Ricca e colloquiale: l’intervista a Davide Tosches non poteva riuscire diversamente. Lo si capisce anche dai suoi commenti su Facebook che se gli si da il “la” poi Davide argomenta a ruota libera ed è difficile fermarlo, soprattutto quando descrive il suo mondo, la sua musica e critica ciò che di male vede intorno a sè con occhio lucido ed un pizzico (quanto basta, come il sale) di cinismo.
Con in tasca il bottino di un positivo riscontro della critica, Davide Tosches si propone ai lettori di Losthighways in una chiacchierata informale che verte intorno al suo ultimo disco dal titolo Dove l’erba è alta. Folk e cantautorato si fondono insieme in una forma tradizionale ma allo stesso tempo unica e riconoscibile; voce e musica mirano alla profondità più intima dell’uomo con poetiche immagini che spesso riconducono al fondamentale binomio uomo-natura nella continua incessante ricerca di se stessi.
(Dove l’erba è alta e La tua stella sono in streaming autorizzato)
Il tuo disco è ormai stato pubblicato da un po’ di mesi ed ora è possibile osservare il cammino che ha percorso. Sei soddisfatto?
Assolutamente soddisfatto, ho lavorato bene e sono riuscito a far conoscere il disco a moltissime persone, ricevere molte recensioni, fare parecchi concerti e interviste e devo pure pavoneggiarmi un po’ per la consistente presenza radiofonica dei brani ed il continuo interesse verso il disco: significa che piace. Sono molto contento di aver preso la decisione di pubblicare il disco “in proprio” con la mia etichetta, nata per l’occasione, Controrecords; in questo modo ho potuto fare delle scelte importanti e realmente “indipendenti” a differenza di molte etichette indipendenti le quali pubblicano i dischi per fargli raccogliere la polvere. L’ufficio stampa (Antonia Peressoni) ha giocato un ruolo molto importante con serietà e competenza, ed ovviamente non posso trascurare di ringraziare anche la band che mi accompagna dal vivo, persone speciali che hanno come primo obiettivo la musica e hanno sacrificato tempo e soldi per divulgare la mia visione anche nei concerti.
Dove l’erba è alta non è affatto un “prodotto” ed all’orecchio suona più come una ponderata necessità artistica e comunicativa. Mi sbaglio?
Non ti sbagli affatto: fare musica per me è come respirare e anche le altre cose che faccio, riguardanti la sfera artistica, partono da questa necessità irrinunciabile che è appunto comunicare. Sono contento che tu abbia usato la parola “prodotto” perché è proprio la parola che uso negli ultimi anni per giudicare molti dei dischi sul mercato, dischi fatti per imitare stereotipi già consolidati o per atteggiarsi ad artisti tanto per prendere in prestito un’identità e far finta di sentirsi vivi. Poi, quelli fatti solo per vendere sono la maggior parte di quelli che possiamo sentire nelle radio più note; sono proprio prodotti, come lo Svelto o il Dixan e mentre questi ultimi servono per pulire, quei dischi servono per passare il tempo quando non si ha nulla di meglio da fare. Con questo non voglio mettere il mio lavoro su un piedistallo, ma quello che è importante è delineare i confini fra chi fa qualcosa e chi fa altro perché con i suoni si possono fare milioni di cose diverse fra loro. Nei negozi di dischi o negli store online dovrebbe essere evidenziata anche la differenza di intenzione e destinazione della musica, non solo i generi che il più delle volte danno una connotazione incompleta della musica.
I suoni di Dove l’erba è alta dipingono immagini, catturano luci, ombre e colori; per te, fotografo, pittore e grafico, l’immagine è irrinunciabile anche con la chitarra tra le braccia. Dove nasce questa passione?
Anche questa è una necessità, sulla quale in realtà non mi sono mai fatto troppe domande, è così e basta. Attualmente non credo che riuscirei a fare musica senza “dipingere” con il suono, nel senso che esattamente come un pittore di solito mi metto a guardare i luoghi e le luci che mi emozionano e cerco di trasformarli in musica e suono: tendo ad assorbire i suoni nascosti delle cose e per ora è la cosa che mi interessa di più a livello musicale. È una ricerca costante dell’anima delle cose, mi piace molto.
