Raccogliendo e facendo proprio il fascino dei confini, L’uomo di vetro, giovane formazione umbra, elabora il suo concept artistico gravitando attorno ad un post rock strumentale e climatico, inconsapevolmente elegante e dai colori piuttosto oscuri. Dilatazioni sonore in odor di metereopatie di scuola Mogwai, ma anche una sensibilità per i dettagli che si rivela davvero un valore aggiunto. Losthighways ha incontrati la band per una chiacchierata sull’ultimo lavoro 38° Parallelo.
L’uomo di Vetro… Ricorda da vicino quella creatività che c’era negli anni ’70 italiani nel dare nomi naif alle prog-band nostrane. Penso ai Picchio dal Pozzo, alla Locanda delle Fate, ai Balletto di Bronzo ecc.. Quali sono le suggestioni che nasconde questo nome e come lo avete scelto?
“L’Uomo di Vetro” è un nome ispirato ad un personaggio del film Il Favoloso Mondo di Amélie. La sua particolarità è quella di soffrire di una malattia che rende le sue ossa facilmente frantumabili e che lo costringe a vivere la propria vita dentro le mura di casa, dove tutto è imbottito per evitare gli urti, lontano dalla realtà esterna. La sua condizione di fragilità e di solitudine rispecchia pienamente la nostra musica e questo ci ha spinto a scegliere il nome della band.
In questa sede vorremmo anche precisare che L’Uomo di Vetro non c’entra assolutamente niente con la storia del primo pentito di mafia. In molte recensioni siamo purtroppo stati accostati a questa vicenda che sentiamo particolarmente lontana dalla nostra musica e da quello che cerchiamo di esprimere.
38° Parallelo è il vostro secondo lavoro. Il titolo fa riferimento al parallelo che divide a metà la Corea, giusto? Come mai avete scelto questo titolo per il vostro disco?
Il 38° parellelo è, come noto, l’originario confine tra le zone di occupazione americana e sovietica in Corea.
Viene descritto come “un baratro a due sponde, su ognuna delle quali una Corea contempla e aspetta di veder sprofondare l’altra… una riga di cemento che divide gli avamposti dei due schieramenti dove le guardie trascorrono anni a fissarsi, senza mai interagire in alcun modo, se non premendo il grilletto quando cede la tensione”. Questa calma apparente, questa surreale pace, frutto di una costante ed impalpabile tensione artistica, bene rappresenta l’opera e le condizioni in cui questa è lentamente venuta alla luce, nonchè il motivo del suo fascino che è appunto il fascino del confine.
Ci raccontate la gestazione di questo lavoro? Come vi approcciate nella composizione dei brani?
Il percorso che ha portato alla luce 38° Parallelo è stato lungo e tortuoso tanto che alla fine delle registrazioni la band ha perso la sua formazione originale, quando Luca Valerio Cascone ha deciso di lasciare. L’abbandono di Luca è stato un distacco necessario, ma è avvenuto in armonia con semplici dichiarazioni di intenti differenti.
Le nostre composizioni prendono vita da lunghe sessioni di prova, dove tendiamo a suonare quasi ininterrottamente, salvo poi prenderci del tempo per riascoltare quanto è stato fatto, rielaborandolo in singoli brani. Siamo consapevoli che il nostro metodo compositivo non è molto pratico, ma ci permette di agire principalmente con l’istinto, evitando di comporre in modo preordinato.
Penso che non sia semplice produrre un disco come il vostro che sa giocare bene con gli equilibri e dosare i cromatismi al punto giusto in un genere come il post rock dove, ormai, c’è il rischio di un manierismo selvaggio, non credete? Pensate che ci siano band che abbiano ancora qualcosa di nuovo da dire, forti riferimenti a parte? Se sì, quali ci consigliereste?
Il post-rock è un genere dove molto è già stato detto, basti pensare che la nascita dello stesso risale ormai a vent’anni fa e ad oggi il rischio di manierismo selvaggio è sicuramente una deriva possibile. Noi ci sentiamo parte di questo movimento e crediamo fortemente nel suo cuore, rappresentato dalla sperimentazione compositiva e sonora, che non potrà mai venir meno. Siamo convinti che in futuro questa nostra volontà di affrontare nuove tematiche, di cercare nuovi spazi sonori, sarà sempre più presente e questo ci dà la forza per continuare a remare in questo oceano immenso dove sembra che già tutto sia stato fatto.
Per quanto riguarda gli ascolti, il nostro sguardo è sempre volto a quelle band dove la sperimentazione è più marcata e proprio per questo spesso non ci focalizziamo su cosa è o non è post-rock. Un nome su tutti sono i Radiohead, un gruppo unico capace di rinnovarsi e di affrontare nuove sfide e ancora gli Autechre, che in buona probabilità sul fronte elettronico sono la band più interessante del momento. E’ importante anche avere un occhio al passato dove spesso si nascondono capolavori ancor oggi modernissimi con nel caso dei Can, che in dischi come Tago Mago risultano inevitabilmente geniali e senza tempo.
Venite da Foligno, che non è proprio il centro del mondo musicale italiano. Quali sono le difficoltà che avete incontrato? Esiste una scena musicale folignate?
Le difficoltà che si possono incontrare in un cammino impegnativo come il nostro tendono sicuramente ad aumentare se ci si trova in un contesto non troppo attivo. Possiamo comunque dire che si può parlare di una scena musicale umbra anche perchè siamo una band mista con componenti provenienti da Foligno e altri da Perugia. La scena musicale umbra è attiva e spesso si propongono eventi di ottimo livello, basti pensare alla programmazione del Feedback di qualche anno fa, che vedeva la presenza di band molto vicine a noi come gli Explosions in the sky, o ancora alla storica attività del Norman che, attraverso Fabrizio Croce, ha portato in Umbria innumerevoli band di caratura internazionale. Anche sul fronte delle band locali l’Umbria non ha niente da invidiare ad altre scene musicali fatto salvo per la grande mancanza di investitori, che purtroppo condiziona fortemente la possibilità di esportare le produzioni locali. In definitiva si può dire che nel nostro contesto una scena musicale non manca di certo, quello che manca e che rende il cammino molto difficile è l’assenza di persone che credono nei buoni progetti locali.
Che peso date alla dimensione live? Che riscontri state avendo nei concerti?
Il live è il momento culmine della nostra espressione musicale e cerchiamo sempre di dare il massimo per il nostro pubblico. Anche sul fronte riscontri possiamo dire che sono sempre positivi, sia per una cerchia di fedelissimi che spesso ci segue, sia per chi si trova occasionalmente sul posto e si dimostra interessato. L’unica nota stonata sul fronte live è che vorremmo suonare più di quanto facciamo effettivamente, purtroppo non sono molti i locali che accettano di buon grado gruppi particolari come il nostro.
L’ultima domanda riguarda il vostro rapporto con la rete. Quanto vi ha aiutato nel vostro lavoro?
Il rapporto con la rete è senza dubbio importante perchè permette ad ogni band di promuoversi liberamente decidendo in autonomia quanto tempo investirci. Come per ogni band moderna, la rete si manifesta come una finestra sul mondo e pertanto va coltivata giorno per giorno cercando di raggiungere più persone possibili che altrimenti non potrebbero venire in contatto con realtà come la nostra.