Voltare come pagine gli anni ed il tempo tutto, come in una vistosa enciclopedia delle azioni dell’uomo. Potervi leggere dentro le verità più inconfessabili del racconto umano, potervi scrutare fra le righe la sovrumana anomalia dei corsi e dei ricorsi storici, che non riconosciamo mai, che non riusciamo a fermare. L’eternità è solo un soffio in fondo, se solo potessimo coglierlo. Pensieri sparsi, austeri, barocchi. La musica di questo Ark sembra alimentarli, avendo tutto il profumo delle pagine ingiallite che parlano da sole e che spesso ci rifiutiamo di leggere, vittime di inconfessabili paure. Che Brendan Perry, metà maschile del duo storico dei Dead Can Dance, amasse spesso entrare con la sua musica in certe fenditure profonde dell’animo umano già lo sapevamo, ma ascoltarlo ancora oggi, a più di quindici anni di distanza dai tempi d’oro dei Dead Can Dance, si riconferma come un’esperienza intensa e vibrante. Allora fra arazzi e tappeti antichi, lo sfarzo brumoso di questo Ark propone ancora un viaggio metafisico in epoche lontane, in circostanze e movimenti del pensiero intime e schiumose a lasciare dentro quella patina lucente, simile a quella che le onde lasciano sulla battigia a guardarle di notte. L’aura gotica è quella che adornava i lavori dei Dead Can Dance, l’austerità, la vocalità da crooner dell’oltretomba, da cantore di apocalissi già consumate, resta in Brendan Perry intatta, addirittura qui rinsavita da un lirismo più sofferto e appassionato. Si parte in pompa magna con le aurore orchestrali barocche di Babylon a spruzzare chiari di luna su un Medio Oriente lontanissimo, su processioni interminabili di popoli in migrazione verso altri futuri, magari migliori. Le progressioni dark-wave di The Bogus Man virano verso malattie trip-hop e profondità recondite del sonno, in cui a predicare sono pulsioni intime del nostro subconscio. Tanta magniloquente oscurità sonica e potenza lirica farebbero accapponare la pelle persino ad uno Scott Walker recente in preda a incubi demoniaci. La dolcezza trascendentale di Wintersun tocca i tasti di una folktronica gelida eppure intinta di poesia e si dipana per sei minuti magnetica e suadente, a seguirla l’eleganza gotica e le armonizzazioni barocche di Utopia, a rischiarare la bellezza di sogni ancora possibili (“I feel greater than the sum of all my parts/a domestic beast with hairy heart.. between the shadows and the cracks/ I am building my utopia“). Le dissonanze vistose dell’opacissima e onirica Inferno sembrano uscire fuori labirintiche da un incubo stile Rosemary’s Baby di polanskiana memoria. Si passa ancora dalle austere movenze felpate di This Boy, esperienza onirica ad occhi aperti biascicata a mo’ di preghiera, alle rassegnate e placide visioni apocalittiche di The Devil and the Deep Blue Sea. A chiudere le melodie suadenti ultraterrene di Crescent, sorta di omelia cosmica che si abbandona a movenze e rintocchi dal sapore rinascimentale, che fanno rivivere i Dead Can Dance di The Carnival is Over in una cornice nuova di stupefacente e composta bellezza.
Brendan Perry, ad undici anni dal suo esordio solista e dal divorzio artistico con con Lisa Gerrard, ritorna con un lavoro intenso, profondo e ispirato, egregiamente arrangiato e prodotto. Una lunga e onirica prosopopea in cui ad aver voce sono i fantasmi più nascosti dell’animo umano. Seppure costola distaccata e postuma della impareggiabile esperienza Dead Can Dance, questo Ark è semplicemente un sospiro di sollievo. Fare l’errore di ignorarlo potrebbe essere oggi una svista imperdonabile.
Credits
Label: Cooking Vynil – 2010
Line-up: Brendan Perry (writer, composer, performer)
Tracklist:
- Babylon
- The Bogus Man
- Wintersun
- Utopia
- Inferno
- This Boy
- The Devil and the Deep Blue Sea
- Crescent
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