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Forme luccicanti di pura energia: Arcade Fire @ I-Day Festival (BO) 02/09/10

arcadefire3L’Arena Parco Nord di Bologna torna ad ospitare l’I-Day Festival, questa volta diviso in due tranches con tanto di giorno di riposo in mezzo. Questa sera ci sono gli Arcade Fire headliner, oramai annunciati con molti mesi di anticipo e, dopo l’uscita fresca dell’ultimo The Suburbs, l’attesa è grandissima.
Quando riesco ad entrare nell’arena con grande dispiacere scopro che i Joycut, i Chapel Club e i Fanfarlo si sono già esibiti. C’è grande curiosità per i Modest Mouse. La band americana, di cui fa parte l’ex Smiths Johhny Marr, purtroppo, regala uno show tutt’altro che memorabile, per non dire deludente, complice anche un soundcheck fatto davvero con i piedi. Così il sound dei Modest Mouse ne risente fortemente: le due batterie oscurano completamente la voce e i riff di chitarra si confondono in un rumorio poco definito. Ci si chiede come possa essere possibile che una band di tal calibro, in un festival del genere, debba suonare in queste condizioni.

Ad ogni modo l’attrazione principale della serata sono gli Arcade Fire e che i canadesi siano in forma smagliante lo si evince da subito. Ready to Start sembra il brano perfetto per aprire lo show, lo si capisce già dal titolo ma è il suo riff cadenzato sui colpi della doppia batteria che fa muovere tutti a tempo di musica fino ad urlare al cielo I’m ready to start. Pronti? Via! Ed ecco il rock ‘n roll proto punk di Month of May, che nonostante sull’ultimo The Suburbs aveva convinto poco per monotonia, dal vivo funziona piuttosto bene. Gli altri brani tratti dall’ultimo lavoro sono scelti a puntino per la resa live. Ecco allora i ritmi disco di Sprawl II, sulla quale Regine Chassagne si muove come una fatina incantata davanti al microfono. E ancora la splendida Suburban War, certamente tra gli episodi migliori dell’ultimo lavoro, che evolve in ogni sua sfumatura in maniera eccezionale, poi la scacciapensieri The Suburbs da canticchiare con leggerezza insieme a Win Butler. Modern Man e We Used to Wait fanno un’ ottima figura rievocando il lato pop-wave degli Arcade Fire.
A conti fatti è dispiaciuto giusto non sentire le dichiarazioni barocche di Rococo e il wall of sound shoegaze di Empty Rooms. Pochi fronzoli, i brani, infilati uno dietro l’altro, sono suonati con un’energia e una passione che hanno dell’incredibile. I sette di Montreal saltano da uno strumento all’altro come se nulla fosse e sempre col sorriso sulle labbra, è uno spettacolo vederli, sono inversosimilmente perfetti. Ma il meglio arriva quando il combo canadese sfodera i suoi cavalli di battaglia dagli album precedenti. Largo spazio viene concesso a quella splendida gemma che è Funeral. Incontenibile l’energia che scatenano le due Neighborhood (#1 e #3), tra gli episodi migliori della serata. Ecco gli Arcade Fire che ci hanno fatto innamorare cinque anni fa del loro folk tinto di pennellate pop orchestrali. Tutti cantano, tra abbracci, sorrisi, ci si sente bene, semplicemente. E ancora le sviolinate malinconiche su tempo di valzer di Crown of Love, il ritmo pulsante di Rebellion e, nonostante dal vivo renda di meno che su disco, non poteva mancare Haiti, il brano dedicato alla nazione americana situata sul Mar dei Caraibi colpita nel 2004 dall’uragano Jeanne e recentemente dalla tragedia del terremoto. Ciò che fa grande questo gruppo è il saper coinvolgere il proprio pubblico attraverso la musica e l’energia, mostrando così che le parole non sempre servono. Da Neon Bible spuntano la sinfonica Intervention e il coinvolgimento corale di No Cars Go prima dei bis. Si tratta di Keep Car Running sempre da Neon Bible e Wake Up, da Funeral, il brano perfetto per concludere uno show del genere, tutti l’aspettano e tutti cantano quella melodia fatta di “oooh” che risuona un po’ ovunque anche a concerto terminato. Un’ora e quaratacinque di musica che lasciano felici e sorridenti. Tutto è stato impeccabile questa sera e ciò non fa altro che confermare lo stato di grazia di una band che è già avviata su strade grandissime.
Unica pecca riguarda l’affluenza di pubblico. Per una band di tale levatura, prima in classifica in molti paesi del vecchio e del nuovo continente, apprezzata da padrini d’eccezione quali David Bowie, Peter Gabriel, Chris Martin ecc., che fa 40000 spettatori al Madison Square Garden di New York ottenendo due date consecutive, l’Arena Parco Nord sarebbe dovuta traboccare di gente. Invece, nonostante la gente non sia pochissima, c’è ancora troppo spazio per respirare. Del resto qui ci sono Ligabue e Vasco Rossi che riempiono gli stadi mentre gli Arcade Fire non fanno nemmeno il sold out.

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