Intraprendere un percorso artistico non significa necessariamente conoscerne a priori ogni singola tappa. A volte capita di avere delle idee, di seguire una rotta e poi ad un tratto decidere, più o meno consapevolemente, per desiderio o per necessità, di volerla abbandonare. Cambio di direzione, appunto, per i Dilaila che, con il loro ultimo album si presentano in veste nuova. Urgenze diverse, ambizioni nuove e nuove vie da percorrere, assecondando un cambiamento naturale senza perdere la propria coerenza.
LostHighways incontra Paola Colombo, voce dei Dilaila, per tracciare le coordinate del percorso musicale della band, per capire meglio quello che è stato e cosa ci ha condotti fino a qui, a questa nuova musica leggera tutta italiana. Ad accompagnarci nell’intervista, quattro brani estratti dall’album Ellepi (streaming autorizzato; si ringrazia Matteo Zanobini – Pippola Music)
Questo album segna un punto di svolta nella musica dei Dilaila. Cosa vi ha condotto fino ad Ellepi? Avete seguito un germe che già cresceva o è stato un cambiamento più improvviso?
Ellepi è un disco scaturito da una crisi e, si sa, “ogni volta che passa una crisi resta qualche traccia”… Nel 2006, dopo l’uscita di Musica Per Robot, abbiamo attraversato un periodo di smarrimento artistico e organizzativo. Entrambi gli aspetti del problema sono stati affrontati e risolti in maniera graduale (e con fatica) nel corso dei quattro anni passati, quindi non parlerei di svolte improvvise. Ma non mi stupisce che chi ascolta l’esito di questo percorso lo avverta come una “sterzata” netta rispetto al passato.
I Dilaila sono una band a tutti gli effetti, anche se la tua voce emerge con decisione. In fase compositiva come si equilibrano questi elementi? Come bilanciate una vocalità intensa e ricca di sfumature come la tua, che ci riporta alle grandi interpreti del passato, e la dimensione collettiva tipica di una band?
E’ molto semplice: mettendo le nostre composizioni al servizo della voce, facendole ruotare attorno ad essa, alle melodie, alle parole. Quindi nessun conflitto tra le due dimensioni. Il fatto di suonare insieme da 12-13 anni ci permette anche, nonostante la centralità dell’elemento voce, di non tralasciare l’aspetto sonico delle canzoni, forse più marcato nei nostri precedenti lavori, ma non certo dimenticato. In fondo è la riconoscibilità di suono a distinguere una vera band da un gruppo di musicisti che accompagnano una cantante, e noi ci consideriamo una band.
Ad ogni modo, adoro le domande con i complimenti incorporati, grazie!
Una delle caratteristiche di spicco in questi brani è l’eterogeneità, nei testi come anche nelle atmosfere che sanno essere più docili o cruente. Come si sono sviluppate composizioni così diverse fra loro?
In parte si è trattato di un processo spontaneo, in parte di un percorso ragionato: ogni canzone nasce da una sensazione, da un’urgenza diversa, che normalmente porta ad un risultato diverso. Poi, nello scegliere la tracklist, abbiamo cercato di imprimere un andamento dinamico, con degli alti e dei bassi, momenti più intimi e momenti più aperti. Voce e piano rimangono comunque il fil rouge che attraversa tutto il lavoro e gli dà unitarietà.
Il bello delle vostre canzoni, che sono più vicine al pop che alla dimensione cantautoriale, è anche la capacità di adattarsi a diversi tipi di racconti e sensazioni e non necessariamente a testi frivoli e scontati. Un nuovo modo di pensare alla musica leggera…
Siamo una band pop, ma abbiamo proprio cercato di rubare al mondo dei cantautori un po’ di quell’attitudine speciale nello scrivere i testi, dando a quell’aspetto delle canzoni più attenzione che in passato. Ma non abbiamo scoperto l’acqua calda… in Italia ci sono, da molto prima di noi, esempi prestigiosissimi di band che hanno saputo conciliare atmosfere squisitamente pop e testi interessanti.