I testi delle tue canzoni portano una malinconia “buona”, quella che aiuta a pensare, a trovarsi: “ora posso finalmente sentire”. Suona un po’ anche come denuncia/esortazione…
Il brano che citi (Il Sentire) è molto rappresentativo del mio modo di scrivere e l’ho composto in un momento nel quale stavo affrontando una vera e propria resurrezione emotiva, processo che in realtà non è ancora terminato completamente. Ad un certo punto della mia vita, vuoi per il lavoro, vuoi per altre questioni che mi disturbavano, mi sono reso conto che non sentivo più come una volta, anzi, forse non avevo veramente mai sentito come desideravo. Tutto l’album è improntato sulla ricerca di se stessi e sono contento che si avverta una malinconia “buona”, perché il messaggio che cerco di trasmettere è un messaggio buono in tutti i sensi. Vivi nella tua unicità, nella bellezza della tua persona e lontano dal conformismo che invece ci uccide: questo è il messaggio, e vale per tutti gli aspetti della vita, altrimenti coltivare e veder fiorire la propria visione è impossibile. È un percorso difficile, impegnativo e anche doloroso, a volte, ma più di tutto meraviglioso perché non si può far finta di essere vivi, bisogna essere vivi e non è possibile farlo lontano da se stessi, dalla nostra essenza.
Torniamo alla musica. Cosa è cambiato dal tuo precedente Stressmog! e in cosa è cambiato il Davide Tosches musicista?
Stressmog! (che tra l’altro sarà a breve in download gratuito) era in realtà un vero e proprio disco, ma siccome all’epoca non credevo di essere in grado di comunicare efficacemente con la musica non l’avevo divulgato e avevo regalato poche copie agli amici e spedito diversi dischi ad artisti che ammiro come Giancarlo Onorato il quale poi ha prodotto artisticamente il nuovo disco. L’approccio alla musica non è cambiato di molto in realtà: continuo per lo più ad ossessionarmi con giri di pochi accordi sui quali poi stratifico degli arrangiamenti, metto, tolgo, modifico, etc. Ad un certo punto, però, mi sono reso conto di essere in grado di suonare e cantare e quindi mi sono sentito più libero. La maggioranza delle persone non muove un passo se non fa corsi, lezioni oppure ha un qualche attestato o diploma, ma quelle robe non ti qualificano nè come artista nè come musicista, anzi il più delle volte ti limitano terribilmente. Suonare vuol dire emettere suoni e se tu hai bisogno di quel suono che hai in mente potrai suonare qualsiasi strumento o ricercare quel suono da qualsiasi fonte provenga, che siano strumenti convenzionali o meno. Se una persona ha una reale necessità di comunicare e di fare non si può preoccupare del fatto di esserne capace o meno, deve farlo e basta, lontano da qualsiasi convenzione e maniera artisticamente e socialmente consolidata, del resto non si fa del male a nessuno. Tutti abbiamo del potenziale enorme in qualche campo e non possiamo limitare questo bene prezioso pensando di non esserne capaci. Se poi per concretizzare quella visione hai bisogno di sentire che suono fa la fisarmonica che gira dentro la lavastoviglie o intervistare un cavallo ben venga, perché no? L’importante è farlo con sincerità.
Quanto ha influito il rapporto e la collaborazione con Giancarlo Onorato per il tuo ultimo disco?
Moltissimo, direi che il rapporto umano è stata la cosa fondamentale perché con Giancarlo generalmente ci capiamo con due parole. Non si può fare il produttore se prima non si entra nella personale visione dell’artista che intendi produrre e Giancarlo in questo è stato maestro e ha condotto il disco dove volevo io, ma con la sua esperienza e il suo talento. Molti produttori di solito fanno il contrario, conducendo il disco dove vogliono loro. Ci vuole umiltà e Giancarlo ne ha da vendere. Lavoreremo di nuovo insieme in futuro perché siamo veramente buoni amici e c’è un costante scambio emozionale e artistico fra di noi.
Tu fai parte del singolare progetto Amanita Booking: un gentleman’s club, non una normale agenzia di booking. Credi che sia un metodo efficace per uscire dai meccanismi arrugginiti del panorama musicale italiano?
Il progetto Amanita Booking è per ora all’inizio ma promette bene: sono sicuro che potrà essere una soluzione efficace per fare concerti e per buttare nell’immondizia un sacco di abitudini malamente consolidate in chi gestisce la programmazione dei locali, oltre alle stesse “classiche” agenzie di booking che adottano gli stessi meccanismi delle etichette discografiche, rivelatisi fallimentari e obsoleti. In pratica il progetto Amanita è un progetto di condivisione e chi ne fa parte mette a disposizione tutte le sue conoscenze per far suonare gli altri nel suo territorio o nei posti che conosce.
