Mantell facciano musica per il cervello, o quanto meno in mezzo, suvvia! Musica per il bacino, ecco! Scherzi a parte, distinguiamo un po’ le cose: esiste musica leggera per evadere dalla realtà, e musica leggere per starci dentro alla realtà. Quest’ultimo è il caso dei Captain Mantell. Tutti quanti siamo qui per fare buona musica, e nonostante l’alterità de Il Teatro degli Orrori, siamo qui per dire “viva la buona musica” ed “abbasso la cattiva musica”. Ci sono personaggi della musica italiana, magari con voci impostatissime, ma senza contenuti. Cosa vogliamo raccontare ai ragazzini? Sempre le solite stupidaggini? Così non cresciamo noi, e non crescono loro.
Ultima banale domanda e poi vi lascio cenare. La storia di Captain Mantell… insomma, voi ci credete davvero agli UFO? Tommaso: Una cosa simpatica che posso raccontarti è che tramite Facebook ho conosciuto il nipote del vero Captain Thomas Mantell. Lui ora è un prete protestante e quando gli ho chiesto cosa pensasse della morte di suo nonno inseguendo un UFO è stato un po’ distaccato. Comunque il mistero c’è e negli anni successivi all’incidente la sua famiglia ha fatto delle indagini: hanno scoperto che tutti coloro i quali lavoravano alla torre di controllo sono stati poi dislocati in tutto il territorio americano con l’ordine di non parlare della vicenda. Crederci o no… non so: Jung diceva che quella degli UFO era una psicosi come può esserlo quella dei miracoli. Tutte le segnalazioni e le storie relativa agli UFO sono nate nei periodi di guerra, quando la gente voleva vedere “oltre” ciò che stava loro intorno.
Ora vi lascio finalmente cenare, grazie mille. Grazie a te.