Il vostro percorso musicale non è stato sempre semplice, avete affrontato qualche difficoltà, mentre con questo nuovo album state raccogliendo molte critiche positive. Cosa pensi vi sia mancato, o cosa pensi abbiate migliorato, cambiato, per prendere la giusta direzione?
Questo è un discorso molto complesso… certo, i Dilaila hanno cambiato rotta, hanno ritrovato un background musicale finora accantonato, hanno dato più attenzione alla voce e ai testi, trovandosi in questo momento in sintonia coi gusti di alcune persone (speriamo di molte, fra un po’). Ma spesso penso a quanto conti anche il “finire nelle mani giuste al momento giusto”, a quanto influiscano sul funzionamento di un progetto fattori che con la musica hanno ben poco a che vedere, come una promozione efficace, un’immagine accattivante e contatti importanti, a quanto certi circuiti musicali che si definiscono “indipendenti” – perciò liberi? siano invece chiusi e settari. In questo senso credo che in Italia ci siano moltissimi lavori, ottimi dal punto di vista artistico, che non hanno avuto la giusta visibilità a causa di condizioni squisitamente extra-musicali. E ho la presunzione di considerare il nostro Musica per robot, del 2005, uno di questi lavori.
Tra le persone che ascoltano Ellepi c’è chi si avvicina per la prima volta alla vostra musica, e dunque vi conosce per come vi presentate ora, come anche chi vi seguiva precedentemente. Come vi sembra stia reagendo il pubblico?
Sembrano tutti egualmente entusiasti, per fortuna. I vecchi sostenitori (pochi, ma buoni) hanno seguito tutto il percorso, anche travagliato, che ha portato ad Ellepi, ne conoscono le cause profonde e forse per questo apprezzano gli effetti. Mi auguro che i nuovi ascoltatori acquisiti possano specularmente fare un percorso a ritroso per capire da dove vengono i Dilaila.
Parlando di voi alcuni tendono a cercare paragoni e riferimenti nel passato culturale italiano. Vi ritrovate in qualche accostamento in particolare? Il vostro background, i vostri personali riferimenti quali sono?
Siamo cresciuti col mito italiano nel sangue e quello anglosassone nella testa. L’elenco sarebbe davvero troppo lungo…gli anni ’60 italiani, britannici, newyorkesi e californiani, la psichedelia, i nostri cantautori, la scena britannica degli anni ’90 e quella italiana di coloro che negli anni ’90 emergevano e che ora sono mostri sacri. Molti dei nomi citati dai nostri recensori lusingano e a volte stupiscono, qualcuno con spirito “trasversale” ha addirittura paragonato Ellepi al cinema di Michelangelo Antonioni – stavo cadendo dalla sedia per la gioia. Lui è l’emblema dell’italianità e dell’internazionalità in reciproco equilibrio.
Personalmente sono sempre molto attenta alle voci – dev’essere una deformazione legata al mio ruolo nella band! – e molti dei miei miti personali sono artisti che con la voce possono fare tutto quello che gli passa per la testa, in grande libertà, senza farsi ingabbiare dai paletti della tecnica. E’ una categoria molto trasversale, al di là dei generi, ci sono Mina, Demetrio Stratos, Nada e Ivan Graziani, ma anche David Bowie, P.J.Harvey, Patti Smith (!) e Eddie Vedder.
Parliamo di futuro prossimo: quando potremo vedervi in tour e come pensi riporterete dal vivo questo album? Cosa cambierà, rispetto ai vostri live passati?
A parte qualche data estiva interlocutoria, inizieremo a suonare da settembre. Nel set in preparazione alcuni brani di Ellepi stanno subendo grosse trasformazioni rispetto alla versione in studio, in parte per riproporre alcuni arrangiamenti che si sono rivelati vincenti nell’acustico, in parte per dare un piglio più “live” ad alcune canzoni che magari sono nate per essere ascoltate, cuffie alle orecchie, nell’intimità della propria casa.
Cercheremo di allestire un live dinamico, con momenti più o meno intensi, alcuni più drammatici altri più leggeri. In questo senso siamo più attenti che in passato a realizzare uno spettacolo fruibile, coinvolgente.
Ti ringrazio…
Grazie a te Giulia… e a Lost Highways!