Ti porgo una domanda un po’ personale, che però credo sia interessante per descrivere ancora meglio la tua persona: puoi dirmi, indicativamente, dove abiti? Su Facebook carichi foto scattate alle cinque di mattina con un’alba grandiosa, colline e paesaggi splendidi, parli di orto, frutteti, animali e biscotti alla salvia…
Abito a circa 30 km da Torino. Un giorno mi ero rotto le scatole della città e così ho detto: seguiamo Corso Casale (la via dove abitavo) e fermiamoci quando troveremo un posto che ci piace, e così è stato. È proprio un paese di campagna e c’è tutto quel che puoi aspettarti da posti del genere, quindi cascine, boschi, animali selvatici, pascoli, frutteti, etc. Mi sveglio presto tutte le mattine e di solito vado a passeggiare col mio cane e scatto molte fotografie, lo faccio ormai dal 2003, tutti i giorni. Ogni tanto ci perdiamo, incontriamo cinghiali, volpi, fagiani e altro. Insomma, è attualmente una delle cose più importanti della mia vita e sempre il primo pensiero della giornata. Poi ho un piccolo orto e alcuni alberi da frutta e così ogni tanto nascono cose curiose come i biscotti alla salvia di cui parlavi… Mi sembra che sia il modo più naturale di vivere e lo faccio con assoluta spontaneità sentendomi me stesso.
“Libertà di sbagliare percorso / e perdersi lontano dalle strade” (Dove l’erba è alta): queste parole rispecchiano a pieno ciò che stai facendo come musicista. Ma la vita non ti costringe a qualche compromesso?
Ci provo il più possibile ad essere fedele a questo modo di intendere e vivere la vita e nella maggior parte dei casi ci riesco. Non si può considerare di fare per tutta la vita qualcosa che non ha nulla a che vedere con la propria essenza e tutte le persone che normalmente lo fanno di solito si inventano mille scuse per giustificare la propria vigliaccheria. Dobbiamo per forza di cose tutti quanti “perderci lontano dalle strade” perché tutti siamo diversi e unici e nessuno al mondo può costruire una strada che per noi può andare realmente bene. Ad esempio, quando stavo registrando Stressmog! lavoravo a Torino e non avevo veramente tempo di dedicarmi alla musica e la sera ero troppo stanco e pieno di pensieri che avevo accumulato durante il giorno, così mi svegliavo tutte le mattine alle 6 e, dopo la passeggiata col cane, registravo e suonavo per un’ora prima di andare al lavoro, tutti i giorni, anche la domenica. Ho fatto questo esempio per dirti che se vuoi una cosa, la tua strada la trovi e le persone che ti dicono che volevano fare la ballerina, lo scultore, l’attore o il cantante o anche altre cose che non hanno niente a che fare con l’arte e adesso lavorano in fabbrica, negli uffici o sono sterili amministratori delegati di aziende che producono roba che non serve a nessuno, ecco, quelle persone la loro strada non l’hanno trovata, anzi, non l’hanno neanche cercata perché hanno fatto due calcoli approssimativi e hanno deciso che era meglio omologarsi senza apparenti rischi, ma il momento per pagare il conto arriverà comunque e i rischi saranno ben peggiori. Per concludere, per quanto riguarda i compromessi, ne faccio il meno possibile e di solito li faccio per le creature che mi stanno vicino e che amo, ma la parola “compromesso” mi comunica una sensazione negativa, “sacrificio” mi pare molto più sana.
Tenendo tra le mani il tuo disco è impossibile non essere entusiasti di avere tra le mani “un oggetto”. Nell’epoca del digitale e del “senza forma”, il tuo disco è cartonato, ricco di illustrazioni, grafica curata e ben due libretti interni, uno con i testi ed uno che raccoglie magnifici scatti. Ci hai messo del tuo, hai preferito la qualità alla velocità. Cosa ti ha spinto a questa scelta, attualmente controcorrente?
Grazie, sono felice che lo apprezzi. La natura stessa in realtà “confeziona” quello che ci offre e se dobbiamo preferire un frutto anziché un altro prima di tutto siamo spinti a farlo per il suo aspetto esteriore che ci dà già sensazioni importanti prima ancora di assaporarlo. Con il disco volevo fare più o meno lo stesso, volevo che si intuisse il suo “sapore” ancora prima di ascoltarlo e devo dire che ci siamo riusciti in maniera sottile ed efficace, senza fare una cosa vistosa o forzatamente originale. Dico “ci siamo” perché il progetto l’ho curato insieme al mio amico Dario Prodan che è una persona di grande talento e sensibilità. Abbiamo fatto due sessioni di foto, una in inverno a -10° e l’altra in primavera, entrambe al mattino presto portandoci a spalle la poltrona che c’è nelle foto del disco. È veramente un bel ricordo e ci siamo divertiti moltissimo, invece oggi si tende a fare le cose in fretta e con fotografie scattate alla meno peggio. Sì, decisamente controcorrente come dici tu.